Il Cav. vuole il voto nel 2013 ma sullo sfondo resta l’idea della transizione soft
20 Ottobre 2011
Scenari in movimento, tra Montecitorio e Palazzo Chigi. Nessuna ipotesi esclusa nel centrodestra, voto in primavera o nel 2013, per essere pronti in caso di necessità: un incidente parlamentare che faccia precipitare la situazione da qui a gennaio, un governo di transizione nell’ipotesi (improbabile) di un passo indietro del Cav. Riunioni, incontri, cene. C’è fermento nei palazzi della politica e, al di là delle congetture, questo è il segnale di qualcosa che si compone e scompone ma non è ribaltone.
La mossa di Berlusconi alla riunione col gruppo parlamentare del Pdl doveva servire a rivitalizzare il morale dei deputati e ad allontanare il più possibile l’idea, lo spettro, la minaccia più o meno velata, dell’incidente d’Aula. Operazione riuscita solo in parte, perché malumori e perplessità – dalla nomina a sorpresa di due viceministri e un sottosegretario ex responsabili, a un dl sviluppo che fin qui non contiene le misure per la crescita che molti hanno sollecitato – non sono dissipate completamente.
Certo, era importante dare un segnale alle truppe e il premier lo ha fatto confermando che il governo arriverà alla scadenza naturale, nonostante tutti i problemi (anche interni) e le incertezze della crisi internazionale, a dispetto di chi continua a tessere la trama della spallata. Non sarà così, dice ai suoi spronandoli ad avere “come la ho io, la stessa voglia di fare e di combattere forte e determinata di quando siamo scesi in campo. Andiamo avanti fino a dicembre. Da gennaio, quando le elezioni anticipate non saranno più un rischio, faremo le cose che vogliamo e ci presenteremo al Paese con straordinarie riforme e nel 2013 potremo vincere. Io ci credo ancora”.
Già, gennaio. E’ lo spartiacque dell’ultimo scorcio di legislatura, quello sul quale si appuntano le attenzioni di buona parte del centrodestra per capire se e come arrivare al 2013. E in questo si costruiscono ipotesi, si ragiona di scenari che ruotano attorno a due opzioni: governo di transizione o voto anticipato.
L’idea di un passo indietro del Cav. resta la più improbabile perché il premier non ne ha intenzione anche se, in alcune fasi più recenti, ne è stato tentato. Ci sarà da affrontare un autunno caldissimo, nelle piazze e in parlamento (dl sviluppo, legge di stabilità, riforme), alla fine di novembre la sentenza Mills nel processo che a gennaio andrà in prescrizione ma che i giudici intendono anticipare dopo aver calpestato il diritto di difesa cancellando dieci testimoni della difesa già ammessi al dibattimento. Sono passaggi delicati, in mezzo ai quali ci saranno altri voti importanti in Aula che chiamano la maggioranza a una prova di compattezza, pena la caduta del governo.
Nessuno vuole il voto anticipato, ma se dovesse capitare l’incidente parlamentare, si pensa a come andare avanti. Contesto futuribile nel quale c’è chi sostiene l’idea di un governo di transizione con l’assenso del Cav. che il Colle potrebbe affidare ai massimi esponenti istituzionali, e non potendolo affidare a Fini (leader di Fli che sta all’opposizione) potrebbe designare il presidente del Senato Schifani. Un’ipotesi del genere potrebbe consentire, da un lato di proseguire la legislatura e di allargare la compagine all’Udc anche con il sostegno (diretto o esterno) dell’Udc, dall’altro di dare tempo ad Alfano di riorganizzare il partito portandolo al voto tra due anni con buone possibilità di rimonta.
A guidare un eventuale esecutivo di centrodestra potrebbe essere anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, un uomo di cui Berlusconi si fida e che potrebbe essere anche l’uomo-chiave per ricucire con l’Udc con un mandato di pochi punti programmatici da realizzare – e tra questi alcune riforme, compresa la legge elettorale che sta a cuore al leader centrista – da qui al 2013. Due ipotesi che in caso di incidente parlamentare potrebbero ‘accontentare’ anche l’opposizione per nulla pronta ad affrontare nei prossimi mesi la prova del voto.
L’altra opzione riguarda una caduta improvvisa del governo: in questo caso l’obiettivo è arrivare a gennaio per scongiurare il rischio di un governo tecnico che, invece, potrebbe tornare in pista se la rottura dovesse arrivare tra la fine del mese e dicembre. Berlusconi non l’ha archiviata definitivamente, sapendo bene che nei prossimi mesi potrebbe succedere di tutto, tuttavia sapendo altrettanto bene che al voto in primavera si andrebbe con l’attuale legge elettorale che Casini non vuole ma che consentirebbe a Pdl (anche in caso di sconfitta) e Pd di portare in Parlamento un congruo numero di eletti. Non solo: le elezioni anticipate con l’attuale sistema di voto permetterebbero al Cav. di ridimensionare la Lega e depotenziare il terzo polo. Scenari, appunto. Complicati e imprevedibili.
