Il Cav. resiste al “teorema rosso”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il Cav. resiste al “teorema rosso”

29 Giugno 2009

Il ragionamento nei ranghi del Pdl ruota attorno alla comprensione della strategia della sinistra: il teorema rosso. E così facendo passa in rassegna tutti i punti sensibili della propria azione politica: dal partito nato tre mesi fa e uscito vincitore dal primo test elettorale, al leader fino ad arrivare al governo e alla maggioranza. 

Il teorema si regge sul combinato disposto mediatico-giudiziario e confida nel piglio dei compagni di Rep e sul pregiudizio ideologico di un manipolo di pm ex sessantottini, nostalgici della lotta politca d’antan. Roba già vista, ma che adesso si ritira fuori dal cassetto impolverato auspicando il colpo di grazia a quel diavolo d’un Silvio. Un castello di carta: dal Noemi-gate, al D’Addario-gate passando per la querelle sui voli di Stato. Almeno fino ad ora.

Il criterio del teorema rosso è azzoppare il capo per azzoppare il centrodestra. Si sa, Berlusconi è un animale da campagna elettorale e una formidabile macchina da voti. In tutte le tornate elettorali il suo impegno diretto è stato determinante come insegnano le politiche 2006 quando proprio lui, praticamente da solo, riuscì a ribaltare le previsioni nella sfida con Prodi. Certo, il Cav. ha sette vite come i gatti, ma se la manovra d’accherchiamento è concentrica e ci si aggiunge pure una buona dose di moralismo dal buco della serratura, l’effetto dirompente può permettere di raggiungere l’obiettivo, è l’auspicio dalle parti del Pd e in quel di Bari. Dunque, colpire il leader per destabilizzare il partito. Così non è:  Berlusconi – si fa notare nelle file del Pdl – non è un leader zoppo tantomeno il Pdl è un partito allo sbando. La riprova sta nelle urne delle amministrative, al primo turno con la conquista di decine di Comuni e Province strappati al centrosinistra ma soprattutto al secondo turno dove nonostante il rischio astensionismo, il centrodestra ha continuato ad avanzare.

Il partito, dunque, è compatto e "nessuno sta pensando a fughe o riposizionamenti". Ciononostante – osserva un autorevole esponente del Pdl – nel teorema rosso c’è un piano B: scatenare la caccia ai berluscones pronti alla exit strategy perchè preoccupati che l’attacco frontale al capo, alla fine, possa andare a segno. Ecco allora che si enfatizza il ruolo di Fini,  i distinguo rispetto alla linea del Cav. letti da sinistra come una manovra interna per fiaccarne la leadership. Pura misitificazione – osservano alcuni maggiorenti pidiellini – perchè il presidente della Camera anche in una fase così complessa, "continua a dare prova di profonda lealtà nei confronti di Berlusconi".

Ecco allora che si cerca di interpretare i silenzi di Giulio Tremonti e avanzare dubbi dentro il Pdl sul ruolo di Gianni Letta e la sua gestione della delega ai Servizi, secondo il quadretto dipinto da L’Espresso quando scrive che Cicchitto e Quagliariello – in realtà i più stretti interpreti proprio della linea di Letta – sarebbero invece gli artefici delle audizioni al Copasir dei vertici Aise e Aisi e dello stesso sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E ancora: si tenta di accreditare fantomatiche mosse tattiche per lanciare l’ Opa sul coordinamento nazionale e scalzare i trumviri (Verdini, La Russa, Bondi), come ipotizzato da alcuni media a  proposito di un certo movimentismo del "panzer" Scajola; fino alla prospettiva di scenari da "governissimo" e strategie di ritorno anticipato alle urne.

Ecco, infine, che si tenta di rinfocolare il refrain della perenne guerra tra Fi e An negli equilibri interni al neonato partito. La realtà è un’altra, dicono dal Pdl. E il documento approvato all’unanimità dalla direzione nazionale ne è la cartina di Tornasole. Significativo da questo punto di vista, il passaggio nel quale si ribadisce che la validità del progetto del partito unitario e dell’alleanza strategica con la Lega di Bossi, sancita da fatto che per la prima volta la vittoria del centrodestra si manifesta sul terreno delle elezioni amministrative dove la sinistra tradizionalmente ha sempre dimostrato una maggiore capacità di radicamento e di tenuta.

