Il Cav. sventa l’agguato in Aula e a Palazzo Chigi placa gli anti-tremontiani
14 Ottobre 2011
Quei 316 sì al Cav. e al governo spazzano via la tattica degli aventiniani che per tutta la mattina hanno tentato l’assalto, la spallata finale. Non è stata una passeggiata per il centrodestra che alla fine conferma la maggioranza assoluta ma ha dovuto affrontare una battaglia parlamentare giocata sul filo dei tecnicismi. Il numero legale durante la prima chiama, poi i conti e le verifiche interne su alcuni deputati indecisi o intenzionati a non votare. Il risultato finale è netto, nonostante il gioco sfascista delle opposizioni. In Cdm monta la fronda dei ministri anti-tremontiani che protestano per i tagli lineari ai dicasteri. Il Cav. media e la legge di stabilità passa.
Tre deputati pidiellini hanno dato forfait in Aula: gli scajoliani Gava e Destro e il ‘responsabile’ Luciano Sardelli. Due i parlamentari assenti ma loro malgrado: Papa in carcere ma con diritto di voto che non riesce ad esercitare per chissà quale strano meccanismo parlamentare (o tattico magari in chiave anti-Cav.) e Franzoso, alle prese con un problema grave di salute. La soglia per stare tranquilli era fissata a 309, per il numero legale alla prima chiama a 315. Numeri che la maggioranza ha fatto anche se tra le due votazioni c’è voluto un certo pressing su alcuni indecisi che poi si sono decisi. Trecentosedici sì (i no si sono fermati a quota 301) che significano la maggioranza assoluta e fanno dire al premier “abbiamo sventato l’agguato dell’opposizione che ha sbagliato i suoi calcoli mettendo in atto i vecchi trucchi del più bieco parlamentarismo”.
A votazione chiusa, la Bindi alza le mani e Casini è costretto a prendere atto, come pure i futuristi Fini e Bocchino. Ma il caso nel caso esplode nel centrosinistra. I Radicali hanno disobbedito al dickat Pd e in Aula ci sono andati fin dalla prima chiama. Conti alla mano, la loro presenza non è risultata determinante per il numero legale ma certo è stata uno smacco per le opposizioni arroccate sull’Aventino. Tanto che la presidente democrat Rosy Bindi sbotta: “Gli stronzi, sono stronzi….. E visto il precedente, stavolta c’è da ritenere che l’epurazione sia più vicina o nel migliore dei casi si apra un ‘problema politico’ e di alleanza, anche in prospettiva futura. Rita Bernardini non sembra curarsene più di tanto e rivendica la presenza in Aula come il “rispetto delle istituzioni. Lo abbiamo fatto ricordando anche un vecchio episodio della storia radicale”. Risale agli anni Settanta, come spiega la deputata radicale al giornale online Clandestinoweb.com quando “dinanzi al discorso di Almirante i deputati della Dc si sono alzati e sono andati via e ad ascoltarlo sono rimasti solo 4 nostri deputati. Siamo molto rispettosi delle istituzioni e lo abbiamo dimostrato ancora una volta. Su questo nessuno può recriminarci nulla”. Messaggio a Bersani.
Dal Pdl, Gaetano Quagliariello osserva che l’opposizione ha fatto una figura da tre soldi e ora si consola con l’aglietto, come dicono a Roma. Non è bello coinvolgere le istituzioni. L’opposizione ha sbagliato profondamente perché, come ha scritto lo stesso presidente della Repubblica, non c’era l’obbligo di dimissioni ma c’era l’obbligo di verificare se quello avvenuto fosse stato un incidente o qualcosa di più. Quindi il presidente del Consiglio e la maggioranza si sono comportati con grande lealtà istituzionale e non meritavano di avere come risposta l’utilizzo di un sotterfugio regolamentare, quello del numero legale a 315, col quale involontariamente l’opposizione si è avvantaggiata della situazione in cui si trovano malati e carcerati”. Non è il massimo dal punto di vista istituzionale, attacca il vicepresidente dei senatori, ed è “un favore alla piazza e alla piazza peggiore, quella che vedremo in scena a breve”.
Il riferimento al capo dello Stato riguarda la lettera di risposta che Napolitano ha inviato ai presidenti dei gruppi di maggioranza i quali gli avevano scritto denunciando il comportamento giudicato “di parte” del presidente della Camera che l’altroieri era salito al Colle dopo la bocciatura del primo articolo del Rendiconto generale dello Stato. Tra le osservazioni del Quirinale ce n’è una che smonta tutto il castello costruito dalle opposizioni convinte dell’obbligatorietà delle dimissioni del premier dopo la debacle in Aula. Ebbene, su questo punto Napolitano scrive: “non ho ritenuto, confortato del resto dalla dottrina – espressasi anche nell’articolo del Presidente Onida, da me vivamente apprezzato – che vi fosse un obbligo giuridico di dimissioni a seguito della reiezione del rendiconto, ma che – anche in base ai precedenti verificatisi in casi analoghi di votazioni su provvedimenti di particolare rilievo nell’ambito della politica generale del Governo – fosse necessaria una verifica parlamentare della persistenza del rapporto di fiducia, come lo stesso Presidente del Consiglio ha fatto; anche se senza far precedere tale decisione da un atto di dimissioni, come si e’ invece verificato in taluni dei richiamati precedenti”. Fine dei tatticismi e degli aventinismi.
Incassata la fiducia, nel pomeriggio Berlusconi sale al Quirinale per illustrare il quadro della situazione, ma prima presiede un Consiglio dei ministri carico di tensione per la mannaia tremontiana sui ministeri (tagli lineari per sei miliardi) contro cui si scatena Stefania Prestigiacomo (“così sono costretta a chiudere il ministero”) che prima della riunione aveva minacciato di non votare la legge di stabilità, scritta e redatta da Via XX Settembre. Per nulla soddisfatto è Romani (Sviluppo economico) che punta molto sul progetto per la banda larga, come il titolare delle Infrastrutture: due ministeri che vorrebbero mettere nel pacchetto sviluppo interventi e azioni per far ripartire la crescita.
Alla fine, il Cav. media, trova il compromesso e disinnesca la potenziale mina perché il Cdm si conclude col via libera alla legge. Ma c’è un’ultima raccomandazione del premier prima di lasciare Palazzo Chigi: dovete stare di più in Aula specie durante le votazioni. Messaggio per tutti e per uno: Giulio Tremonti.