Il Cav. respinge l’assedio dei pm, il Pdl denuncia: “E’ un nuovo ‘94”
09 Febbraio 2011
Nel giorno del ‘verdetto’ milanese, il premier serra i ranghi e prepara la controffensiva. Due i livelli: politico e giudiziario. La sua risposta alla richiesta di processo immediato : “Uno schifo, una vergogna, farò causa allo Stato”. La risposta del Pdl: un documento per denunciare la persecuzione giudiziaria nei confronti del premier che va avanti dal ’94 e affermare la necessità di “misure a tutela della democrazia” per respingere l’assedio delle toghe politicizzate.
Torna in primo piano la linea dei ‘falchi’ nel muro contro muro con le ‘toghe politicizzate’ e il primo ad attaccare a testa bassa è proprio il Cav. Del resto che la controffensiva fosse netta e decisa lo si era capito già dal mattino quando nella conferenza stampa a Palazzo Chigi per presentare il pacchetto di misure economiche varato dal Consiglio dei ministri, il premier non si era certo risparmiato nel commentare la decisione dei pm milanesi. Poi la convocazione dell’ufficio di presidenza del Pdl.
Passaggio significativo che serve per controbattere politicamente all’offensiva di Milano cui adesso si aggiunge quella di Napoli. Perché la sensazione di fondo è che l’assedio al Cav. sia anche quello alla maggioranza. Ed è proprio all’assedio di certe procure che lo stato maggiore del partito si riferisce nel documento in cui si dice che la decisione dei pm milanesi sul giudizio immediato per il premier presentata al gip nonostante la Camera si sia già espressa e a maggioranza assoluta, “denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche, e disattende gravemente iprincipio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato”.
Il partito, insomma, fa quadrato attorno al leader “vittima da diciassette anni di una persecuzione che non ha precedenti nella storia dell’Occidente”. Il passaggio successivo del documento è altrettanto chiaro quando evidenzia che la procura di Milano “appare ormai come una sorta di avanguardia politica rivoluzionaria, in spregio al popolo sovrano e ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato senza clamori e spesso con grandi sacrifici. Essa agisce come un vero e proprio partito politico, calibrando la tempistica delle sue iniziative in base al potenziale mediatico”.
Il riferimento è al caso della richiesta di giudizio immediato annunciata alla stampa e presentata al gip nello stesso giorno del Consiglio dei ministri dedicato alle misure per rilanciare l’economia. Una tempistica studiata a tavolino che il Pdl rileva anche nella potenziale “dirompenza istituzionale” delle iniziative giudiziarie, come ad esempio l’invito a comparire notificato all’indomani di una sentenza della Corte Costituzionale che avrebbe potuto contribuire al ripristino di un equilibrio tra poteri dello Stato. Dalla Lega Bossi serve l’assist al Cav. sostenendo che i magistrati milanesi hanno compiuto una forzatura e che siamo “alla guerra totale della magistratura contro il parlamento”.
Poi sale al Colle per assicurare Napolitano che il passaggio parlamentare sul federalismo municipale ci sarà e sarà la prossima settimana, anche se in ambienti leghisti si fa sapere che il Senatur non avrebbe apprezzato granchè l’idea di mettere la fiducia sul provvedimento alla Camera che il governo starebbe valutando. I numeri la maggioranza li ha e con quelli si misurerà in Parlamento – è il ragionamento di fondo – anche se c’è chi legge l’orientamento del Carroccio come disponibilità al confronto con tutte le forze politiche fino all’ultimo minuto utile prima del voto, per portare a casa il risultato che lo stesso capo dello Stato ha ribadito dover richiedere il più ampio consenso possibile.
Certo, se la road map economica nei giorni scorsi era la priorità da un lato per rilanciare la crescita dall’altro per rispondere coi fatti alle accuse di immobilismo lanciate contro l’esecutivo adesso la questione giustizia torna centrale, anche perché a questo punto è evidente che si tratta di uno scontro aperto tra poteri dello Stato come forse non si era ancora visto in diciassette anni nei quali l’attacco di certe procure al Cav. è stato serratissimo ma fallimentare.