Non solo: nel documento ci sono indicazioni precise sul profilo del Pdl che l’esito elettorale caratterizza come "l’unica forza politica veramente nazionale, dotata sul territorio di risorse, militanti, dirigenti politici e amministrativi che un grande partito popolare deve sempre di più saper valorizzare e mettere al centro di un processo di selezione democratica". Proprio il test europeo e amministrativo "rafforza il Governo, il suo rapporto con la maggioranza e con il partito, e premia l’azione ed i risultati conseguiti in un momento particolarmente difficile dell’economia internazionale". Si tratta della risposta "più forte che la maggioranza degli italiani ha voluto dare alle campagne scandalistiche di Palazzo, orchestrate ai danni del governo e del suo presidente da un circuito politico-mediatico-giudiziario con l’obiettivo finale di sovvertire la sovranità del popolo", è scritto nero su bianco.

Certo, in un partito così grande si discute e ci si confronta, a prescindere dalla leadership che è e resta nelle mani di Berlusconi. Passaggio che, a ben vedere, sembra preludere a più ampie convergenze politiche interne al Pdl. Basta osservare, ad esempio, il convegno su "La persona prima di tutto" organizzato per venerdì prossimo a Roma dove tra i relatori si trova di tutto: da Sacconi a Gasparri, da Cicchitto a Lupi e dunque a Cl, da Alemanno a Bondi, da Quagliariello a Frattini fino a Stefania Craxi.
 
Dal teorema rosso al ruolo del partito. Questione sulla quale si riflette, tenendo conto di una serie di elementi. Primo. Come ottimizzare la forza del partito (a livello organizzativo e di radicamento territoriale), superata la fase del rodaggio.  Nei desiderata di Berlusconi – spiegano in Transatlantico alcuni pidiellini – c’è l’intento di rendere più incisivo il lavoro dei triumviri, "non quello di metterli da parte". Per far questo, è necessario completare il processo di amalgama tra Fi e An e superare qualsiasi spinta nostalgica (specie tra gli aennini) affinchè proprio un certo nostalgismo non si trasformi in corrente ma sia parte integrante di un tutt’uno. E il lavoro di Gasparri e Bocchino – si sottolinea – va proprio in questa direzione e "deve essere valorizzato".

Secondo elemento di riflessione. Combattere "qualsiasi tentativo di annessione di pezzi singoli di An da parte dei forzisti e viceversa". In questo senso il rapporto con Fini diventa centrale. Nei ranghi del Pdl si ribadisce che nei confronti dell’inquilino di Montecitorio "c’è grande rispetto istituzionale" ed anche quando lui o i suoi fedelissimi rimarcano posizioni apparentemente divergenti dalla linea del Cav, si devono interpretare "in una logica di dialogo costruttivo, considerandole provocazioni culturali con le quali confrontarsi". Terzo: mettere a punto una "strategia inclusiva nei confronti di Tremonti" finalizzata a far comprendere che nel partito "non c’è alcuna ostilità nei suoi confronti".

Proprio il ministro dell’Economia nell’intervista con Lucia Annunziata a "In mezz’ora" sgombera il campo da ipotesi di "governissimi" e complotti interni alla maggioranza come teorizzato da alcuni quotidiani stranieri. Il governo Berlusconi, dice, "finisce tutta la legislatura, con un crescendo di forze che corrisponde ad un crescendo di debolezza dell’opposizione" sottolineando che  "se non c’hai il Parlamento non sei forte, se c’hai il Parlamento sei forte. Nel Parlamento italiano c’è una voglia di sostegno al governo enorme. Governi tecnici? Lei può anche trovare un tecnico, ma lo manda al Parlamento e avrà un tempo di vita non superiore a quello di uno yogurt. Questo Parlamento e questo governo sono fortissimi l’uno con l’altro".
 
Quarto elemento di riflessione nel Pdl. Consolidare il radicamento nel territorio creando un collegamento sempre più stretto tra il livello centrale e quello periferico (come indicato nel documento della direzione nazionale). Obiettivo: da un lato rafforzare il rapporto tra partito, eletti, iscritti e amministratori locali; dall’altro procedere alla selezione di un classe dirigente "secondo criteri meritocratici". Da questo punto di vista c’è chi, nelle file del Pdl, avanza proposte: da un’accelerazione nella messa a punto degli organi di partito che "vanno convocati con continuità", compresa l’operatività delle 14 Consulte che "non sono organismi di carta", alla revisione di "alcuni coordinamenti regionali e provinciali, specie alla luce del risultato elettorale".

Ragionamenti che muovono da un assunto: il partito c’è ed è unito, nonostante i quintali di fango scaricati addosso al premier. Ma non è più come una volta: colpirne un pezzo non significa togliere di mezzo il centrodestra, nè tantomeno giungere a un 25 luglio. Ed è questo, a ben vedere, il contributo più serio che il neonato partito può dare a Berlusconi per superare anche questo ennesimo tentativo di "killeraggio" politico targato sinistra.