Il Cav. “liquida” Fini e apre la vertenza sulla presidenza della Camera

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Il Cav. “liquida” Fini e apre la vertenza sulla presidenza della Camera

30 Luglio 2010

Questa volta il notaio è il partito. E loro, i co-fondatori che un anno e mezzo fa lo hanno registrato nero su bianco, i protagonisti della rottura. Irreversibile. Silvio Berlusconi riunisce l’ufficio di presidenza del Pdl, due ore dopo Gianfranco Fini e i suoi fedelissimi sono fuori dal partito. Compresi Italo Bocchino, Fabio Granata e Carmelo Briguglio deferiti ai probiviri e dunque, in attesa di giudizio.

Su trentasei membri del "parlamentino", trentatrè dicono sì al documento (votano contro i finiani Urso, Viespoli e Augello) che altro non è che una durissima censura politica sull’operato dell’ex leader di An, da oggi ufficialmente capo di un altro partito.

Nelle sue mani infatti ci sono le lettere di dimissioni firmate dai deputati e senatori (si parla di 34 in tutto) che lo hanno seguito nei mesi tribolati che dal controcanto hanno portato alla separazione dal Cav. Gruppi parlamentari autonomi è la via che già ieri era stata indicata nell’ufficio di Italo Bocchino durante il mini-vertice con 18 deputati di chiara fede finiana, convocato proprio mentre l’Aula votava gli ordini del giorno sulla manovra economica.

Un gesto considerato come l’assaggio, l’antipasto di ciò che nel corso della giornata è seguito e che i berlusconiani hanno stigmatizzato avanzado l’idea dell’ennesima mossa tattica per creare problemi alla maggioranza (ad esempio metterla in minoranza durante il voto) e usare questa "clava" per alzare il prezzo (politico) della tregua. Ma la tregua tra i due co-fondatori del Pdl non c’è stata. Anzi, l’esatto opposto. Separazione non consensuale e come tale destinata a lasciare strasichi polemici e una probabile "guerra" a suon di ricorsi.

Ci mette il sigillo sopra il Cav. nella conferenza stampa che segue il vertice sottolineando che per la maggioranza "il Pdl non può pagare il prezzo troppo alto di mostrarsi diviso". Poi arriva al punto: il dissenso di Fini e dei suoi. Il Cav. scandisce che qui non si tratta di un dissenso costruttivo, ma di una costante azione demolitrice nei confronti del "governo, della maggioranza e del presidente del Consiglio". Come a dire: si è superato il limite.

Ma cosa ha portato alla rottura? Nel documento uscito dal vertice ci sono sintesi e sostanza. Le posizioni di  Fini "si sono manifestate sempre di più, non come un legittimo dissenso, bensì come uno stillicidio di distinguo o contrarietà sul programma di governo sottoscritto con gli elettori e votato dalle Camere, come una critica demolitoria alle decisioni prese dal partito, peraltro note e condivise da tutti, e infine come un attacco sistematico diretto al ruolo e alla figura del presidente del Consiglio".

Non solo: per i trentatrè che hanno firmato il testo, il presidente della Camera e alcuni deputati-pretoriani "hanno costantemente formulato orientamenti e perfino proposte di legge su temi qualificanti. E i temi ‘qualificanti’ si chiamano proposta di legge sulla cittadinaza breve agli immigrati (Granata l’ha firmata insieme al Pd Sarubbi); il cambio di passo dell’inquilino di Montecitorio sulla legge elettorale ("vi è stata un’apertura inaspettata a tesi che contrastano con le costanti posizioni tenute da sempre dal centrodestra e dallo stesso Fini", si legge nel documento del Pdl) e perfino il tasto della legalità.

Su quest’ultimo punto è chiara l’irritazione pidiellina per la mancata valorizzazione dell’attività del governo nel contrasto alla criminalità organizzata, quasi "bypassata" dai finiani. Che, invece, "l’hanno impropriamente utilizzata per alimentare polemiche interne". Anche per questo, il Pdl "proseguirà con decisione nell’opera di difesa della legalità, a tutti i livelli, ma non si possono accettare giudizi sommari fondati su anticipazioni mediatiche".

Chiaro il riferimento alle richieste di dimissioni avanzate dai finiani prima per Brancher, poi per Cosentino e in ultimo per il coordinatore nazionale del partito Denis Verdini. Restano aperte alcune questioni: dal ruolo non facile di Fini, presidente della Camera e leader di un nuovo partito che, peraltro, ha già strutture proprie, dirigenti e programmi in ogni regione d’Italia, agli incarichi che i finiani ricoprono al governo, nei gruppi parlamentari (vedi le commissioni) e nel partito.

L’ex leader di An si trova infatti a dover gestire nello stesso tempo, ruolo istituzionale e ruolo politico. Il che significa che se finora ha posto e spesso in maniera strumentale questioni finalizzate a "deberlusconizzare" il partito, da domani come leader di una forza politica che si va costituendo avrà a che fare con un "conflitto di interessi" non di poco conto – come osservano alcuni berlusconiani –  visto il ruolo istituzionale che riveste. E ancora: nel Pdl si fa osservare come la pattuglia dei finiani che "in tutti questi mesi ha portato tensione e fibrillazioni interne, adesso se le riprenderà in carico nel nuovo partito perché la loro uscita è la garanzia per il consolidamento del partito". Parole che pesano e che nessuno avrebbe potuto immaginare solo un anno fa.

Ed è  sul ruolo politico che la maggioranza pidiellina calibra l’affondo. Concetti e critiche messe nero su bianco nel documento dell’ufficio di presidenza secondo cui "mai prima d’ora è avvenuto che il presidente della Camera assumesse un ruolo politico cosi’ pronunciato perfino nella polemica di partito e nell’attualità contingente, rinunciando ad un tempo alla propria imparzialità istituzionale e a un minimo di ragionevoli rapporti di solidarietà con il proprio partito e con la maggioranza che lo ha designato a terza carica dello Stato".

Non manca una stoccata quando si ricora che "l’unico  breve periodo in cui Fini ha ‘rivendicato’ nei fatti un ruolo super partes è stato durante la campagna elettorale per le regionali al fine di giustificare l’assenza di un suo sostegno ai candidati del Pdl". Già, il ruolo di garanzia di Fini presidente della Camera è il nodo da sciogliere, la questione dirimente che il Pdl pone e che dovrà essere affrontata nei prossimi giorni. Implicita la sollecitazione affinchè l’ormai ex co-fondatore del Pdl lasci lo scranno più alto di Montecitorio. 

L’altra questione che nelle prossime ore sarà affrontata rigurda i finiani al governo: il ministro Ronchi e i sottosegretari Augello, Viespoli,  Saia e Buonfiglio.

Berlusconi spiega che il caso sarà valutato in Consiglio dei ministri anche se conferma di non avere alcuna "difficoltà a continuare la collaborazione con "validi esponenti dell’esecutivo". A questo si aggiungono i fedelissimi del presidente della Camera che presiedono le commissioni parlamentari, una su tutte: la commissione Giustizia guidata da Giulia Bongiorno.

Intanto per oggi è già stata annunciata una conferenza stampa di Fini che ieri ha seguito passo passo l’esito del vertice a Palazzo Grazioli nel suo ufficio, insieme ad alcuni fedelissimi. Nessun commento quando a tarda sera ha lasciato Montecitorio. Le parole le spenderà solo oggi, per dire la sua verità.