Il centrodestra prenda esempio da Marchionne e combatta i poteri forti
03 Gennaio 2011
Dopo Mirafiori la Newco Fiat-Chrysler arriva anche a Pomigliano d’Arco. I dipendenti di quello stabilimento sono riassunti ex novo, con l’applicazione del contratto stipulato l’estate scorsa, che tante polemiche ha sollevato, benché fosse stato approvato da una netta maggioranza di lavoratori in occasione del referendum.
La novità di questi giorni – a causa della quale si sprecano analisi deliranti ed epiteti vergognosi nei confronti di Sergio Marchionne – riguarda la definizione dei criteri della rappresentanza sindacale: tanto a Mirafiori quanto a Pomigliano l’ad italo-canadese ha trovato una soluzione dotata di un valido fondamento giuridico (l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori del 1970) per estromettere la FIOM dalla gestione degli accordi aziendali. La norma della legge n.300 fu manipolata da un quesito referendario (presentato e sostenuto nel 1995 dalla sinistra sindacale tra cui ampi settori della stessa FIOM) tanto da riconoscere il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali (RSA) soltanto alle organizzazioni firmatarie del contratto che si applica nella azienda. E’ vero. Intese contrattuali precedenti e successive hanno istituito le RSU, ma il destino ha voluto che toccasse proprio alla FIOM, sempre pronta a rivendicare, insieme alla CGIL, norme di legge al posto di disposizioni contrattuali ( lo abbiamo potuto notare recentemente durante il dibattito sulla conciliazione e l ‘arbitrato) incontrare sulla sua strada una impresa che le ha sbattuto in faccia proprio una norma di legge, per di più scritta nel sancta sanctorum del diritto del lavoro.
Il ragionamento del Lingotto non fa una grinza: chi firma gli accordi e li condivide, è titolato a gestirli; si è mai vista – sembra chiedere l’ad – una persona assennata che mantiene e lascia prosperare in casa propria i suoi nemici? Di questo si tratta, in pratica. La Fiat avrà pur diritto alla legittima difesa. E quindi avverte l’esigenza di risolvere una situazione di conflittualità irriducibile e permanente che rischia di far fallire miseramente gli investimenti programmati nel Progetto Italia. Può una società multinazionale permettersi il lusso di gettare alle ortiche le risorse destinate a riordinare la sua presenza nel mondo, ritrovandosi tra qualche anno a dover constatare che gli stabilimenti italiani non producono reddito?
E’ singolare che in tanti si siano precipitati in soccorso della FIOM emarginata ed esclusa. Lasciamo da parte – per carità di patria – gli appelli degli intellettuali di regime. Prendiamo piuttosto in considerazione posizioni più serie, ma ugualmente discutibili. Il Pd si è spaccato in tanti pezzi. Alcuni esponenti hanno mandato a quel paese Landini e i suoi sfasciacarrozze. Ma la linea ufficiale è al solito ambigua: bene le intese, male l’aver escluso la FIOM. Come se non fossero due facce della stessa medaglia.
Ma a stupire maggiormente è stata la Confindustria, subito pronta ad accogliere il grido di dolore di Susanna Camusso e ad annunciare la disponibilità di aprire un tavolo di confronto sulla rappresentanza aperto a tutte le confederazioni. Certo, la CGIL sta dando segni visibili di dissenso verso la linea di condotta della FIOM, ma avrà la forza ed il coraggio di arrivare fino in fondo?
Qualche problema comunque si pone. Portando alle estreme conseguenze la linea di Marchionne ed estendendola ad altre realtà si rischia che la situazione scappi di mano e che altri settori o stabilimenti si facciano il loro contratto. La rottura di Marchionne è stata comunque salutare. Poi spetta ai gruppi dirigenti riordinare la materia, auspicabilmente in avanti, se ne saranno capaci. Anche la politica deve molto a Sergio Marchionne. L’ad italo-canadese ha dimostrato che si possono sfidare i poteri forti e che si possono compiere anche delle scelte difficili.
Il centro destra ha molto da imparare da Marchionne. L’attuale governo ha sempre cercato di girare al largo degli argomenti politicamente sensibili (si pensi alla scelta di archiviare qualsiasi ipotesi di revisione dell’articolo 18 dello Statuto o di non prendere di petto il tema delle pensioni). Ha avuto in cambio una guerra senza quartiere da parte della CGIL. Non è forse venuto il momento di porsi un interrogativo? Quando un sindacato si trasforma ed agisce come un partito politico di opposizione un Governo è legittimato a difendersi e a reagire in proprio oppure deve aspettare che il destino gli mandi un castigamatti con il maglione blu?