Il Cav. resiste ma prende tempo e in Aula presidia la maggioranza
18 Ottobre 2011
Stallo. Sul dl sviluppo, su Bankitalia e sui numeri della maggioranza a Montecitorio. Il Cav. studia una exit strategy ma non è operazione facile: per la distanza da e con Tremonti sui primi due dossier, oltre al fatto che dentro il pacchetto-crescita “non ci sono soldi e dobbiamo inventarci qualcosa” e per il fatto che in Aula è il governo a dover tenere alta la soglia di sicurezza della maggioranza ed evitare l’incidente parlamentare. Settimana tribolatissima.
Tocca al Cav. monitorare la situazione, come accaduto ieri sul voto per la legge sulla libertà di impresa. Va in Aula e segue le operazioni di voto (lo aveva promesso venerdì) e chiama a raccolta ministri e sottosegretari per evitare brutte sorprese. Paradosso: il governo che dà una mano (numerica) alla maggioranza. Dopo l’addio di Versace e le defezioni di Giustina Destro e Fabio Gava assenti al voto di fiducia, i numeri ci sono ma la soglia di sicurezza di è assottigliata. Gli scajoliani Destro e Gava, pronti a traghettare verso il gruppo Misto sono una grana in più per il Cav. dal momento che siedono in due commissioni: Giunta per il regolamento e Attività Produttive. Nel primo caso la maggioranza è diventata minoranza; nel secondo c’è parità con l’opposizione.
E che la situazione sia precaria lo dimostra il caso della nomina di Matteo Marzotto al timone dell’Agenzia nazionale per il Turismo che ieri andava confermata. C’era il rischio concreto che potesse essere bocciata, al punto che il ministro Brambilla ha dovuto fare marcia indietro. Pratica sospesa, per il momento. In Aula il Pd ha fatto tattica pesante, cercando di fare breccia sulle temporanee assenze di parlamentari del centrodestra. E’ accaduto in due passaggi del voto sull’articolo 41 della Costituzione. In un caso, approfittando di numerose assenze tra i banchi della maggioranza, i democrat hanno messo ai voti una richiesta di rinvio del ddl in commissione.
Disegno sventato dal rientro repentino in Aula degli assenti e alla fine la proposta è stata bocciata per quindici voti di scarto. Nel secondo, su un emendamento che chiedeva la soppressione dell’intero impianto normativo, è stata l’astensione in gran parte dei centristi a sventare il peggio (56 i deputati astenuti) e il governo ha superato la prova con 296 no e 223 sì. I numeri ci sono ma i conti devono tornare ogni volta. Oggi nuovo round di votazioni, con le opposizioni determinate a tirare fendenti tattici nel tentativo di far cadere il governo. Finora tutti gli agguati sono stati respinti ma con livello di fibrillazione tra l’esercito dei pidiellini, il rischio di defezioni dell’ultimo minuto resta dietro l’angolo.
Il Cav. deve sciogliere due rebus, molto ingarbugliati. Prima possibile. L’impasse sul successore di Draghi dovrà essere sciolto – almeno secondo la tabella di marcia – entro domenica quando si riunisce il Consiglio europeo in modo tale che il Cav. possa andare a Bruxelles con la nomina e l’accordo già in tasca. Lui assicura tempi brevi ma non nasconde che “ci sono ancora problemi”. Uno su tutti: l’arroccamento di Tremonti, spalleggiato da Bossi (che pure ieri è tornato a sponsorizzare ‘il milanese’) sul nome di Vittorio Grilli.
Berlusconi è orientato sul candidato interno di Bankitalia Fabrizio Saccomanni (gradito al Colle e al neo presidente della Bce, tuttora in pole position) e tuttavia nella rosa di papabili è entrato da giorni l’outsider Bini Smaghi (anche se molti nel Pdl lo considerano un candidato di bandiera) che si aggiunge alle ipotesi su Domenico Siniscalco, Lamberto Dini e Ignazio Visco (numero due di Palazzo Koch). Questione affrontata ieri nel vertice notturno a Palazzo Chigi per fare il punto sul dl Sviluppo, altra questione ancora aperta. La riunione coi ministri economici – la famosa cabina di regia presieduta da Romani (assente il Prof. di Sondrio) – anche in questo caso fa i conti con le due visioni alternative di Berlusconi e del ministro dell’Economia.
Quest’ultimo vuole un dl a costo zero, puntando molto sulla sburocratizzazione e semplificazione (ci lavora Calderoli) interventi che non incidano nelle casse dello Stato; il premier invece, punta tutto sulle risorse da drenare per rimettere in moto il comparto infrastrutture (attraverso norme a sostegno delle imprese) e buona parte del sistema produttivo, ma per far questo occorre trovare quei “soldi che non ci sono”, come ammette il Cav. Come? Niente patrimoniale è il dicktat di Berlusconi, niente riforma delle pensioni tuona Bossi, niente ipotesi di condono senza prima aver fatto la riforma fiscale. Più che di condono sul tavolo del confronto ci sarebbe l’idea di un concordato fiscale con la Svizzera, (esiste già in Germania e Gran Bretagna) in grado secondo i calcoli, di portare nelle casse dello Stato cinque miliardi. Eppure il ministro Sacconi smentisce qualsiasi ipotesi di condono fiscale “né diretto, né indiretto, né velato”, annunciando che, invece, nel dl ci saranno misure che riguardano il mondo del lavoro e tra queste l’incentivazione del telelavoro specialmente al momento della nascita dei figli, apprendistato e interventi per agevolare le assunzioni.
Insomma, il governo studia come fare, tanto che il Cav. conferma che slitterà di qualche giorno (era atteso domani in Consiglio dei ministri) : “Il provvedimento sarà varato quando il testo sarà convincente, non c’è nessuna fretta”. Il che significa prendere tempo nel tentativo di mettere tutti d’accordo. Frasi che scatenano la reazione di Confidustria e delle altre sigle firmatarie del ‘manifesto’ per lo sviluppo che chiedono interventi strutturali e rilanciano un ultimatum che sa molto di giochi di Palazzo: “Il tempo è scaduto”. Il Cav, invece, prende tempo per disinnescare il timing dei ribaltonisti, ma lo stallo non è e non può essere la exit strategy che cerca.