Il Cav. vuole spezzare l’asse Fini-Casini e restare in sella ma lavora già al voto

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Il Cav. vuole spezzare l’asse Fini-Casini e restare in sella ma lavora già al voto

25 Novembre 2010

Una risposta a Fini dopo l’ultimo aut aut futurista sulla sfiducia, un ‘consiglio’ a Casini che va oltre il d-day a Montecitorio, una sferzata a Montezemolo che cambia idea in quattro giorni: da Fazio esclude la discesa in campo, ieri si è detto pronto a impegnarsi. Corre su binari paralleli che hanno significati ben precisi ciò che il Cav. ha da dire dopo giorni di silenzio nei quali il capo di Fli e quello Udc hanno occupato la scena, mediatica e politica, con fughe in avanti e dietrofront.  Se appare ormai chiaro come la partita tra Berlusconi e Fini sia chiusa definitivamente, quella coi centristi è l’opzione alla quale il premier guarda con interesse, sia se il governo supererà lo scoglio del 14 dicembre, sia se la sfiducia porterà dritti alle elezioni anticipate. Ma per ora da Casini arriva un ‘no grazie’.

Maggioranza forte oppure il voto, stop a ricatti e tatticismi, fuori e dentro il Pdl, è il ragionamento del premier alla vigilia dell’ufficio di presidenza del partito (oggi) per mettere a punto la strategia sul d-day alla Camera. E’ un Berlusconi deciso ad andare avanti, che non vuole star lì a farsi rosolare, che punta a una maggioranza solida per continuare a governare altrimenti c’è solo il voto. Del resto – ragionano nel Pdl – l’obiettivo di finiani e centristi è quello di continuare a logorare l’esecutivo, tenerlo a bagnomaria e la guerriglia parlamentare delle ultime ventiquattrore lo dimostra plasticamente.

Una tattica studiata a tavolino finalizzata a far ottenere al Cav. una maggioranza risicata alla Camera in modo tale da rendere ingovernabile la situazione e a quel punto ‘piegare a più miti consigli’ Berlusconi, magari sulla riforma della legge elettorale e l’apertura a un esecutivo di responsabilità nazionale. Ma non è questo il disegno del Cav. che anzi, di farsi da parte non ha alcuna intenzione. Dalla sua ha Bossi e alla Camera conta sul senso di responsabilità di molti deputati moderati che non vogliono affossare il governo, anche se il rebus del pallottoliere sarà possibile scioglierlo solo a dicembre e al momento del voto in Aula.

La consapevolezza che alla fine, nessuno tra gli schieramenti politici voglia veramente tornare alle urne è la ‘bussola’ sulla quale il Cav. orienta la sua road map. Dall’inner circle berlusconiano trapela di un premier indispettito per gli ‘stop and go’ in Parlamento sulle riforme (come ieri sul dl Gelmini) e per questo guarda al 14 dicembre per avviare un cambio di passo. In che modo? Il suggerimento a Casini sull’appoggio esterno al governo (Bossi lo giudica ‘positivo’) è infatti proiettato più sul dopo che fra tre settimane. L’obiettivo è rompere l’asse tra Fini e il leader Udc e in questa direzione andrebbe ‘l’offerta’ che il Cav. continua a tenere un piedi, a seconda di come andranno le mozioni a Montecitorio e Palazzo Madama. Per il leader Udc che da settimane va ripetendo il refrain del governo di responsabilità l’invito del premier sarebbe l’occasione per dimostrare di fare sul serio abbandonando i tatticismi. Non solo: con l’appoggio esterno i centristi potrebbero ‘condizionare’ l’agenda di governo ponendosi come contrappeso rispetto al ruolo della Lega e ‘investire’ poi in un’alleanza elettorale.  

Sarebbe nella fase successiva al 14 dicembre che il premier – spiegano ai piani alti di via dell’Umiltà – potrebbe decidere di dar vita ad una nuova formazione politica. L’ipotesi è costruire un ‘cartello’ di forze moderate con cui presentarsi alle urne e passerebbe da un accordo coi centristi e con chi tra i futuristi non è disposto a seguire più la linea dei ‘falchi’. Potrebbe essere un passo in avanti – è la convinzione di alcuni pidiellini – verso la costruzione del partito dei moderati, chiodo fisso del Cav. da sedici anni.

Non è un caso se al suggerimento a Casini che tuttavia sembra rispedire il messaggio al mittente quando dice che la condizione per sedersi attorno a un tavolo è l’uscita da Palazzo Chigi, il premier fa seguire una stoccata al presidente della Camera: “Non sono io a doverlo fare ma il presidente della Camera che invece di essere super partes è stato di parte e ha fondato un partito sulla sua figura di leader”. Parole che in Transatlantico risuonano come una richiesta di dimissioni e nonostante le rassicurazioni di Bonaiuti, in Aula scatta la ‘rappresaglia’ parlamentare: prima con un lungo braccio di ferro tra i finiani e il ministro Gelmini su alcuni emendamenti alla riforma dell’università, poi col voto che i futuristi assicurano insieme a Bersani e Di Pietro a sostegno di un emendamento dei centristi.

Risultato: governo battuto, per la terza volta in due giorni. Una tattica che secondo i fedelissimi del premier può essere usata ancora per settimane e per dimostrare che senza i voti futuristi, Berlusconi non va da nessuna parte, che l’asse Fini-Casini adesso è determinante. Segnale chiaro, per comprendere come i tempi e gli sbocchi della crisi siano tutt’altro che scontati. Nonostante un dato oggettivo che finora ha sempre fatto la differenza: il Cav. resiste.