Il Cav. spegne le fondazioni in odore di corrente e dà l’aut aut ai finiani

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Il Cav. spegne le fondazioni in odore di corrente e dà l’aut aut ai finiani

08 Luglio 2010

Quella di Silvio Berlusconi con Gianfranco Fini è come una partita a scacchi, dove non servono prove muscolari perché ciò che conta è tattica, calcolo, strategia, equilibrio, cautela. Così chi aveva scommesso che il vertice a Palazzo Grazioli avrebbe prodotto il big bang con gli uomini del presidente della Camera, è rimasto all’asciutto. Almeno per ora.

No, la linea del Cav. è un’altra: nessuna forzatura, non si caccia nessuno dal Pdl, piuttosto si mette nelle condizioni di scegliere se stare di qua o di là. Una volta per tutte e con la dovuta assunzione di responsabilità, qualsiasi strada si decida di seguire, specie in Parlamento.

E’ il concetto che a tarda sera a via dell’Umiltà molti dirigenti di prima fila scandiscono, convinti che i moniti lanciati a più riprese dal premier – compreso quello di martedì contro le correnti sia di An che di Fi – sia più che sufficiente a chiarire che nel Pdl ci si sta con le regole che ci si è dati: confronto, proposte, idee, poi voto e rispetto della linea approvata a maggioranza.

Ieri il premier nell’ufficio di presidenza – raccontano dal centrodestra – ha mostrato un  atteggiamento di sostanziale distacco nei confronti del presidente della Camera. Della serie: chi non condivide più la linea e non la rispetta, automaticamente si mette fuori dal Pdl. E’ questa la mossa del Cav., sempre più convinto che avanti di questo passo, Fini si farà fuori da solo.

Un modo per dire che lo attende al varco, non  tanto sulle intercettazioni quanto sulla manovra, testo blindato dal voto di fiducia al Senato e alla Camera. Sarà quello il vero spartiacque perché i tempi ristretti e la stessa fiducia – si commenta dalle file del Pdl a Montecitorio – mettono Fini e i suoi di fronte a un fatto compiuto, una sorta di aut aut: prendere la manovra così com’è oppure assumersi la responsabilità di non votare le misure apprezzate anche in Europa.

Ecco l’imbuto nel quale Berlusconi sta tentando di infilare il co-fondatore del Pdl che ogni giorno di più assomiglia a un ex co-fondatore. Quanto alle intercettazioni, è chiaro che se i finiani dovessero votare contro, si porrebbero direttamente fuori dal Pdl.

Ma nel vertice con lo stato maggiore del partito, Berlusconi ha affrontato anche la "pratica" correnti ribadendo la loro messa al bando con una novità rispetto al pre-vertice voluto solo coi forzisti (molti aennini non nascondono l’irritazione di Gasparri e La Russa) : neutralizzare quelle componenti interne che si stanno organizzando in corrente dietro al paravento della fondazione o dell’associazione. L’intento dichiarato è riportare le aree della galassia pidiellina nell’unico alveo possibile, quello del contributo culturale al partito. Il che significa una sorta di ridimensionamento delle fondazioni, o almeno di quelle "sospette".

Come? L’idea è quella di un coordinamento che ne monitori l’attività e che, soprattutto, ne autorizzi la nascita. Forma e sostanza del nuovo organismo sono ancora da definire, ma è chiaro l’intento del Cav. di liberarsi di una "zavorra" che finora ha prodotto solo mediazioni infinite (ad esempio con i finiani) rallentando l’azione del governo e la road map del programma elettorale.

Non solo: la presenza al vertice del ministro Frattini, fondatore insieme alla Gelmini di Liberamente, da molti è stata interpretata come non casuale. E’ infatti attorno al modus operandi dell’associazione (sabato sbarca in Sicilia a Sicuracusa con un convegno dedicato al Sud al quale hanno già aderito i ministri Prestigiacomo, Carfagna e Fitto oltre al sottosegretario Miccichè) che  ruota l’irritazione del premier perché – è il concetto di fondo – in questo modo, il paradosso è che  sono proprio i berluscones a legittimare la corrente di Fini esponendo così il capo alle rivendicazioni del tipo: perché Frattini-Gelmini sì e noi no? "Tutta roba che a Berlusconi fa venire l’orticaria", è il commento ai piani alti di via dell’Umiltà.

Le intercettazioni. Altro capitolo del vertice.  Berlusconi conferma l’apertura a modifiche, apportando gli aggiustamenti che eliminino i ”punti critici” già richiamati dal capo dello Stato. L’obiettivo resta quello di evitare possibili rilievi costituzionali, senza tuttavia stravolgere le finalità del testo e in particolare la parte sulla difesa del diritto alla riservatezza nelle comunicazioni, sancito dalla Costituzione.

Il tutto nella speranza di chiudere la partita prima possibile, magari entro l’estate, se non con il voto definitivo, almeno con un accordo sul testo. Ma la giornata politica registra un altro momento ad alta tensione. A Montecitorio sono volate le mani come si dice in gergo. Protagonisti della rissa il deputato Idv Barbato e alcuni colleghi pidiellini tra i quali Rampelli e la Saltamartini.

Oggetto: la proposta di legge del ministro Meloni sulla "istituzionalizzazione" delle comunità giovanili e le relative risorse (12 milioni) per sostenerne l’attività. Barbato, seguendo la tradizione del clichè dipietrista, ha sparato a zero sul provvedimento considerandolo sostanzialmente un "regalo" alle associazioni "amiche" del Pdl e in particolare di alcuni big romani del partito, dalla Meloni ad Alemanno.

Ma al di là del fatto in sè che ha richiesto l’intervento di Cicchitto in versione pompiere il quale in Aula ha stigmatizzato senza riserve il comportamento dei suoi, il punto è tutto politico, perché la legge della Meloni pensata per sostenere forme di aggregazione giovanile (anche in alternativa al fenomeno dei centri sociali) ha subito uno stop: rinviata in Commissione per ulteriori approfondimenti. Un modo per dire che è ad alto rischio affossamento.

Perchè? Di traverso si sono messi nell’ordine i parlamentari Della Vedova (finiano), Martino e Mussolini tirandosi dietro i maldipancia di altri colleghi del Pdl per i quali in un momento di vacche magre e con la manovra che impone tagli e rigore non c’era alcuna fretta di destinare 12 milioni alla "categoria" dei giovani. Concetto smontato dal ministro Meloni secondo il quale "non si possono cercare i giovani solo quando si è in campagna elettorale".

Resta il fatto che lo zampino dei finiani (c’è chi maliziosamente nota che lo sgambetto alla Meloni, un tempo in linea col presidente della Camera e oggi schierata nella grande area berlusconiana, arriva proprio dai suoi ex colleghi di partito) ha scavato un altro solco tra loro e la maggioranza del Pdl.

E sono in molti nel centrodestra a ritenere che ormai l’unica strada praticabile è quella del "divorzio" e ognuno per la sua strada. Senza rimpianti, ma per quel che riguarda Fini con un impegno in più: dimostrare peso politico e consenso elettorale.