Il Cav. ricuce con Bossi e rilancia Tremonti. Ma il Pdl non ci sta

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Il Cav. ricuce con Bossi e rilancia Tremonti. Ma il Pdl non ci sta

04 Maggio 2011

Berlusconi, Bossi, Tremonti, Pdl-Lega, rimpasto di governo. Ci sono passaggi nuovi nel giorno in cui la maggioranza si ricompatta sulla missione in Libia e a Montecitorio passa la mozione unitaria che archivia lo strappo tra il Senatur e il Cav. Almeno per il momento, perché la vera cartina di Tornasole restano le amministrative, con la battaglia per Milano in testa. C’è di più: il premier mette in pista il titolare di via XX Settembre nella corsa alla successione, dopo aver fatto altrettanto con il Guardasigilli Alfano e questo riapre  ‘giochi’, malumori e movimenti dentro il partito. Infine, le caselle governative da riempire, oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri insieme al decreto per lo sviluppo firmato dal ministro dell’Economia.

L’annuncio del Cav. nell’intervista a Porta a Porta arriva alla fine di una giornata che sancisce la pace  (per i più scettici una tregua) tra Pdl e Lega dopo le scintille dei giorni scorsi. Alla domanda sull’ipotesi della successione nel caso in cui nel 2013 decidesse di fare un passo indietro, risponde così: “Se sarà necessario per il centrodesta mettermi ancora quale candidato alla guida del governo io non mi tirerò indietro. Ma se, invece, verranno fuori altre personalità, e ne abbiamo diverse ‘in primis’ Tremonti, che possono suscitare consenso elettorale, secondo i sondaggi di cui disporremo, io sarei felice di restare ancora in politica ma ad occuparmi del Pdl lasciando ad altri la conduzione del governo”. Affermazione che apre lo spazio ad alcune considerazioni.

La prima e forse la più interessante perché racchiude in sé una novità, è che Berlusconi  per la prima volta scinde la leadership dalla premiership in un contesto – quello degli ultimi diciassette anni – e in un partito dove le due cose sono state sempre una sola. Cosa significa? Intanto segnala che in una prospettiva futura Berlusconi sembra più orientato alla leadership del partito che a quella del governo. Opzione, la prima, che racchiude l’idea di continuità rispetto al progetto fondato nel ’94 prima con Forza Italia, poi col Pdl e proiettato nel solco del grande partito dei moderati. Cosa che non avrebbe la stessa garanzia di durata nel tempo candidandosi ancora una volta alla guida di un esecutivo. A questo va aggiunto che negli ultimi tempi, Berlusconi ha lamentato più volte il peso di un impegno totale e  gravoso al timone di Palazzo Chigi lasciando trapelare anche una sorta di stanchezza personale.

Ma non è detto che sia veramente così e del resto anche la storia più recente lo insegna, perché aprire uno scenario sulla sua successione non è certo l’esercizio che uno come il Cav. predilige e in questo senso l’aver tirato in ballo il nome di Tremonti può voler dire che, alla fine, si tratta solo di un’indicazione se e quando sarà, piuttosto che una designazione in piena regola. Da questo punto di vista la dichiarazione del Cav. può essere anche un modo per allontanare quanto più possibile da lui l’idea del dopo e di un successore.

E però c’è un’altra lettura: l’indicazione di Tremonti col quale nelle scorse settimane i rapporti non sono stati idilliaci (dalle accuse dei ministri per le risorse col contagocce, all’attacco de Il Giornale solo per citare due casi), può rappresentare un modo per consolidare e ridare vigore a un rapporto che è sempre stato forte tra i due, così come tra Tremonti e la Lega. Già, la Lega. Ieri sera a Palazzo Grazioli a cena con Berlusconi c’erano Bossi e Tremonti (oltre ai maggiorenti del Carroccio e del Pdl). Un incontro servito per ricucire lo strappo col Senatur ma anche per concordare con lui e il Professore di Sondrio l’elenco delle nomine che oggi dovrebbero essere sdoganate per il rimpasto di governo e ragionare sul decreto per lo Sviluppo che approda in Consiglio dei ministri e al quale il titolare di via XX Settembre ha lavorato sodo. Un ulteriore segnale di riavvicinamento tra il Cav. e il Senatur, un riconoscimento forte al ruolo di Tremonti e non solo in questa legislatura.

Gaetano Quagliariello non si attarda in congetture e ipotesi su un futuro che ancora non si intravede, preferisce andare dritto al punto quando dice che questa legislatura finirà con Berlusconi e che solo dopo bisognerà vedere se il premier avrà intenzione di candidarsi o meno, fermo restando che la sua leadership è fortissima e indiscussa e che dunque non ci sarà bisogno di star lì a decidere chi potrà sostituirlo. Nel caso in cui, invece, Berlusconi decidesse di fare un passo indietro in quel momento e solo allora, si aprirà un confronto nel partito e sarà il partito e la sua classe dirigente a pronunciarsi, tenuto conto della moral suasion del Cav. su una rosa di possibili candidati, compreso Tremonti uno dei più “autorevoli” tra i papabili.

