Il centrodestra passa il primo round alla Camera. Il Pdl tenta la pax tra correnti
13 Aprile 2011
Costituzione a oltranza. Sessanta articoli letti e commentati dai big della sinistra. Montecitorio, giornata campale e oggi si replica: voto finale con annesse manifestazioni di piazza. La maggioranza supera il primo round e conferma di avere i numeri dalla sua anche se sarà proprio quella di oggi la cartina di Tornasole per verificarne la tenuta dopo le fibrillazioni che stanno agitando il Pdl. L’agenda degli appuntamenti è piena: il summit degli alemanniani (ieri), la cena degli scajoliani e dei matteoliani (entrambe stasera), a quella di giovedì con tutti i big del Pdl – ministri compresi – organizzata per azzerare la febbre e sancire la pax tra correnti.
Nel primo giorno di votazioni Pdl, Lega e Responsabili marciano compatti e respingono gli ‘assalti’ delle opposizioni. In apertura di seduta il Pd tenta di spiazzare la maggioranza sollecitando il rinvio in commissione del ddl ma la proposta non passa per undici voti. E nelle altre votazioni della giornata la maggioranza supera i 310 voti, con l’apporto determinante dei ministri che anche oggi saranno nei banchi del governo. Non solo: come già accaduto la scorsa settimana il Consiglio dei ministri è convocato all’ora di pranzo e con ogni probabilità si terrà a Montecitorio nella sala del governo anziché a Palazzo Chigi. Questo per evitare quanto accaduto una settimana fa: ministri di corsa e con la tessera elettronica in mano che non riescono a votare in tempo (uno dei motivi delle polemiche tra la maggioranza e il presidente della Camera, Fini).
La tensione tra gli schieramenti si taglia col coltello, fino a tarda notte con le contestazioni del centrodestra alla Bindi che presiede i lavori sull’annullamento del contingentamento dei tempi (interventi dei parlamentari e votazioni). Resta l’incognita di un voto a scrutinio segreto chiesto dai dipietristi su un articolo del ddl sul quale il presidente della Camera Fini non esclude la possibilità mentre respinge un’analoga sollecitazione arrivata dai democrat.
La tattica d’Aula la conduce l’esperto di regolamenti parlamentari del Pd Giachetti e fin dal primo pomeriggio è chiaro a tutti dove le opposizioni vogliono andare a parare: ostruzionismo senza se e senza ma. La parola d’ordine è ‘perdere tempo’. Una logica per la quale poteva essere letto pure l’elenco del telefono ma per adeguarsi alla bisogna e restare nel politically correct quale migliore lettura di quella costituzionale? Così si sventola e si declama la Carta come unico baluardo (intangibile) di democrazia di fronte a un governo e a una maggioranza che quel baluardo vorrebbero distruggerlo con leggi ad personam. Stessa sinistra solito ritornello, da diciassette anni. Ma il coupe de théatre arriva da D’Alema che recita l’articolo 77, quello che fa riferimento al presidente della Repubblica, definito nel commento a latere “l’unico punto di riferimento per i nostri cittadini. Meno male che c’è”. Segue messaggio in bottiglia per il Colle sul potere di scioglimento delle Camere che D’Alema confeziona così: “Più che una lettura, è un auspicio…”.
Ennesimo invito, indiretto e felpato, ad agevolare la ‘spallata’ al Cav. All’auspicio dalemiano fa da controcanto il ragionamento di Gaetano Quagliariello per il quale l’esponente democrat che si sofferma su questo punto, è lo stesso che solo qualche settimana fa era il “profeta dei ribaltoni e delle grandi alleanze di ‘emergenza nazionale’, esponente di spicco di quella parte politica che mentre architettava con i compagni finiani piani (fallimentari) per far cadere il governo teorizzava la possibilità di proseguire la legislatura con maggioranze alternative a quella scelta dagli elettori”. E tuttavia tralascia un piccolo particolare, certamente non irrilevante: “Prima di sciogliere le Camere il Capo dello Stato dovrebbe verificare che sia venuta meno la maggioranza in carica”.