Nei piani del premier c’è il 2013, per questo ha rassicurato i suoi e del resto è normale che voglia andare alla scadenza naturale della legislatura; lo è meno sul piano della proposta politica da offrire al paese in una fase così delicata e sulla quale lavorare, spendersi, senza veti incrociati o interminabili compromessi. Sul dl Sviluppo che resta la cifra dell’ultimo scorcio di legislatura, il Cav. finora ha tentennato, stretto tra i niet di Tremonti e le sollecitazioni di mezzo partito a mettere i soldi in un provvedimento tanto atteso, in modo da renderlo il carburante per la ripresa.
C’è un’unica cosa da fare: metterci i soldi, trovare una soluzione, perché le pagelle on line o un robusto piano di sburocratizzazione non bastano, né possono bastare. Lo chiedono e lo sottoscrivono nell’appello contro il declino pubblicato oggi da Il Foglio di Giuliano Ferrara, quindici big del Pdl (Quagliariello, Cicchitto, Gasparri, Alemanno, Augello, Brunetta, Carfagna, Crosetto, Frattini, Formigoni, Galan, Gasparri, Lupi, Mantovano, Meloni, Prestigiacomo) per i quali non c’è più tempo da perdere, o si rischia o si muore. Il governo e il Pdl hanno “oggi più che mai il dovere di rischiare. In una fase così delicata per le sorti dell’economia nazionale, e considerate incertezze e prospettive nel sistema politico italiano, è in ogni modo necessario impegnarsi, senza perdere altro tempo, in politiche di crescita e di sviluppo”.
Come? Trovando “le coperture finanziarie per il dl sviluppo che ne facciano il propellente per il rilancio dell’economia italiana: investimenti nelle infrastrutture, politiche di sostegno all’export, liberalizzazione dei servizi pubblici, misure di finanza straordinaria”. Accanto a questo – aggiungono – non si può ignorare “che un milione e settecentomila cittadini hanno firmato per l’abrogazione della legge elettorale vigente. Gli elettori chiedono una maggiore qualità della rappresentanza, e un partito a vocazione maggioritaria come il Pdl non può eludere le istanze diffuse nell’elettorato senza venire meno alla propria aspirazione fondativa”. Porta aperta a Casini, monito a Tremonti.
E’ su questo che il Cav. è chiamato a battere un colpo, a riprendersi l’iniziativa, a ribaltare il tavolo. E’ questo che si aspettano i suoi. E che ci fosse bisogno di instillare nuovo entusiasmo nei ranghi pidiellini il Cav. lo ha compreso anche quando ha detto di non aver “mai pensato a una lista personale ‘Forza Silvio’ e che anzi uno dei suoi vanti è aver dato vita con il Pdl ad un partito dei moderati europei. Anche se c’è bisogno di una ventata di innovazione, a cominciare dal nome che secondo il premier non ha grande appeal nell’elettorato. Una sottolineatura che i deputati più navigati leggono al contrario e con una dose di malizia; dell serie: smentisco una cosa ma intanto la dico, la affermo.
Altro punto che Berlusconi tocca è il rapporto con l’Udc al quale continua a guardare nonostante Casini ponga come condizione la sua uscita di scena (politica). Ed è anche in questa chiave che tra le riforme da qui al 2013 inserisce quella della legge elettorale rispetto alla quale aggiunge una indicazione significativa e finora inedita: “Siamo disponibili ad approvare una modifica che renda inutile il referendum, con l’introduzione delle preferenze”. Mano tesa ai centristi, nel tentativo futuro di allargare la maggioranza. “Se l’Udc si unisse alla sinistra – argomenta il Cav. – perderebbe i due terzi dell’elettorato, per questo dobbiamo insistere su questo punto e cercare nel Parlamento il confronto con i parlamentari dell’Udc. Se alle elezioni andassimo con l’Udc prevarremmo certamente. Ed è per questo che io non ho mai risposto alle dichiarazioni spiacevolissime che Casini e Cesa fanno sulla mia persona”.
Gli scenari futuri e le alleanze futuribili restano sullo sfondo, ora ciò che conta è una risposta credibile sul fronte economico: è sul dl sviluppo che il Cav. potrebbe giocarsi l’incidente parlamentare (e dunque la caduta) oppure il rilancio dell’azione di governo, la vera ripartenza.