La sensazione è proprio quello dello scontro finale, dell’ultima partita, quella decisiva. E su questo filone, il Cav. non appare intenzionato a fare sconti a nessuno se è vero che ai suoi avrebbe chiesto di accelerare con le intercettazioni (arenato alla Camera e ricalendarizzato per la prossima settimana) e di studiare norme sulla responsabilità dei giudici quando sbagliano. Non solo, ma si starebbe valutando pure l’eventualità di un decreto legge ad hoc: provvedimento che vista la delicatezza del tema e il contesto attuale, non può e non deve apparire come una forzatura ma come una misura necessaria e utile alla tutela della riservatezza di tutti i cittadini, potenzialmente esposti allo “sputtanamento mediatico”.
Per questo nel vertice coi suoi, il Cav. avrebbe manifestato l’intenzione di parlarne con Napolitano oggi stesso in occasione delle cerimonie per ricordare il dramma delle Foibe. Il Quirinale replica a strettissimo giro affidando a una nota la sua risposta indiretta: non è programmato alcun incontro con il presidente del Consiglio. Frase di per sé eloquente che fa già capire che aria potrebbe tirare dalle parti del Colle; vediamo oggi se premier e capo dello Stato si confronteranno sul tema.
Ad irritare Berlusconi c’è poi la seconda ondata di fango questa volta in arrivo dalla procura di Napoli e che ruota attorno alla starlette Sara Tommasi che in alcune intercettazioni tira in ballo perfino la figlia del premier Marina e il ministro della Difesa La Russa. Insomma un attacco concentrico per “sovvertire il voto degli elettori e colpire un governo democraticamente eletto” è il convincimento del Cav. che nel vertice a Palazzo Grazioli ha ribadito la linea: reagire. Il che significa ribattere colpo su colpo a chi vorrebbe cambiare le carte in tavola, rovesciando il voto popolare.
Una linea che fa presagire che il clima si farà sempre più incandescente nei prossimi giorni, se come osserva Fabrizio Cicchitto “qui non si tratta di un attacco personale, ma di un attacco politico-giudiziario al premier e a tutta la maggioranza”. Quanto alla “prova evidente” che i pm dicono di avere raccolto sul Rubygate, Gaetano Quagliariello non ha dubbi quando sottolinea che “l’unica evidenza sono le clamorose forzature della Procura di Milano, che vuole negare a Berlusconi il suo giudice naturale che è un diritto costituzionale di ogni cittadino, e ormai si comporta come un vero e proprio partito politico, scegliendo i tempi mediaticamente più convenienti per le proprie iniziative”. Coincidenze e tempistica sospette.
Lo scontro, dunque, è ai massimi livelli. A carico del premier i magistrati che indagano sul Rubygate sono convinti di avere la “prova evidente” per entrambi i capi di accusa: concussione e prostituzione minorile. Come? Intercettazioni, atti bancari, testimonianze: 782 pagine, compresi gli atti ricevuti dalla Camera che ha respinto la richiesta di perquisizione domiciliare, le memorie della difesa e le copie delle procedure seguite nella fase investigativa. Da ieri tutto sul tavolo del gip Cristina Di Censo che ha cinque giorni per decidere.
Per le toghe milanesi non c’è reato ministeriale e quindi la via non è il Tribunale dei ministri bensì quella ordinaria. Ma non è tutto così scontato, né automatico dal momento che ci sono una serie di questioni tecniche che il giudice chiamato a pronunciarsi dovrà esaminare con attenzione. Anzitutto la valutazione sulla correttezza di tenere legati insieme le due ipotesi di reato e puntare per entrambe sul rito alternativo come hanno fatto i pm milanesi. In particolare, nel caso di reato cosiddetto minore, cioè la prostituzione minorile, il codice indica l’iter della citazione diretta a giudizio.
Non è così per la procura di Milano anche perché separando le due fattispecie, ci sarebbe stato il rischio di ‘perdere’ il reato minore e di vederlo trasferito all’esame del tribunale di Monza (i fatti al centro dell’indagine sarebbero avvenuti ad Arcore). Uno degli aspetti sui quali i legali della difesa del premier puntano molto. C’è poi un altro aspetto, non meno secondario e sul quale si giocherà molto della battaglia tra accusa e difesa: la competenza dei pm milanesi rispetto all’ipotesi della concussione. I legali del premier insistono nel sostenere che il giudice naturale è il Tribunale dei ministri, come peraltro ha indicato Montecitorio rispedendo gli atti alla procura di Milano. I magistrati, invece, non lo considerano un reato ministeriale perché , spiega il procuratore capo Bruti Liberati, la concussione sarebbe stata commessa con “l’abuso della qualità e non nell’esercizio della sua funzione ministeriale. La battaglia finale è iniziata, ma siamo solo al primo round.