Il problema è un altro, incalza Quagliariello: “D’Alema è rimasto affezionato alle categorie che vigevano nelle ‘democrazie popolari’ e usa la Costituzione a piacimento come una foglia di fico dietro la quale nascondersi”. Chiosa ironica: “D’altra parte c’è da comprenderlo: nella sua scuola gli hanno insegnato che la Costituzione sovietica era la più democratica del mondo”. Tattica diversa tra i banchi dipietristi dove i deputati fanno l’elenco dei processi penali nei quali gli imputati, a loro dire, trarranno benefici dalla norma sulla prescrizione breve; mentre in quelli dei centristi si denuncia che con il provvedimento della maggiorana le vittime della tragedia di Viareggio non conosceranno mai il nome dei colpevoli, come pure quelle del terremoto a L’Aquila.
Risponde il Guardasigilli Alfano che rompe il silenzio (dopo l’irritazione dei giorni scorsi per l’accelerazione sul processo breve rispetto all’avvio della riforma costituzionale della giustizia) assicurando che no, non c’è niente di più falso e strumentale: la prescrizione breve potrebbe “riguardare solo lo 0,2 per cento dei processi penali” argomenta snocciolando numeri e percentuali, e comunque non certo i procedimenti per reati gravissimi come appunto i casi Viareggio e L’Aquila. Non basta per stemperare il clima nell’Aula che fino a tarda sera resta incandescente. Giornate complicate. Lo ammette perfino il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che fa dichiarazioni pubbliche sul tema, consuetudine che di certo non gli appartiene. Settimana “incandescente” perché – esordisce – “alle nostre solite responsabilità, in questi giorni aggravate dalla guerra in Libia e dalla questione degli immigrati, si aggiungono queste giornate incerte, affannose e amare”. Chiaro il riferimento alle fibrillazioni nel Pdl.
Riunioni, pranzi e cene tattiche in agenda. Pur coi tempi ristretti a pranzo si vedono gli uomini di Alemanno (presente tra gli altri il sottosegretario all’Interno Mantovano). La linea è quella della lealtà al partito e del no alla contrapposizione tra ex An ed ex Fi e tuttavia il punto sull’organizzazione del Pdl e l’apertura dei congressi locali è considerato non più rinviabile. Che tradotto vuol dire: dopo le amministrative gli alemanniani porranno la questione. Nessun dubbio sul sostegno in Aula al varo del processo breve ma detto questo, i fedelissimi del sindaco di Roma chiedono maggiore attenzione alle riforme, in particolare a provvedimenti fiscali a favore delle famiglie. Stasera dopo il voto a Montecitorio cena degli scajoliani che da settimane insistono sulla riorganizzazione del partito e l’avvio del coordinamento unico.
Ma a cena si ritroveranno anche i parlamentari della componente che fa capo al ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e che avrebbero manifestato una certa insofferenza nei confronti di La Russa – ministro e coordinatore del Pdl – soprattutto per il capitolo nomine. E domani nuovo rendez-vous serale, ma questa volta per sancire la pax tra le correnti. L’iniziativa è dei vertici dei gruppi parlamentari (cena all’hotel Valadier) e ci saranno proprio tutti, ministri compresi. Ma l’armistizio non sembra poi così facile o scontato perché specie dai ministri di Liberamente (la componente che fa capo a Gelmini, Frattini, Prestigiacomo e Carfagna) c’è molto malumore nei confronti di Giulio Tremonti che non molla i cordoni della borsa.
Dimostrazione pratica ieri in Transatlantico dove il ministro dell’Istruzione tra una votazione e l’altra incontra i suoi collaboratori per preparare il Cdm di oggi nel quale il titolare del Tesoro presenterà il documento di programmazione economica (l’ex Dpef). La Gelmini sbotta: “Io non taglio nulla…se ne facciano una ragione”. Difficile dire se l’armistizio reggerà fino alle amministrative.