Nell’ipotesi futura di un dopo-Berlusconi, il vicepresidente dei senatori Pdl, fa un parallelo con ciò che è accaduto in Francia con De Gaulle sottolineando che “così come il gaullismo è esistito anche dopo De Gualle, ci sarà un berlusconismo che esisterà anche dopo Berlusconi”.  Ma il punto sul quale Quagliariello si sofferma è un altro e riguarda i tentativi di archiviare il Cav. e il berlusconismo per via giudiziaria che hanno attraversato pure questa legislatura. Lo snodo centrale che in un certo senso ha diviso in due la legislatura è stata la bocciatura del Lodo Alfano che ha acuito il conflitto tra magistratura e politica con una parte delle toghe che si sono impegnate nella cosiddetta “giustizia creativa”, non più attenendosi al compito assegnato loro dai padri costituenti – cioè applicare la legge – ma esercitando di fatto un ruolo che ha finito per sconfinare dall’alveo originario. Ecco perché la riforma costituzionale della giustizia è “una priorità per il Paese”.

E il Senatur? Interpreta le parole del premier su Tremonti più come una tattica giocata in chiave scaramantica che una reale designazione rimarcando che “dopo di lui non ci sarà il diluvio. Berlusconi resterà a lungo, si sa che io sono amico di Tremonti ma secondo me Berlusconi dice le cose per allontanare il più possibile il momento”. Maroni è più netto riconoscendo Tremonti non solo come “ottimo ministro” ma pure come “ottimo presidente”. Il diretto interessato ovviamente sta in silenzio anche se negli ambienti ministeriali non si nasconde che il riconoscimento da parte del Cav. è stato molto apprezzato. Alfano non si scompone e taglia corto “se l’ha detto Berlusconi è una cosa condivisibile”, mentre il ministro Meloni pare un po’ interdetta commentando lapidaria “se lo dice Berlusconi…”.  

Resta il fatto che l’indicazione di Tremonti alla futura successione può essere letta anche come un modo per rinsaldare l’asse con la Lega e in effetti nell’intervista a Porta a Porta il Cav. ridimensiona e di molto le tensioni degli ultimi giorni col Carroccio confermando che con Bossi “non c’è stata alcuna incomprensione.La mozione sulla Libia ha dimostrato la solidità e la coesione della maggioranza contro le divisioni dell’opposizione”. Certo, ammette che talvolta ci sono “dialettiche che si originano soprattutto nei periodi elettorali, a cui la Lega è molto sensibile”, ma alla fine “si è sempre trovato un modo per ragionare bene e arrivare a soluzioni condivise”. Ulteriore riprova della volontà di riannodare il filo è il vertice serale con al centro il ragionamento sulle “grandi riforme”. E nella stessa direzione, il Cav. difende la politica del rigore nei conti pubblici portata avanti dal Professore di Sondrio.

Se con Bossi e Tremonti la burrasca sembra passata,  non si può dire altrettanto nelle file del Pdl dove le parole del Cav. sul ministro dell’Economia hanno ridestato alcuni malumori, specialmente tra i ministri che spesso hanno manifestato una buona dose di insofferenza per i tanti no di Tremonti sullo stanziamento delle risorse richieste. C’è poi la questione dei riposizionamenti all’interno del Pdl già esplosa alcune settimane fa con le cene tra le componenti interne pidielline. A Montecitorio, ad esempio, non è passato inosservato il colloquio tra Tremonti e Scajola, letto da molti parlamentari come il tentativo dell’ex ministro dello Sviluppo di stabilire un rapporto che forse varrà anche in chiave futura.  

Ma i maldipancia ci sono anche sul capitolo rimpasto di governo, da un lato per la ‘famelicità’ dei Responsabili, dall’altro per il fatto che dal Carroccio sarebbe arrivata la richiesta di due sottosegretari. Oggi la ‘pratica’ verrà esaminata nel Consiglio dei ministri: le indiscrezioni parlano di quattro poltrone per il gruppo guidato da Sardelli anche se aspettative e ambizioni sono di gran lunga maggiori rispetto ai posti disponibili.

Intanto, il dato politico di ieri è che la maggioranza ha incassato  l’ok di Montecitorio sulla mozione Libia con 309 sì e 294 no. Non solo ma con l’astensione, ha favorito l’approvazione anche di quelle di Pd e Terzo Polo, mentre è stata respinto il testo ‘pacifista’ presentato da Di Pietro. Il paradosso sta tutto in casa democrat dove Bersani per venire incontro alle richieste dei cattolici, alla fine ha lasciato sul campo tredici voti.

Il centrodestra, dunque, ritrova la coesione dimostrando ancora una volta di avere i numeri in parlamento e di poter condurre in porto la legislatura. Tuttavia, il vero ‘scoglio’ restano le amministrative e in particolare la sfida a Milano considerata dallo stesso premier un test politico nazionale. E c’è da scommettere che dopo il 16 maggio sarà così, anche per la tenuta dell’asse con Bossi e il cammino della legislatura.