Il Cav. spinge sul fisco ma prima va ricostruito l’asse con Tremonti e Bossi
14 Giugno 2011
Sette giorni, tra Pontida e la verifica parlamentare. Berlusconi ha tempi contingentati per sminare il campo nel quale cammina e l’unica exit strategy resta il dossier fiscale. Con molta probabilità sarà questo il leit motiv dell’intervento in Parlamento, il 21 al Senato e il 22 alla Camera. Ma molte sono ancora le incognite sui dettagli della riforma fiscale e soprattutto sul come e dove trovare le risorse per farla. Con Bossi che prepara Pontida e pianta nuovi paletti a Roma. Con Tremonti che apre alla riforma fiscale ma, per ora, senza grandi segnali di svolta.
Le parole del ministro dell’Economia che conferma l’obiettivo di arrivare a una riduzione delle aliquote Irpef da cinque a tre e delle imposte (a cinque) ma senza pesare sul deficit pubblico, nelle file leghiste e in quelle pidielline viene letta più come una mossa tattica che come l’avvio di una fase che porterà all’abbattimento della pressione fiscale. Insomma, bene la direzione ma è la sostanza che ancora manca. A Bossi serve per curare il maldipancia della base e presentarsi sul ‘sacro prato’ padano con in mano un risultato concreto che possa rivitalizzare consensi e umori del suo popolo; il premier ci punta per rilanciare l’agenda di governo e risalire la china dopo la doppia-sberla delle amministrative e dei referendum. Ecco perché molti nel Pdl sollecitano quella che considerano l’unica via per evitare “che tutto salti per aria”: e cioè un’intesa forte tra Berlusconi, Bossi e Tremonti proprio sulle tasse. In altre parole , se non si ricostruisce l’asse a tre non si può pensare di ripartire, ma solo di navigare a vista e finchè dura.
Facile a dirsi, meno a farsi perché il Prof di Sondrio non è disposto a cedere più di tanto a fronte degli impegni assunti con l’Europa sul pareggio di bilancio nel 2014 e nonostante un primo accenno di come intende portare avanti la riforma, sembra guardare più alla linea del rigore che a quella della crescita. Ad esempio, non suscita grandi entusiasmi l’idea di trasferire la tassazione dalle persone alle cose perché se è vero che si pensa alla riduzione delle aliquote più basse (dal 23 al 20), si obietta che l’aumento dell’Iva, probabilmente di un punto, potrebbe pernalizzare proprio le fasce della popolazione che si intende sostenere perché la spinta ai consumi rischierebbe di subire un rallentamento anziché un’accelerazione. C’è poi un altro punto: Bossi propone (e lo rilancerà con forza da Pontida) una maggiore tassazione delle grandi banche per reperire buona parte delle risorse da destinare alla riduzione delle tasse, ma Tremonti non è d’accordo perché così si scasserebbe un sistema che finora ha retto e retto bene, molto meglio di altri paesi europei. E si ritorna al punto di partenza.
Senza contare che pure i fedelissimi del super-ministro ammettono che l’intesa a tre ancora non c’è. Quello che ad oggi c’è, lo si è visto ieri in Consiglio dei ministri e alla Camera nelle commissioni che stanno esaminando il decreto sviluppo (sul quale il governo è orientato a porre la fiducia). Da un lato lo scontro nella riunione dell’esecutivo a Palazzo Chigi con Calderoli che ha detto no al decreto sullo smaltimento dei rifiuti della Campania (che autorizza il trasferimento della monnezza in altri siti fuori regione) causando un rinvio della decisione al prossimo Cdm; dall’altro le resistenze dei leghisti sul decreto sviluppo che chiedono una parziale revisione, ad esempio sulle ganasce fiscali che vorrebbero allentare di più di quanto Tremonti non sia disposto a concedere.
Ecco perché sono in molti nel Pdl a pensare che a questo punto al patto siglato con Tremonti e Bossi ora debba seguire un’intesa chiara sul come e il quando; e da questo punto di vista c’è chi auspica non solo un vertice a tre il prima possibile ma pure una comunicazione a tre in Aula, prima della verifica parlamentare di martedì prossimo. Il concetto di fondo è che occorre ricostruire l’asse Berlusconi-Bossi-Tremonti, senza il quale – è il ragionamento – “non si va troppo lontano”. E se anche in Parlamento non ci sarà il voto di fiducia che non vuole il governo ma neppure le opposizioni che non sembrano intenzionate a presentare l’ennesima mozione di sfiducia, è indubbio che nel suo intervento in Aula Berlusconi dovrà mandare un messaggio forte e chiaro al Paese sulla riforma fiscale. Per farlo, però, deve avere risposte più concrete da chi custodisce i cordoni della borsa.
In sostanza, il patto a tre sancito con l’ok alla manovra per il pareggio di bilancio nel 2014 in cambio della riforma fiscale va riempito di contenuti. E i contenuti stanno in un concetto-chiave: coniugare rigore e crescita. Sette giorni per trovare la quadra e uscire dallo stallo. Altrimenti, ammoniscono alcuni parlamentari di comprovata fede berlusconiana, il rischio è quello di andare dritti verso il voto anticipato. Ipotesi che non a caso nel centrodestra è tornata sullo sfondo, a seconda degli scenari da qui ai prossimi sei mesi.