Il Cav. sale al Colle per dire che senza di lui c’è solo il voto
21 Settembre 2011
Un faccia a faccia richiesto. I rumors di Palazzo raccontano così l’ora e passa di colloquio tra Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi, al termine di un’altra giornata complicata sul fronte politico e quello economico-finanziario. Con la notizia appresa proprio durante il vertice al Quirinale del taglio del rating su sette banche italiane deciso da Standard & Poor’s.
Un faccia a faccia che sarebbe stato chiesto da Palazzo Chigi dopo il giro di ‘consultazioni’ che il Capo dello Stato aveva avviato nei giorni scorsi ricevendo al Colle i big di maggioranza e opposizione. Una mossa non digerita granchè dal Cav che per questo sarebbe andato a dire che il premier è lui e che senza di lui c’è solo il voto. Strategia per uscire dall’angolo nel quale certi pm e l’opposizione vorrebbero cacciarlo, una volta per tutte. I bene-informati parlano di un incontro a tratti teso dove il premier avrebbe ribadito quanto va dicendo da giorni: nessun passo indietro, niente governi alternativi, vado avanti perché ho i numeri in parlamento e chi ha intenzione di mandarmi a casa se ne deve assumere la responsabilità nell’unico luogo deputato: l’Aula.
Un doppio obiettivo nella strategia che ieri ha mostrato un premier combattivo che al mattino ha parlato chiaro a Bossi sul voto di oggi a Montecitorio sul dossier Milanese, nel pomeriggio ha riunito lo stato maggiore del Pdl con il bis a tarda sera e che oggi presiederà un Cdm con un ordine del giorno prioritario: un pacchetto di misure per la crescita, così come auspicato dal Colle. Il primo: confermare che i numeri in parlamento ci sono e non ha intenzione di fare passi indietro. Della serie: non c’è spazio per governi alternativi, di transizione o di larghe intese perché se anche il governo dovesse cadere, l’unica via restano le elezioni. Il secondo: mandare segnali chiari da un lato a Bossi e in particolare ai maroniani (sui quali resta appuntata l’attenzione e una certa fibrillazione collegata al rischio di franchi tiratori), ma anche ai frondisti del Pdl (vedi Formigoni, Alemanno, Scajola) che nelle ultime settimane si sono aggiunti al coro bipartisan del ‘passo indietro’.
Insomma, il Cav. brandisce lo spettro del voto che in realtà nessuno vuole: né il Pdl, né Bersani, tantomeno Casini, men che meno i malpancisti pidiellini. E lo fa alla vigilia del voto su Milanese per avvertire che non sono ammessi passi falsi, ora serve coesione. Lo stesso concetto chiarito nell’incontro a Palazzo Grazioli col Senatur che in serata raggiunge il gruppo parlamentare riunito alla Camera e detta la linea: no all’arresto dell’ex braccio destro di Tremonti.
Quel “noi votiamo per non far cadere il governo” pronunciato ai giornalisti prima di entrare nel ‘conclave’ padano e il fatto che il suo intervento è durato lo spazio di qualche minuto, sono due indizi che fanno pensare a un riallineamento del Carroccio sulle posizioni della maggioranza, al netto delle diatribe interne. Già, è questa l’incognita che solo oggi e in Aula, potrà essere sciolta; perché tra i fedelissimi del ministro dell’Interno resta comunque la tentazione di votare non tanto secondo coscienza quanto secondo coerenza, cioè come fatto con Alfonso Papa. E l’insidia maggiore è rappresentata dal voto segreto.
Ma è altrettanto vero che lo stesso Maroni ieri è sembrato condividere l’ordine di scuderia del capo, segno evidente che in questa fase non ha intenzione di accollarsi una responsabilità tanto grande come quella di agevolare una crisi di governo. Come a dire: per il redde rationem c’è tempo.
Un faccia a faccia a tratti teso quello tra il Cav. e Napolitano con quest’ultimo a ribadire la preoccupazione per la gravità della situazione economica, compreso lo scenario di un ipotetico (ma non remoto) peggioramento del quadro attuale, a fronte del quale il Capo dello Stato avrebbe chiesto a Berlusconi chiarimenti sullo stabilità del governo e la compattezza della maggioranza in parlamento. Napolitano non avrebbe fatto mistero delle perplessità derivate dalle tensioni nel centrodestra e per questo avrebbe sollecitando assicurazioni sul fatto che l’esecutivo ha la forza e il livello di coesione necessari per assumere le decisioni che servono a fronteggiare i numeri del debito pubblico e a difendere la credibilità del paese sulla scena internazionale dagli attacchi degli scettici di turno.
Se Napolitano fa il suo mestiere, pure con accenti tavolta inconsueti, ciò che colpisce è il continuo ricorso, appello, supplica che ormai quotidianamente arriva dalle opposizioni e dai salotti buoni dei politicamente corretti, circa un suo intervento ‘risolutore’. Ultimo in ordine temporale, Di Pietro che a Napolitano chiede di “interrompere l’agonia” prima che “ci scappi il morto”. Frase pesantissima che poco il leader Idv è costretto a correggere sotto il fuoco delle critiche.
Insomma, adesso si pretende che sia il Capo dello Stato a staccare la spina. Ma come da Costituzione, se un governo ha i numeri per governare non spetta al Quirinale mandarlo a casa. Napolitano lo sa bene e se si guarda alle sue dichiarazioni più recenti si comprende come non sia disposto a farsi tirare per la giacchetta.
Per mandare a casa il governo ci sono un luogo e uno strumento: il parlamento e la mozione di sfiducia. E’ la sfida del Cav. ed è su questo che gioca la carta del voto; certo, una extrema ratio ma l’unica via possibile che, in caso di necessità, potrebbe scegliere di percorrere. Un modo per uscire dall’angolo, per ribaltare il tavolo, per mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità.
Un modo per far uscire allo scoperto chi – fuori e dentro la maggioranza – vorrebbe accompagnarlo alla porta di Palazzo Chigi senza passare dall’Aula. La stessa Aula che oggi dirà qualcosa in più sulle sorti della legislatura.