Il Cav. promette due anni di riforme e punta su fisco e quoziente familiare

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Il Cav. promette due anni di riforme e punta su fisco e quoziente familiare

25 Maggio 2011

Due anni per le riforme. Silvio Berlusconi guarda oltre i ballottaggi di Milano e Napoli rispetto ai quali avverte che la partita finisce al novantesimo e considera “follia” l’eventuale vittoria di De Magistris o di Pisapia. L’attenzione è tutta rivolta all’agenda di governo e il passo è calibrato sulle misure per la ripresa economica. Ma il Cav. non si sottrae ai temi che agitano il Pdl: dall’ipotesi successione allo scenario di un governo senza di lui in questa legislatura.  

A Porta a Porta, il premier conferma che maggioranza e governo puntano sulle riforme: l’obiettivo prioritario è arrivare al 2013 con il varo del codice unico tributario. Un pacchetto di misure per aiutare le imprese a districarsi nella giungla di leggi e leggine che non solo appesantiscono l’iter degli adempimenti ma rappresentano anche un costo per quanti non sono in grado di vernirne a capo da soli. Tra le ipotesi al vaglio c’è una norma in base alla quale i controlli fiscali non possano durare più di quindici giorni e non possano superare le due volte.

Nel vertice del Pdl a Palazzo Grazioli si è parlato a lungo del dossier fisco e di come procedere per sostenere il settore produttivo che adesso ha bisogno di tornare a marciare e le famiglie. Il premier avrebbe ipotizzato l’introduzione del quoziente familiare e una rimodulazione dell’Iva che potrebbe essere aumentata per i beni considerati non di prima necessità. Ma allo studio ci sarebbe anche l’ipotesi di passare dall’imposta sul reddito a quella sui consumi. Provvedimenti che potrebbero liberare risorse da destinare all’abbattimento delle aliquote fiscali. Obiettivo non facile, visto il rigore nei conti pubblici e gli effetti della crisi economica internazionale non ancora superati, ma resta il vecchio ‘pallino’ del Cav., convinto che nei prossimi due anni ci siano le condizioni per poterlo realizzare. Anche perché adesso la maggioranza è coesa e in parlamento ci sono i numeri per completare il programma di governo, ricorda nel salotto di Bruno Vespa.

Ma c’è un altro punto che il Cav. mette sulla ridda di illazioni con relative polemiche scatenate dall’opposizione  sulla necessità di una manovra da 40 miliardi per raggiungere il pareggio di bilancio. “Non è così, non saremo chiamati a una riduzione di 46 milioni l’anno del debito, dal 2015, cosa che non sarebbe possibile, bensì a una gestione accorta del debito pubblico”, spiega elencando le misure assunte in questi tre anni per sostenere le aziende e ridare ossigeno al sistema Italia. Ed è anche per questo che in serata alla cena di Confindustria si rivolge agli imprenditori e ai vertici dell’associazione di categoria raccomandando di “sostenere di più questo governo, l’unico che è stato vicino alle imprese” e ricordando ciò che sta dentro al decreto Sviluppo che nelle prossime settimane approderà in parlamento.

La sfida per i ballottaggi è certamente importante e il premier ci dedica buona parte dell’intervista a Porta a Porta sottolineando i rischi di una vittoria della sinistra radicale a Milano e Napoli,  contrapponendola alle cose fatte dalla Moratti a Palazzo Marino (dall’Expo, alle tasse che non sono aumentate, alla tariffa dell’acqua più bassa a livello nazionale, solo per citare alcuni esempi) e quelle che Lettieri potrà fare a Palazzo San Giacomo per risollevare Napoli “dal disastro in cui l’ha precipitata decenni di amministrazioni di sinistra delle quali l’Idv faceva parte”.

Ma la sensazione è che il Cav. guardi già oltre e che indipendentemente dall’esito del voto, sia più che mai determinato ad andare avanti proseguendo lungo il cammino delle riforme. Tutto ciò sgomberando il campo da ipotesi che pure sono circolate in questi giorni rispetto alle quali se la partita per Milano e Napoli si traducesse in una sconfitta, potrebbe profilarsi lo scenario di un governo di centrodestra senza Berlusconi alla guida. “Tendo ad escludere questa possibilità” taglia corto il premier che nel ragionamento sul ‘dopo’ ammette di essere “assolutamente disponibile a fare un passo indietro se questo avesse come contropartita la ricomposizione dell’area moderata (compreso l’Udc)  e ci fosse una persona considerata da tutta l’area moderata come unico leader possibile”. Insomma un leader riconosciuto da tutti e in grado di garantire l’unità dello schieramento.

Tuttavia nella risposta c’è una prospettiva che lascia intendere quando spiega: “Nel Pdl ogni volta che accenno alla possibilità di un successore succede il finimondo. Io credo di suscitare la benevolenza di tutti e se gli italiani mi conoscessero tutti avrei il consenso del 100 per cento. E comunque questo problema della successione lo sto affrontando. Sto dando vita a una nuova classe dirigente molto valida, ci sono ottimi ministri nel governo in grado di essere futuri premier. Sono stati fatti dei nomi ma è sempre pericoloso farli, sia per chi è nominato sia per chi non lo è”.

Un passaggio che a ben guardare dice due cose: la questione della successione non è più un tabù, ma Berlusconi resterà al suo posto fino a quando non ci saranno le condizioni. Fino a quando dalla classe dirigente del partito non emergerà un leader riconosciuto, in grado di raccogliere il suo testimone. Infine il capitolo Lega: il premier conferma che l’asse con Bossi è solido, nonostante ci siano state divergenze ma sempre ricondotte a sintesi attraverso il confronto e la mediazione.

Quanto all’idea di una legge elettorale orientata ad un ritorno al proporzionale alla quale il Carroccio starebbe lavorando (col placet di Casini, Bocchino e Bersani), il Cav. tiene fermo il punto sulla validità dell’attuale sistema bipolare. Tema sul quale anche il Pdl sta lavorando con una proposta che dovrebbe essere presentata nelle prossime settimane.

Ma oggi non è questa la priorità nell’elenco delle cose da fare nei prossimi due anni insieme a Bossi col quale – assicura il premier – “c’è un accordo e un’amicizia sicura. Voglio bene a lui e lui vuole bene a me. Non c’è mai stato un solo momento in cui questa amicizia sia stata messa in discussione”. Al punto che il Cav. e il Senatur hanno già deciso che lasceranno la politica “insieme”.