Il conflitto Bce-Germania dice che molti a Berlino non credono all’euro

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Il conflitto Bce-Germania dice che molti a Berlino non credono all’euro

01 Agosto 2012

Compito (improprio) del giornalismo zelante, che vuole vendere, è drammatizzare quel che non dovrebbe essere drammatizzato. Le formule più in voga messe là per descrivere le diverse posizioni in campo nella difficile, complicata, tragicomica partita che la Banca centrale europea di Mario Draghi gioca su due fronti, contro i mercati e le resistenze interne all’Eurotower – quelle dei tedeschi in testa – sono ‘resa dei conti’ e ‘lotta tra falchi e colombe’ (resta da capire chi siano i primi e chi i secondi, e se le colombe siano davvero i buoni e i falchi i cattivi).

Il Wall Street Journal ha dato il la ieri, e nella provincia Italia, dove al massimo si ricincischiano i segnali dati fuori, i giornali nostrani fanno lo stesso. Dopo la sortita di Draghi di qualche giorno fa a seguito degli ennesimi scossoni dei mercati sugli spread tra Bonos spagnoli e Btp italiani sui Bund tedeschi a dieci anni (“Faremo di tutto per difendere l’euro", ha affermato l’ex governatore della Banca d’Italia lo scorso 26 Luglio) e l’altolà di Jens Weidmann di ieri (“la Bce rispetti il proprio mandato”), lui governatore della potente e molto indipendente Bundesbank, beh, a primo avviso verrebbe da pensare che effettivamente il dramma si stia consumando a Francoforte.

Quello tra Draghi e Weidmann è un botta e risposta che si consuma alla vigilia del Consiglio direttivo della Bce di oggi e che, secondo le analisi più in voga, vorrebbe l’italiano pronto a proporre un altro acquisto massiccio di titoli dei paesi a maggiore rischio sovrano dell’area euro e che la Bundesbank, lo ripetiamo, l’indipendente banca centrale tedesca, non vuole.

Ora, davvero siamo alla ‘resa dei conti tra Bce e Germania’? Definizione fuorviante. Certo, a prima vista, sembrerebbe plausibile individuare nella tenzone Draghi-Weidmann il duello centrale. In realtà, il vero duello, si sta consumando all’interno del sistema politico tedesco. Il dato che deve preoccupare è che sempre più in Germania, quell’unanimità sulla bontà della scelta europea, ovvero la centralità della propulsione tedesca nel progetto europeista inserita nella grande equazione di interesse nazionale tedesco sta svanendo (una nozione che in Italia non è più stata declinata con raziocinio dai tempi di Giolitti), e il fronte, se non proprio anti-europeista, almeno non-europeista nella pancia delle elitès tedesche diventa ogni giorno più forte.

Quando un’associazione delle piccole e medie imprese familiari come la Die Familienunternehmer assume delle posizioni non contrarie alla fine delle agonie della Grecia nell’euro – come ha fatto di recente anche il vice-cancelliere e leader della FDP Phillip Roesler -, significa che un pezzo di classe dirigente inizia a nicchiare sull’Europa. Ma è dall’interno di uno degli assi portanti dell’europeismo teutonico, la CDU-CSU, il partito democristiano cattolico-luterano, che arrivano i segnali più preoccupanti e la questione dell’europeismo inizia a essere messa neanche troppo silenziosamente in discussione. La cancelliera Angela Merkel non è un’europeista convinta, come lo fu il grande Helmut Kohl. E Wolfgang Schauble, ministro delle finanze tedesco che di Kohl fu allievo, ha sempre più difficoltà a promuovere la un tempo affascinante ideologia europeista a Berlino.

Se a ciò si unisce la recessione economica che inizia ora a farsi sentire anche in Germania, soprattutto nell’industria, il bicchiere risulta pieno. Dopo il declassamento dell’outlook sulle prospettive economiche della Germania da “stabile” a “negativo” della scorsa settimana, causato in parte dalle aspettative dei mercati sugli esborsi che le casse federali tedesche dovrebbero effettuale se effettivamente uno scudo anti-spread europeo dovesse essere creato, anche l’elettorato potrebbe essere pronto a lasciarsi sedurre da una retorica anti-europeista. Insomma, se domani l’euro non ci fosse più, il D-Mark tornerebbe e Germania si rimetterebbe a lavorare per mantenere le proprie posizioni commerciali nell’Est europeo, pensando alla Russia e ai Balcani come alle aree commerciali di riferimento per il futuro, oltre ovviamente al grande export su Cina, India e Brasile.