Il Cav. non stacca la spina a Monti (per ora) e lavora al nuovo Pdl

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Il Cav. non stacca la spina a Monti (per ora) e lavora al nuovo Pdl

10 Maggio 2012

Dimissioni in cambio di riforme costituzionali. Passo indietro per non lasciare cadere nel vuoto l’opportunità di farlo in modo condiviso. Ora servono i fatti: sulla crescita e sulla revisione dell’architettura dello Stato. La mette giù così Berlusconi e il suo è un messaggio che va in tre direzioni: Monti, Casini e i malpancisti del Pdl.

A Monti, il Cav. manda a dire che il suo partito non staccherà la spina: il paese è dentro la crisi e farlo adesso sarebbe una follia. Il che non significa sostegno incondizionato, anzi d’ora in poi saranno valutati i singoli provvedimenti dell’esecutivo e se non condivisi il primo partito di maggioranza in Parlamento potrebbe votare no. Al fronte delle troppe tasse e della poca crescita, Berlusconi aggiunge quello delle riforme costituzionali che vanno fatte entro la fine della legislatura. Ed è anche per questo che non è opportuno far tornare i Prof. in cattedra. Del resto, conferma ricevendo il premio ‘Carli’, lui si è dimesso anche perché c’era l’opportunità di mettere attorno a un tavolo Bersani e Casini per lavorare a testi condivisi. Sui maggiori poteri al premier e il superamento del bicameralismo perfetto l’intesa c’è già, ma non è sufficiente: occorre completare il percorso. Il messaggio a Monti non è solo una rassicurazione ‘condizionata’ (dai fatti) sulla lealtà del suo partito, è anche un monito chiaro ai tanti che dentro il Pdl cavalcano l’esito elettorale in chiave anti-montiana. Della serie: comprendo i malumori ma non è questo il momento. Dunque, le rivendicazioni di gran parte degli ex An e di parte dei forzisti della prima ora, restano in stand by ma tra le righe del ragionamento si può leggere altro. Nell’inner circle berlusconiano c’è la convinzione che dopo i ballottaggi ci sarà una ‘scossa’, un cambio, un rilancio.

Da che parte e come, cioè se sul versante organizzativo o su altro, ancora non è dato sapere ma è chiara la percezione tra i berlusconiani doc che il Cav. abbia compreso l’esigenza di ‘rifondare’ il Pdl. Non è solo questione di nome e simbolo – come finora si vociferava -, c’è qualcosa di più ampio. Forse il tanto auspicato partito dei moderati? Forse la ricostituzione dell’area di centrodestra iniziando da Casini, in attesa di capire con Bossi come andrà a finire?

Più che di partito unico ai piani alti di via dell’Umiltà si starebbe ragionando sull’idea di una confederazione dei moderati. Qui il messaggio è per Casini quando Berlusconi dice che senza le riforme costituzionali “bisogna trovare l’accordo coi piccoli partiti, come il 5% di Grillo, il 6 % di Vendola, il 7% di Di Pietro, il 7% di Casini, il 2% di Fli e il 9% della Lega, che agiscono non per l’interesse comune ma guardando spesso al proprio interesse particolare”.

Tradotto: la performance elettorale terzopolista dimostra poco appeal e che la politica dei due forni non convince l’elettorato. Dunque, Casini decida una volta per tutte da che parte stare. Anche perché nel centrosinistra si starebbe guardando a una riedizione 2.0 dell’Unione prodiana e lo stesso Bersani ieri ha detto che la leadership della coalizione spetta al Pd (cioè a lui stesso). Con buona pace di Casini.

La chiusura del Terzo Polo con un “tweet” è mossa che nei ranghi pidiellini viene letta come un segnale di disponibilità verso la ricomposizione dell’area moderata ma non può bastare né può reggere ancora la pregiudiziale anti-berlusconiana, perché come osserva Gaetano Quagliariello le dichiarazioni di Casini sul fronte dei moderati sono “certamente di buon auspicio, ma speriamo che questa volta alle parole seguano i fatti”. Il segnale colto dal vicepresidente dei senatori Pdl va nel senso “di dover costruire insieme, piuttosto che chiedere sempre a qualcuno di fare un passo indietro. Questo è il momento per il Paese di fare un passo in avanti”. Apertura con riserva, in attesa che il leader centrista giochi a carte scoperte.

Il punto però è un altro: di questi tempi, la politica sta camminando al rallentatore.