Il Cav. seppellisce il partito del Sud: “Progetto iniquo, non ci sarà”
22 Luglio 2009
Il partito del Sud? “No, non ci sarà. E’ un progetto iniquo”. E chi pensa di metterlo in piedi, alla fine "desisterà" perché è un’iniziativa “che va nella direzione opposta” alle cose già fatte e quelle da fare per il Mezzogiorno. Silvio Berlusconi sceglie la direzione nazionale del partito riunita a Montecitorio per dire cosa e come la pensa sui movimentismi di Miccichè e Lombardo. E il giudizio è netto. Ricorda l’impegno del governo, i sette miliardi stanziati per le opere al Sud e i fondi destinati al Mezzogiorno che “il ministro dei Lavori Pubblici può confermare”.
No, nessun partito del Sud. Il premier ripete il concetto davanti ai vertici del partito mandando un segnale molto chiaro al governatore siciliano e in particolare al sottosegretario alla presidenza del Consiglio: “ Io che conosco bene le persone che ne stanno parlando sono sicuro che daremo soddisfazione e saremo capaci di rassicurare coloro che si preoccupano della Sicilia. Non credo che alcune persone possano esporsi alla creazione di un nuovo partito in distonia con il premier con cui hanno anche un rapporto affettivo”. Anche perché il Cav. sta per mettere in campo un piano per il Mezzogiorno sul quale intende accelerare. La migliore risposta – osservano dal Pdl – per stoppare programmi e intenzioni che, oltretutto, andrebbero in rotta di collisione con una “delle cose più importanti che abbiamo fatto” e che lo stesso premier rivendica come tale: la realizzazione di un sistema bipolare tendente al bipartitismo. Come a dire, nessuno spazio per chi riproporrebbe il vecchio schema della frammentazione politica cui si aggiungerebbe quello ancora più deleterio a livello territoriale.
Concetto ripreso da Tremonti che Miccichè e Lombardo vedono come il nemico numero uno del Sud, il ministro che privilegia il Nord e non vuol dare al Mezzogiorno i fondi per le aree sottoutilizzate (gli ormai famigerati Fas). Proprio lui dice no a posizioni da muro contro muro e rilancia la necessità di progetti strategici per il Sud. Come? La sua “ricetta” prevede una sorta di cabina di regia a Palazzo Chigi finalizzata al coordinamento degli investimenti e delle risorse da destinare sul territorio nazionale, partendo proprio dalle regioni meridionali. In altre parole, interventi diversi dal passato, formule innovative che superino i progetti micro-settoriali che di risultati ne hanno portati zero. Il ragionamento del titolare di via XX settembre muove dalla consapevolezza che serve un cambio di rotta radicale e decisivo, visto che l’Italia sta diventando sempre più un “paese duale”, con il Nord che ha raggiunto livelli di ricchezza al di sopra della media europea e il Sud penalizzato dagli effetti di problematiche anche di tipo antropologico ed errori gestionali a livello amministrativo. Tremonti dunque, attribuisce alla questione meridionale un rilievo nazionale e dice che va affrontata, anche per scongiurare la tendenza a quel dualismo Nord-Sud considerato “pericoloso”. E chi pensa ad un partito ad hoc, continua “a ignorare fatti di antropologia e di costume”.
All’azione del governo si aggiunge quella dei gruppi parlamentari. Passaggio sul quale Quagliariello e Cicchitto concentrano l’attenzione. Il vicepresidente vicario dei senatori del Pdl non usa giri di parole quando osserva che per come “è stata posta la questione di un fantomatico partito del sud, è un’iniziativa che non sarebbe irrilevante rispetto alla questione meridionale, ma le farebbe fare un passo indietro”. Una sfida per il Pdl dalla quale “potrà uscire solo mettendo a punto una nuova elaborazione teorica, alla quale stanno lavorando i gruppi di Senato e Camera, un’incisiva azione di governo e un’efficace mobilitazione politica”. Perché, aggiunge, non bisogna lasciare strada a chi “vuol far rischiare al Pdl, unico partito veramente nazionale e a vocazione maggioritaria, di subire il primo caso di particolarismo, al quale poi ne potrebbero seguire altri”.
Il rischio c’è e va scongiurato. Per il presidente dei deputati Pdl c’è bisogno di una politica per il Meridione, lontana anni luce dal vecchio modello assistenzialista. Il partito del Sud , rimarca Cicchitto di certo “non è la risposta giusta”. Giudizi e proposte in linea con gli interventi degli altri big del partito, Gasparri e La Russa in testa, che bocciano senza appello il progetto di Miccichè e Lombardo.
Non solo Sud. Sul tavolo del Pdl ci sono altri dossier: analisi del voto, fase due del partito, strategie in vista delle regionali del prossimo anno. Anche qui Berlusconi traccia la via e la parola d’ordine è “territorio”: “Siamo riusciti a fondere sette partiti nel Popolo della Libertà; abbiamo fatto dell’Italia un Paese bipolare, ora dobbiamo impegnarci di più nel territorio investendo anche sui giovani”, dice ai suoi. Indicazione che non prescinde dall’analisi del voto sull’election day di giugno, riassunta in un dossier consegnato nel corso della riunione a Montecitorio.
La radiografia che ne esce, evidenzia che l’astensionismo non ha penalizzato la performance del Pdl forte di “un grande risultato, il 35, 26% e oltre 10milioni di voti”. I suffragi personali di Berlusconi sono in aumento rispetto al 2004 (+ 359. 187 consensi), nonostante “l’equivoco per gli elettori dell’inserimento del suo nome nel simbolo elettorale”. L’altro dato che il dossier mette in luce riguarda il mancato sorpasso della Lega sul partito unico nelle regioni del Nord. E il “travaso” di voti dal Pdl al Carroccio “potrebbe essere quantificato in poco meno di 100mila preferenze”. Quanto al “peso” elettorale delle altre forze politiche, nel volume di 160 pagine, si legge che il partito di Casini “non ha intercettato i supposti voti in uscita dal Pdl, mentre ha riconfermato un’attrattività nei confronti dei delusi del Pd”. L’Italia dei Valori, invece, “ha un consenso tutt’altro che solido e strutturato” che “dipende fortemente dal voto di opinione, che oggi può premiare una formazione politica e domani un’altra”. Il focus sul Pd evidenzia la perdita di “sette punti percentuali rispetto alle politiche del 2008”, coi voti dell’elettorato di riferimento che hanno preso tre direzioni: la via dell’astensione, quella della sinistra radicale ma anche quella del centrodestra.
L’altro elemento di valutazione è sulla conflittualità interna a livello locale che ha penalizzato il Pdl alle amministrative nonostante il partito abbia ottenuto “un’affermazione considerevole”. Soprattutto a Bologna, Bari e Foggia, casi citati nel dossier. Infine, le regionali 2010. Tema sul quale il coordinatore Denis Verdini osserva che il problema è valutare le alleanze, a cominciare da quella con l’Udc. Il contesto di riferimento deve essere quello nazionale, la tendenza è a stringere intese ma Verdini pone una condizione: sì solo se il partito di Casini non fa accordi con il centrosinistra, come peraltro è accaduto già alle recenti amministrative.
La Russa torna sulla struttura del partito. Dice che “bisogna affrontare i problemi senza scaricarli su chi ricopre incarichi superiori o inferiori” ed esorta il Pdl alla costituzione degli organismi di partito, alla convocazione costante (“anche quando sembra superfluo”) e al loro funzionamento. Ma i toni decisi sul serve-più-democrazia dentro il Pdl usati nell’intervista a La Stampa, li lascia fuori dalla porta di Montecitorio.