Il commissario Maigret non sopportava giudici e poliziotti blasé

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Il commissario Maigret non sopportava giudici e poliziotti blasé

05 Luglio 2009

E’ noto come Simenon fosse un profondo conoscitore delle persone e dell’animo umano: egli condivideva con il suo più amato personaggio, Maigret, una naturale inclinazione a “collezionare” uomini, e così esprimeva l’evidente desiderio, se non l’invincibile necessità, di conoscere e approfondire ogni aspetto che potesse comunque riferirsi alla vita interiore degli individui ed ai relativi atteggiamenti esteriori.

Egli riteneva come l’uomo fosse un essere così debole, disarmato ed indifeso da non poterne assolutamente pretenderne altro se non la fallibilità e l’incapacità di sottrarsi alle conseguenze dei suoi stessi, inevitabili errori. Perciò, nonostante nella sua vita avesse certamente conosciuto ed apprezzato il danaro e il lusso, non poteva non guardare con diffidenza quel mondo nobile e aristocratico, spesso descritto nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Di esso detestava la falsità, la supponenza e, soprattutto, il sottile cinismo.

Nei suoi scritti compaiono spessissimo personaggi appartenenti a tale realtà sociale; Simenon sempre contrappone gli stessi ai “piccoli uomini”, dei quali, invece, esalta (con sottile ed acuta abilità) doti non comuni di profonda sensibilità e straordinaria capacità di comprensione, nonché di innata e naturale compassione. Anche nei romanzi e nei racconti dedicati al Commissario Maigret, certamente Simenon indulge in una maggior simpatia in favore di personaggi modesti, “minori”, evidenziandone gli aspetti più umani ed i profili più intimamente genuini.

Degli infaticabili collaboratori di Maigret (soprattutto di quelli più umili), Simenon esprime, sia pur non esplicitamente, apprezzamenti incondizionatamente ed affettuosamente lusinghieri. Lucas appare sin dal primo “romanzo ufficiale” della saga “Maigret” (Pietr-le-Letton); egli è sempre disponibile ai pedinamenti, nonostante abbia le gambe piuttosto corte (Maigret si sbaglia), fuma la pipa come il suo capo e ne imita maldestramente lo stile. E’ un subalterno fedele e affidabilissimo.

Janvier, l’ispettore più anziano destinato a diventare erede del “Capo” al comando della sezione di polizia giudiziaria e alla guida della squadra omicidi, viene invece descritto come fin troppo preciso e preparato, un po’ presuntuoso, esageratamente attento, eccessivamente lucido. Conosce talmente bene le modalità di indagine del Commissario, da anticiparne le mosse, con evidente insofferenza e malcelato imbarazzo di Maigret, e con la incondizionata disapprovazione dello stesso scrittore.

L’ispettore Torrance è nel fisico e nel carattere l’alter ego del capo. Egli muore proprio in Pietr-le-Letton; quindi ricompare in numerosi altri romanzi (segno inequivocabile della mancanza di volontà da parte di Simenon di realizzare un’intera ed autonoma collana di scritti dedicata esclusivamente al Commissario parigino) e diventa protagonista di una serie di racconti dedicata alle inchieste dell’Agenzia d’O.

Ma i veri “piccoli grandi eroi” della parte dell’opera simenoniana relativa alle inchieste giudiziarie sono l’ispettore Lapointe e l’ispettore Lognon. Il primo, soprannominato “il giovane” o “il piccolo”, è l’ultimo entrato nella Brigata Omicidi diretta da Maigret. Svolge i compiti più ingrati e faticosi, disdegnati dai colleghi più anziani. Ciononostante Simenon gli attribuisce straordinarie doti di affetto e devozione nei confronti del Capo e gli riconosce una professionalità non comune ed un talento non ordinario. Non a caso lo stesso Autore, che quasi mai ha utilizzato i nomi di battesimo per i suoi personaggi (un esempio per tutti, per la moglie del Commissario, mai chiamata dallo stesso marito con il prenome Louise) regalerà all’Ispettore il nome di Albert.

