Il centrodestra gioca tutte le sue carte per salvare Eluana
16 Luglio 2008
L’iter del Parlamento per salvare Eluana accelera il passo, quasi a rincorrere un tempo che scorre inesorabile. Ci sono pochi spiragli, ma i senatori del PdL, della Lega e dell’Udc che hanno deciso di portare la battaglia per Eluana di fronte alla Corte Costituzionale hanno deciso anche che nulla deve esserci di intentato. Mentre dalle alte sfere del Vaticano si richiama alla responsabilità collettiva, in quelle del Palazzo si gioca la carta istituzionale. Ed ora appare sempre più chiaro che la sfida si compie su un doppio livello. Da una parte riportare il potere della magistratura entro l’alveo stabilito dalla Costituzione e da un corretto funzionamento del sistema, dall’altra salvare Eluana Englaro prima che sia troppo tardi. E domani potrebbe già essere troppo tardi.
La giunta per il regolamento del Senato, presieduta dal Presidente del Senato, accelerando il più possibile, per volontà dello stesso Schifani, la procedura parlamentare che si adotta in questi casi, ha calendarizzato per lunedì della settimana prossima il dibattito sul conflitto d’attribuzioni, affidandolo alla Prima Commissione Affari Costituzionali. Stando ai tempi parlamentari, quindi, la discussione in aula sulla richiesta d’apertura di un conflitto d’attribuzioni contro la Cassazione potrebbe avvenire già nei primi giorni della settimana prossima. Si spera in un tempo abbastanza rapido da incidere sulla decisione che il Procuratore generale di Milano dovrà prendere in merito all’impugnazione della sentenza d’appello che ha condannato a morte Eluana. Il procuratore, infatti, di fronte alla richiesta del Senato di far appello alla Corte si troverebbe di fronte ad una scelta obbligata: impugnare il decreto sospendendo l’esecutività della sentenza.
Come era prevedibile, in Commissione c’è stata battaglia. Il centrosinistra ha sostenuto l’illegittimità della mozione, dichiarando che per sollevare conflitto d’interessi è necessaria la richiesta di entrambi i rami del Parlamento, e riaffermando, in alternativa, la necessità di accelerare l’iter che porterebbe ad approvare una normativa su questi temi in tempi brevi. Ma il centrodestra non vuol aspettare, e spinge per chiudere la partita parlamentare il più presto possibile.
Immediata è giunta la reazione della Cassazione: “Il Parlamento faccia quello che crede. Alla Cassazione era stata posta una domanda di giustizia e noi l’abbiamo resa”, ha replicato Maria Gabriella Luccioli, presidente del collegio della Cassazione che si pronunciò sul caso Englaro. “Credo che ora su questa vicenda bisogna fare un po’ di silenzio”. Una richiesta a dir poco eccessiva, cui non sono mancate immediate le voci di risposta: "Il giudice Luccioli mostra di avere una visione muscolare del rapporto tra i poteri dello Stato. La verità è che né la decisione della Cassazione né il decreto esecutivo della Corte d’Appello di Milano hanno fondamento giuridico rispetto al diritto vigente", ha dichiarato Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori PdL. "In particolare, la Cassazione non si è limitata a rispondere ad una domanda di giustizia nel contesto di un vuoto normativo, ma si è spinta ben oltre. Per questo, la politica non solo sta usando i suoi strumenti, ma sta cercando di ricondurre il rapporto tra i poteri dello Stato in una dimensione fisiologica, facendo in modo che il caso concreto di Eluana e i tanti altri che seguiranno non debbano trovare risposte di carattere episodico, e che il legislatore possa avere il tempo e la libertà per trovare una soluzione degna di una nazione civile. Se invece si vuole mettere il Paese di fronte al fatto compiuto – conclude Quagliariello – ce ne si assuma la responsabilità ma almeno non si chieda che gli altri rimangano silenti e inerti ad osservare".
Intanto sul caso Englaro in molti continuano a parlare. Non ultimo un gruppo di 25 neurologi universitari e del servizio sanitario nazionale che ha scritto al procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano (e, per conoscenza, al presidente della Repubblica e al Governo), chiedendo un intervento urgente che blocchi “l’esecuzione di quella che sempre di più appare come una sentenza di condanna a morte”. Per i neurologi è “disumano il modo proposto di mettere a morte la paziente, attraverso il digiuno e la sete in una lenta agonia che porterà alla morte attraverso la lenta devastazione di tutto l’organismo”. Il paziente in stato vegetativo – continuano – “non necessita di alcuna macchina per continuare a vivere, non è attaccato ad alcuna spina. Non è un malato in coma, né un malato terminale, ma un grave disabile” scrivono sostenendo che la nutrizione e l’idratazione “non sono assimilabili a una terapia medica, ma costituiscono da sempre gli elementi fondamentali dell’assistenza”. Parole pesanti che forse i giudici, per coscienza, dovrebbero voler sentire.