Il ciclista prepotente

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Il ciclista prepotente

12 Agosto 2011

La prima volta fu ad Amsterdam. Credevamo di averle passate tutte, dopo molti decenni di auto, moto, e altri mezzi. Dalle piste nel deserto alle strade di Napoli. Ma eravamo a piedi, e fu il panico quando ci trovammo circondati da ciclisti. Prepotenti e senza campanello. Sbucavano da tutte le parti, veloci, silenziosi e intolleranti, come sa essere la gente del nord quando gode di un diritto acquisito. Sui marciapiedi, nelle zone pedonali, i padroni erano loro.

Da quel momento ci nacque nel cuore un sentimento che mescolava al rispetto anche l’odio, naturalmente inconfessabile (sarebbe come odiare la foca monaca, una specie, ci dicono, in via di estinzione). Il ciclista rappresenta la purezza dell’aria e dei sentimenti, si potrebbe quasi dire la natura. Non si può odiarlo. Bisogna solo rispettarlo e amarlo per quello che fa per l’anima ecologista dell’umanità.

Ma ditemi che non avete mai provato anche voi un soprassalto, di notte in qualche strada buia di campagna, o poco illuminata di città, nel trovarvi a pochi millimetri dalla ruota posteriore di una bicicletta, cavalcata da un signore vestito di scuro, rigorosamente sprovvista di qualsiasi segnalazione luminosa, che procede alla sacrosanta velocità di un velocipede, venticinque all’ora, mentre voi, con la vostra auto, anche se siete prudentissimi andate almeno al doppio. E ditemi anche se non vi è scappata una qualche maledizione contro quello sconsiderato che rischiava la pelle, e questi erano affari suoi, ma che ha provocato un mezzo infarto a voi, e questi sono affari nostri.

E i ruderi di biciclette incatenate a qualche palo sui marciapiedi, che nessuno porta via? Talvolta sdraiate per terra, talvolta cannibalizzate dei pezzi asportabili, rimaste solo telaio, ma con un sacco di pericolose punte sporgenti alle quali si rischia di agganciarsi.

Noi, come probabilmente anche voi, abbiamo molti amici ecologisti o sportivi, o solo radical-chic che vanno in bicicletta. Intendiamoci, andare in bicicletta a Roma è ben diverso che farlo a Bologna o a Rovigo, dove gli automobilisti sono abituati a conviverci, con i ciclisti, e i dislivelli sono zero. Molti di questi nostri amici usano la bici più come principio, che come mezzo di trasporto, dato che in una città di salite come Roma, si arriva prima a piedi. No, vanno in bici perché così si rispetta l’ambiente. Però ne abbiamo visti alcuni con la bicicletta a pedalata assistita, una totale scemenza che riunisce tutti i possibili svantaggi: pesa molto di più, è comunque lenta e non aiuta a togliersi d’impaccio nel traffico, è costosa e rubabile, e in cambio ti da giusto un minimo aiuto nelle salite (poi, se proprio vogliamo fare i pignoli, quella poca elettricità che muove il motorino, per essere prodotta un po’ di inquinamento lo ha causato di sicuro, certo non qui, ma laggiù alla centrale).

E poi perché vanno senza luci di notte (che è un suicidio)? “Perché ci siamo dimenticati di comprare le batterie; perché fa più fico; perché comunque sono gli automobilisti che devono stare attenti”. E di fronte a un timido suggerimento che anche la città più civile è una jungla con i suoi predatori e le sue prede ti seppelliscono di indignazione. Non è il povero animale indifeso (come obiettivamente è un ciclista nel mondo motorizzato) che deve stare attento per salvare la pelle, ma è l’ambiente circostante che deve adattarsi a lui. Sarebbe come dire che se ho voglia di andare a piedi nudi nella foresta, perché così è più eco e naturale, io ci vado. Poi rovi, insetti, serpenti che potrebbero pungermi, beh, devono astenersi, altrimenti non sono corretti.

Purtroppo spesso il ciclista per principio (non certo quello per necessità, che ancora esiste, anche se non sono più tanti come negli anni cinquanta) è un integralista fanatico, e come tale non ascolta, rivendica. Piste ciclabili, sacrosante; ma se non ci sono, via! sul marciapiedi a zigzagare in silenzio (il silenzio, questa è l’arma letale del ciclista) fra i pedoni.

Naturalmente poi gli incidenti accadono, e ci dispiace. Ma a pensarci bene, la responsabilità non sarà mica sempre solo da una parte, no?

PS. Questa settimana niente Allevi, ma c’è Biancaneve che si è momentaneamente allontanata dalle caserme lasciando i suoi fiori vicino ai cannoni per fare un part-time al Comune di Roma. Di quello che segue la colpa è sua, ne siamo sicuri. Ecco il fatto. Dove Viale delle Milizie sbocca sul Lungotevere c’è un piccolo giardino ornato da cinque cipressi secolari e da un paio di pini marittimi altrettanto maestosi. Bene, questo spazio non particolarmente lussureggiante ma dignitoso, è da qualche giorno arricchito da una piccola aiuola che ci ricorda le stazioni ferroviarie di provincia in cui il nome della località è scritto coi fiori o con le piante. Per informazione dei turisti, o dei romani distratti dal caldo, nell’aiuoletta citata appare disegnata con una risicata siepe di bosso su fondo di ciottoli bianchi la sigla SPQR. Ce n’era proprio bisogno. Se no magari uno poteva pensare di essere a Bordighera o a Ladispoli.

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi