Il Cav. si prende il Ppe e Walter  è in affanno

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Il Cav. si prende il Ppe e Walter è in affanno

20 Novembre 2007

Elezioni il più presto possibile, prima che la lenta agonia del governo Prodi possa erodere irrimediabilmente il consenso delle forze politiche che lo sostengono, e in particolare del Partito democratico e del suo leader. Una legge proporzionale pura, che garantisca alle due maggiori forze in campo, da una parte e dall’altra, un risultato che in ogni caso non potrà essere interpretato come una sconfitta, ma alla peggio come una mezza vittoria. Un sistema che abbia nel centro politico l’autentico terreno di confronto, con le rispettive ali – a sinistra molto più che a destra – depotenziate nella capacità di determinare gli indirizzi delle coalizioni e costituirne il baricentro. E probabilmente liste bloccate che permettano al neo-condottiero di disegnarsi un Pidì a propria immagine e somiglianza, attraverso il controllo dei gruppi parlamentari.

E’ questo l’irrinunciabile scenario che Berlusconi – spiazzando in un sol colpo alleati che si credevano molto furbi e avversari in attesa di uno sbocco che autorizzasse il “regicidio” – ha offerto in dote a Walter Veltroni con la sua mossa a sorpresa. E al quale il sindaco di Roma, al di là della retorica sulla durata del governo e sull’urgenza delle riforme istituzionali, difficilmente potrà rinunciare. Il tavolo delle trattative, dunque, molto probabilmente si aprirà. E poggerà su una oggettiva convergenza di interessi contingenti, ma su un rapporto di forza tutt’altro che paritario.

Gli scenari, naturalmente, sono ancora tutti da definire, nel breve così come nel medio e nel lungo periodo. Ma ancora una volta saranno gli altri, e non Berlusconi, a doversi riposizionare per evitare di essere travolti dagli eventi. Gianfranco Fini, per esempio, mentre mostrava i muscoli nello studio di Porta a porta, definendo “campata in aria” la road map tracciata dal Cavaliere per approdare alle urne dopo aver varato una nuova legge elettorale e ponendo la conservazione dell’assetto bipolare come condizione per trattare sul sistema proporzionale, forse non sapeva che nella sala stampa della Camera qualche minuto prima persino un insospettabile come Giovanni Guzzetta aveva appena ammesso che “il bipolarismo italiano ha dei problemi, bisogna passare da un bipolarismo di coalizione a un bipolarismo dei soggetti a vocazione maggioritaria”.

Al di là dei toni degli ultimi giorni, esacerbati anche dall’eco di vicende non strettamente politiche, è evidente che la posizione di Alleanza nazionale è destinata a definirsi nel futuro. Se le condizioni di salute del governo dovessero aggravarsi, è difficile che Fini possa continuare a sostenere a lungo che finché c’è Prodi bisogna sedersi al tavolo delle riforme, perché probabilmente anche i suoi elettori avrebbero qualche difficoltà a capire. Anche perché la mano tesa di Veltroni ha tutto l’aspetto di una parte in commedia della quale il segretario del Pd non aspetta altro che di poter svestire i panni alla prima occasione propizia. E l’occasione propizia dopo la mossa di Berlusconi sembra essere arrivata.

Come, in che direzione e con quale tempistica An definirà la propria collocazione, dipenderà – oltre che dagli eventi – anche dalla declinazione concreta che il progetto berlusconiano assumerà. Diverso è il discorso per quel che riguarda l’Udc, cui il Cav. ha spuntato in partenza l’arma della contrapposizione di merito, tant’è che un uomo avveduto come Rocco Buttiglione, commentando la posizione di Fini sulle riforme (istituzionale e elettorale) ha trovato strano che il leader di An “ieri non voleva niente e oggi vuole tutto. La nostra posizione – spiega – è un po’ diversa. Non attacchiamo Berlusconi, anche perché consideriamo positiva l’apertura sul proporzionale tedesco”.

Già, come criticare l’ex premier dopo aver preconizzato tanto a lungo la fine del bipolarismo e il fallimento del sistema maggioritario? L’Udc non può, e i suoi maggiorenti l’hanno capito subito. Alla loro abilità starà ora trovare un proprio spazio che realisticamente non potrà essere quella “prateria” che qualche poco accorto esponente del partito di Casini – che sta per perdere Giovanardi e i suoi, in procinto di transitare nella formazione che verrà – ha ritenuto che la creazione del nuovo partito berlusconiano potesse spalancare al centro.

Nel centrosinistra la situazione è al contempo meno complessa da interpretare ma più difficile da risolvere. Lo smottamento seguito alla nascita del Pd ancora si sente. La costituente della Cosa rossa stenta a decollare. Bertinotti, protetto dalla sua grisaglia istituzionale, ancora non s’è capito a che gioco intende giocare. E leggendo in controluce talune dichiarazioni comparse in queste ore nelle agenzie di stampa, oscurate dal sisma tellurico in atto nel centrodestra, si comprende come una delle questioni più spinose emerse durante la fusione tra Ds e Margherita e rinviata a data da destinarsi si stia riproponendo prepotentemente all’attenzione: la collocazione europea del Pd. Mentre infatti Berlusconi faceva del riferimento alla casa del Ppe la ragione sociale del nuovo soggetto politico, Pierluigi Castagnetti si domandava a che titolo Veltroni “intende partecipare al consiglio del Partito socialista europeo in programma a Sofia”, definendo la posizione internazionale del Partito democratico “un nodo aperto”. A stretto giro, Giorgio Merlo definiva la presenza di Veltroni a Praga “un fatto politico importante” il quale, però, “dovrebbe registrare la piena e convinta adesione politica di tutto il partito”.

Più facile a dirsi che a farsi. Per Castagnetti, infatti, il Pse non è altro che una “casa dei nonni, seppure ritinteggiata un po’”. Ma se l’opzione alternativa, ovvero il Partito popolare europeo, è il perno attorno al quale Silvio Berlusconi intende gettare le fondamenta del suo nuovo partito, è evidente che il Pd si trova in un vicolo senza uscita. Il Cavaliere è riuscito anche in questo intento.