Il centrodestra al contrattacco sul Rubygate: conflitto di poteri coi pm
02 Marzo 2011
Il parlamento è sovrano ed è il parlamento che deve pronunciarsi. La maggioranza passa all’azione e solleva il conflitto di attribuzione sul dossier Rubygate. In una lettera al presidente della Camera Fini i capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili mettono la questione sul tavolo dell’Ufficio di presidenza nella convinzione che all’assemblea parlamentare non può essere “sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria, nè tanto meno – ove non condivida la conclusione negativa espressa dal Tribunale dei ministri – la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale assumendo di essere stata menomata, per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall’articolo 96 della Costituzione, spiega il documento firmato da Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli secondo i quali il punto è tutelare la correttezza e la dialettica tra poteri dello Stato.
Un’iniziativa nell’aria da giorni, dopo che nelle fila del centrodestra era stata valutata anche l’ipotesti dell’improcedibilità, già applicata per la vicenda giudiziaria che a suo tempo coinvolse il ministro Matteoli. Un’iniziativa che spiegano i capigruppo della maggioranza serve a tutelare le prerogative della Camera “lese dall’operato omissivo della magistratura procedente (Procura di Milano e Gip) nei confronti di Berlusconi". A questo si aggiunge la convinzione che la competenza nel giudizio appartenga al tribunale dei ministri e non a un collegio ordinario, come peraltro ha già indicato la Camera con il voto di pochi giorni fa.
Un voto che – sottolineano dalla maggioranza – ha sancito che l’atteggiamento dei magistrati di Milano che si occupano del Rubygate “è fondato su una interpretazione scorretta della disciplina vigente che potrebbe indurre, se trascurata, una modifica implicita della Costituzione quanto ai rapporti tra poteri dello Stato". Dunque, spetta alla Camera competente “decidere sulla ministerialità del reato e concedere o negare l’autorizzazione a procedere”. Ma che succede adesso? Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli chiedono a Fini di convocare l’Ufficio di presidenza per valutare se esistono le condizioni per sollevare il conflitto di attribuzione. Gli equilibri politici all’interno dell’organismo parlamentare sono cambiati: la costituzione del gruppo dei Responsabili e l’allargamento della base parlamentare hanno consentito al centrodestra di rimettere in ordine lo squilibrio di rappresentanza all’interno delle commissioni e nello stesso Ufficio di presidenza dove adesso la maggioranza dovrebbe avere lo scarto di un voto (dieci deputati a nove) rispetto ai rappresentanti delle opposizioni.
E qui sarà interessante vedere come agirà Fini, se cioè deciderà di votare oppure di astenersi. Particolare non irrilevante visti i numeri nell’Ufficio di presidenza e il ruolo di terzietà al quale la terza carica dello Stato è chiamata. In molti nelle file della maggioranza non nascondono che questo passaggio servirà anche a verificare – una volta per tutte – se l’inquilino di Montecitorio è davvero super partes. Insomma, una mossa per mettere alla prova Fini che alla fine – è il convincimento di molti deputati – rinvierà la pratica all’esame dell’Aula dopo il pronunciamento della Giunta per il regolamento alla quale il presidente della Camera ha già annunciato di volersi rivolgere dal momento che non esistono precedenti specifici.
Ma al di là dei tecnicismi, la questione ruota attorno a tre punti fondamentali: sul piano politico potrebbe essere il redde rationem tra maggioranza e finiani, sul piano giuridico è un’azione finalizzata a tutelare le prerogative della Camera da quelle che appaiono ingerenze dei pm milanesi, sul piano processuale un modo per rivendicare un procedimento dinanzi al giudice naturale. Tutto alla fine arriverà sul tavolo della Consulta, ma intanto il processo sul Rubygate seguirà il suo corso fino a quando la Suprema Corte non avrà detto l’ultima parola.