Il vero “gigante” dei collaboratori di Maigret è l’Ispettore Lognon. Egli non fa parte della squadra di Maigret, è un commissario di quartiere, ma appare costantemente nei romanzi dedicati al Commissario. Ha una moglie perennemente afflitta da malanni ed acciacchi, è sfortunato, si lamenta sempre ed è apparentemente scontroso: i suoi appellativi sono infatti malchanceux, lagnoso, malgracieux. Ha la fama di essere un perdente, non possiede un minimo di autostima, si autocompatisce e non fa nulla per non apparire frustrato e depresso. Mangia poco e male, non beve, non fuma, non frequenta locali pubblici e gira sempre a piedi (anche perché afflitto da seri problemi economici).

Nonostante ciò Maigret, che pur non condivide i suoi metodi di indagine e tantomeno la sua visione della vita, e che certamente non apprezza la sua evidente indole depressiva, è a lui molto legato, gli riconosce un certo talento investigativo ed è convinto che i suoi insuccessi non risultino direttamente proporzionali ai suoi demeriti. Soprattutto apprezza in lui una rara ed esclusiva umanità che solo un animo nobile può cogliere. Perciò il Commissario spesso attribuisce interamente e pubblicamente all’Ispettore lamentoso il successo di indagini personali (Maigret et la jeune morte; Maigret, Lognon et les gangsters) ed è il primo a correre al suo capezzale allorquando incredibilmente (Lognon non è certo un “cuor di leone”) il collega viene ferito nel corso di un conflitto a fuoco (Maigret e il fantasma). 

Ed è proprio nei confronti dei più “blasonati” investigatori che Simenon manifesta la propria antipatia: il giudice Comèliau, capo dell’Ufficio Istruzione e diretto superiore di Maigret, è il vero antagonista del Commissario. Quest’ultimo coltiva con lui un rapporto ispirato sull’assoluto rispetto, ma non ne condivide le vedute e dissente dai suoi metodi di indagine. Se con il giudice non giunge a uno scontro aperto è perché il Commissario è dotato di un’educazione salda, “all’antica”, di un innato senso del dovere e di un inderogabile ossequio alle regole delle umane e civili relazioni.

Maigret non perde la pazienza neanche davanti al Questore in persona (Maigret se dèfend) allorquando lo stesso (descritto da Simenon con evidente antipatia), in assoluta malafede ed al fine di compiacere il Prefetto (interessato a sottrarre al Commissario un’indagine scottante), lo invita alle dimissioni, accusandolo infondatamente di aver abusato, durante il servizio, di una ragazzina.

Anche allorquando lo scrittore belga dedica ad un altro giudice una piccola serie di racconti (I Tredici colpevoli), pubblicati nel 1934 ed editi in Italia nel 1949 nei Gialli Economici Mondadori, non riesce a nascondere il proprio disappunto nei confronti di personaggi che non siano ispirati da profondi sentimenti di umanità e non risultino dotati di genuina capacità di comprensione.

Il glaciale giudice Froget conduce personalmente le proprie indagini, non si affida ad alcun collaboratore, non offre confidenza ad alcuno e osserva pedissequamente e inderogabilmente le più severe e rigorose norme sostanziali e procedurali. Egli non indulge in alcuna comprensione o qualsivoglia compassione, non gioisce per i successi raggiunti ma non partecipa emotivamente ad alcun dramma umano gli capiti di conoscere. Non solo i suoi freddi metodi di indagine distano anni luce rispetto a quelli coltivati da Maigret, ma segue tecniche investigative scientifiche che nulla lasciano all’improvvisazione o all’immaginazione. Egli raccoglie ogni minimo indizio, lo registra, lo conserva e lo elabora. Quindi, seguendo un perfetto sillogismo, allorquando gli indizi raccolti assumano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, giunge implacabilmente alla soluzione del caso, senza farsi tentare da qualsivoglia esigenza di garantismo o sentimento di pietà umana, suscitando nel lettore un’inevitabile disapprovazione.

Ne deriva come Simenon, che comunque ha desiderato affidare anche a personaggi diversi (nel ruolo, nel carattere e nei metodi) da Maigret la conduzione di inchieste giudiziarie, attribuendo loro il ruolo di protagonisti in romanzi o racconti a sfondo (ma comunque non di stretto carattere) poliziesco, non ha esitato ad esprimere la propria profonda avversione per tutti gli aspetti falsi ed ipocriti dell’individuo e per ogni profilo non squisitamente genuino dell’animo umano.