Il Cav. rompe lo schema di Fini e prepara una mossa in quattro punti
19 Agosto 2010
Un documento politico in quattro punti. Alcuni già discussi e votati in Parlamento altri da stendere in disegni di legge alla ripresa dei lavori parlamentari. Fisco, Sud, federalismo, giustizia e probabilmente un passaggio su immigrazione e sicurezza, sono i temi dell’agenda di governo, la fase due della legislatura.
Al tempo stesso, banco di prova – definitivo – per la tenuta della maggioranza, cartina di Tornasole del rapporto inclinato tra berlusconiani e finiani, ultima verifica per andare avanti o tornare alle urne. Nel vertice di oggi a Palazzo Grazioli lo stato maggiore del Pdl metterà nero su bianco le coordinate programmatiche: cornice e contenuti. Un documento sul quale Berlusconi ha tutta l’intenzione di chiedere la fiducia alle Camere.
Intenzione che alla vigilia del summit appare sempre più chiara e orientata a “inchiodare” i ribelli finiani che hanno traslocato in Futuro e Libertà ad una responsabilità politica grossa come una casa: un sì o un no in Parlamento sul pacchetto di riforme da varare nella seconda parte della legislatura. La linea della maggioranza è netta e nella breve ma concitata pausa agostana è stata ribadita a più riprese da tutti i big del partito: se ci sono i numeri si va avanti, altrimenti si torna davanti agli elettori.
E in questo caso, i nomi e i cognomi di chi provocherà la crisi di governo saranno chiari a tutti. Ecco perché anche ieri da via dell’Umiltà si sottolineava che la continuità dell’azione dell’esecutivo e il futuro del governo passano solo da un’adesione “piena a quest’agenda”. Sul tema più controverso – la giustizia – il Pdl non chiude la porta a qualche possibile aggiustamento come ha fatto intendere il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello in un’intervista su Qn, ma deve essere chiaro che la sostanza dei provvedimenti non cambierà, tantomeno si riaprirà la trafila delle mediazioni o delle trattative coi finiani.
Avanti quindi sul Lodo Alfano costituzionale, sul processo breve (che Fini non gradisce) e sulla riforma del processo penale. Insomma, una sorta di ‘prendere o lasciare’. E nonostante l’appello del Cav, ai finiani ‘moderati’ e il tentativo di riportate nelle file del Pdl chi ha scelto di stare col presidente della Camera per lealtà pur non condivendone appieno la linea politica (vedi il caso di Souad Sbai), giocato sull’inviolabilità del patto sancito con gli elettori, i margini di ricucitura ad oggi non ci sono. E come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco è stato il durissimo editoriale di Farefuturo a firma del direttore Filippo Rossi (ma in molti nel Pdl sospettano che l’ispiratore sia Fini) che malgrado la precisazione dei capigruppo di Fli Bocchino e Viespoli, alza il livello dello scontro e archivia l’epoca berlusconiana come un mix di “slogan, di signorsì, e di canzoncine ebeti da spot pubblicitario, di editti, dossier aggio, ricatti e killeraggio”.
Una posizione che, secondo alcuni esponenti del Pdl, mette una pietra tombale sulla possibilità di un riavvicinamento delle posizioni tra il partito del premier e quello del presidente della Camera. Lo stesso Berlusconi avrebbe preso malissimo l’editoriale del web magazine e pure la lettera sarcastica di Fabio Granata che lo sollecita a chiedere scusa all’ex leader di An. E c’è chi nella maggioranza ribadisce il concetto: noi non vogliamo il voto, tuttavia è sempre più palese che sono i finiani a voler mettere in crisi il governo.
Ma qual è la strategia del Cav? Il vertice di oggi indicherà il percorso anche se appare ormai chiaro che il premier si muove su due fronti. Il primo: verificare fino in fondo e fino all’ultimo se nel gruppo dei finiani – dove peraltro si sono già aperte delle crepe – è possibile recuperare un dialogo “costruttivo” con quei parlamentari che di aprire la crisi di governo o riaprire i distinguo sui singoli provvedimenti non hanno alcuna intenzione. Ecco perché avrebbe dato incarico ai suoi di sondare il terreno con l’obiettivo di riportare “all’ovile” chi non vuole accollarsi la responsabilità di interrompere il cammino della legislatura. Il secondo: preparare il percorso verso il voto anticipato, magari a marzo, che anche ieri il leader della Lega Bossi è tornato a invocare ipotizzando addirittura il mese di dicembre come d-day elettorale, insieme alle dimissioni di Fini da presidente della Camera.
Un fatto è certo. Se un mese fa il premier era dato ormai all’angolo, nello spazio di poche settimane è riuscito a ribaltare il tavolo, rispendendo la palla nel campo dei finiani. Il documento politico uscito dall’ultimo ufficio di presidenza del Pdl (a fine luglio) ha segnato “la svolta”, quella che in molti definiscono “la riscossa” del Cav, rispetto agli strappi per mesi operati dagli uomini del presidente della Camera, in Parlamento e sui media. Adesso la responsabilità di ciò che accadrà da qui a settembre è tutta nelle mani dei finiani: se condivideranno i quattro punti programmatici non potranno poi mettersi di traverso, se non lo faranno apriranno di fatto la via verso le urne.
Una strategia che in molti tra i berlusconiani della prima ora, paragonano a quelle che nel corso di questi quindici anni il Cav ha intuito e tradotto in fatti riguadagnando terreno e consensi proprio nel momento in cui tutti lo davano per spacciato.
Come nel ’94 quando sul finire della campagna elettorale per le politiche “Violante dice che c’è un dossier aperto a Catania su un traffico d’armi nel quale si ipotizza sia coinvolto Dell’Utri – ricorda un fedelissimo del Cav -. Berlusconi rovescia il tavolo e costringe Violante alle dimissioni da presidente della commissione antimafia. C’è poi il caso delle liste di Fi sequestrate in Calabria proprio durante la campagna elettorale, ma alla fine vincemmo le elezioni. Non solo, dopo due mesi di governo vinciamo anche le europee passando dal 20 al 30 per cento dei consensi”.
Nello stesso anno arriva l’avviso di garanzia recapitato a Berlusconi durante il vertice di Napoli e alla fine del ’94 la Lega di fatto apre la crisi. Il premier si dimette e tutti “dicono che è politicamente finito. Arrivano pure i referendum sulle televisioni con lo spettro di un forte ridimensionamento dell’azienda berlusconiana, ma quei referendum sanciscono la sua riscossa: fu un successo con un quorum del 57 per cento e la vittoria dei no su tutti e tre i quesiti”.
Nel ’96 la mossa del Cav, gli consente ancora una volta di sparigliare i giochi: il governo Dini è bloccato e lui propone un governo per le riforme. Nasce “l’ipotesi del governo Maccanico che Fini fa fallire. Si va ad elezioni senza la Lega e perdiamo al Nord, Prodi va a Palazzo Chigi. Anche allora dissero che Berlusconi era finito ma lui si rimette in moto – la famosa traversata del deserto – spendendo tempo ed energie nell’unica mossa vincente: ricucire con Bossi. Intanto affida il partito a Scajola per riorganizzarlo e rilanciarlo. Così fino al ’99 quando di lì’ a poco arriverà la svolta delle elezioni politiche”.
Oggi il Cav rompe lo schema della gabbia nella quale Fini lo vorrebbe rinchiudere. Sta rischiando grosso, ma tra un lento logoramento e lo choc del voto anticipato, il Cav sembra non avere più dubbi.