Il Cav vuole elezioni, Veltroni no. E il voto si avvicina
29 Gennaio 2008
Nessuna intesa. Le distanze continuano a rimanere
incolmabili. Per Silvio Berlusconi “l’unica strada è quella di ritornare al
voto per dare al Paese un governo immediatamente operativo”, mentre per Walter
Veltroni “il voto oggi significa instabilità domani”. Posizioni diametralmente
opposte che riflettono l’immagine di un Parlamento ormai agli sgoccioli e
incapace di trovare una maggioranza per un nuovo esecutivo.
E’ evidente allora che il voto in aprile diventa ogni giorno
che passa una prospettiva sempre più probabile, anche se dal Colle comunque
trapela la volontà di affidare un incarico per tentare di formare un governo.
Il nome tirato in ballo è quello del presidente del Senato Marini.
L’ipotesi
che vede schierato in prima linea l’altro candidato, il ministro Amato, sembra
al momento meno probabile, visto anche quanto accaduto ultimamente con la
visita del Pontefice a La Sapienza. In sostanza si tratterebbe dell’estremo
tentativo di salvare la legislatura o di spostare più in là il voto. Tentativi
che, fanno capire dal Quirinale,
sarebbero motivati dal fatto che “non c’è una maggioranza per andare al voto”.
Ma
le probabilità che Marini riesca in questa impresa sono davvero poche. Speranze
che lo stesso Berlusconi ha “ridotto al lumicino”, spiegando: Un eventuale
incarico a Marini o ad Amato “francamente
mi sembra tempo perso per il Paese e non piacerebbe ai cittadini, che non ne
capirebbero il senso”. Nessuna perdita di tempo, quindi, e subito al voto. Questo
è il pensiero del Cavaliere, convinto anche del fatto che “la presente legge
elettorale ha consentito una piena governabilità alla Camera a una coalizione
che aveva vinto di soli 24 mila voti, mentre non l’ha consentita al Senato perché
lì la sinistra aveva avuto meno voti del centrodestra”.
Analisi che quindi proietta
l’ex presidente del consiglio già in campagna elettorale: “La nostra coalizione
non è, come dice Veltroni, con profonde divisioni interne: noi siamo uniti su
tutti i punti, sui principi fondamentali delle democrazie occidentali”. Ma sul
fronte del dialogo con il centrosinistra il Cavaliere non chiude la porta
precisando di non aver “cambiato idea” anche se “non è possibile pensare di
attuare riforme importanti in tempi brevi”.
Dal canto suo Veltroni ha confermato la volontà del Pd di non andare
subito al voto. Due le ipotesi avanzate dal sindaco di Roma: quella di votare
verso giugno oppure nel 2009. Per Veltroni infatti “l’alternativa del precipitare
alle elezioni anticipate, è un’alternativa che non corrisponde ai bisogni del
paese, e contraddittoria rispetto a ciò che è stato dichiarato da tutte le
forze politiche del nostro paese nel corso di questi mesi”.
L’obiettivo di
massima per il leader del Pd è quello di spostare al 2009 le elezioni per “svolgere
nel frattempo un disegno di riforme costituzionali già incardinato alla camera”.
Prospettiva che se si dovesse scontrare con la dura realtà dei fatti si
tradurrebbe allora in elezioni a giugno “fissando anche la riforma legge
elettorale, tenendo conto che c’è il referendum che comunque cambierebbe legge
elettorale”.
Una doppia road-map veltroniana che non ha risparmiato critiche al
centrodestra: “Perché si ha tanta fretta di votare se si è sicuri di vincere? E
non si è invece disposti ad aspettare due mesi ed avere una legge elettorale
che garantisca stabilità? Eravamo a un passo da un accordo possibile e io credo
che possiamo partire dalla prima bozza Bianco e da lì cercare una possibile
convergenza per dare al Paese stabilità e ai governi governabilità”. Un
richiamo alla bozza Bianco ed al dialogo instaurato in questi mesi proprio con
Berlusconi.
Ma dal centrodestra arrivano puntuali le repliche, con il capogruppo
di An al Senato Altero Matteoli che dice: “Le proposte di Veltroni sono sorprendenti
e mirate solo a perdere tempo”. Mentre Renato Schifani capogruppo azzurro a
Palazzo Madama spiega che “le motivazioni di Veltroni sono pretestuose. I
bisogni del Paese rispondono ad una sola logica: tornare ad essere governato da
una coalizione omogenea, come quella di centrodestra, che ha i consensi
necessari per garantire sviluppo economico e stabilità”. Intanto sul fronte Udc monta la polemica. Il vicepresidente del Senato Baccini apre ad un possibile governo Marini, spiegando di essere disposto a votare la Fiducia. Immediate le reazioni dal centrodestra dove Maurizio Gasparri attacca dicendo: “Non è un Baccini che consentirà la nascita di un governo, parliamo di cose serie…”, mentre da Forza Italia è Silvio Berlusconi ad ammonire per evitare “giochi di palazzo e palliativi”. Repliche che non sono piaciute a Baccini che ha rilanciato: “Non prendo ordini da nessuno né dal centrodestra né dal centrosinistra, perché intendo aiutare quanti nel nostro Paese vogliono realizzare un nuovo sogno italiano”.
Botta e risposta velenoso che ha imposto ai vertici del partito centrista di intervenire per mettere a tacere ipotesi di inciucio. E così il segretario Lorenzo Cesa chiarisce che “per votare qualsiasi governo è necessario che ci siano precise condizioni politiche che al momento sono del tutto inesistenti”. Precisazione importante che spegne sul nascere ipotesi di spaccature interne e accordi sottobanco. Un confronto a distanza che potrebbe pesare sulle prossime mosse di Napolitano che a breve ascolterà gli ex presidenti della Repubblica.
Domani con tutta probabilità arriverà la sua decisione e
l’affidamento dell’incarico a Marini per verificare sul campo l’esistenza di
condizioni per formare un governo. E solo dopo il Capo dello Stato potrebbe
decidersi a sciogliere il Parlamento. Il conto alla rovescia per la fine della
XV legislatura è partito. Da lunedì prossimo potrebbe scattare la campagna
elettorale.