“Il confronto con le Regioni sul piano casa è nell’interesse dei cittadini”

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“Il confronto con le Regioni sul piano casa è nell’interesse dei cittadini”

02 Aprile 2009

Guarda al risultato finale: incassare il sì delle Regioni sul piano casa evitando il muro contro muro che avrebbe spostato il merito della questione dal piano tecnico a quello della mera contrapposizione ideologica, depotenziando così l’efficacia del provvedimento. Crinale sul quale, prima dell’intesa siglata in Conferenza Stato-Regioni, proprio i governatori di stretta osservanza Pd aveva tentato di portare il piano che Berlusconi  ha inserito nell’elenco delle misure anti-crisi per rimettere in moto l’economia . La mediazione c’è stata e pure alcuni passi indietro (da entrambe le parti) ma alla fine era “questa l’unica strada possibile”, spiega il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto perché “ci siamo trovati di fronte a un’idea, quella del premier Berlusconi e a un dato, cioè che si trattata di una materia a legislazione concorrente. Era dunque necessario costruire un percorso comune perché altrimenti non saremmo andati da nessuna parte”.

E questo grazie alla riforma del Titolo V della Costituzione varata nel 2001 dal governo di centrosinistra (approvata dall’allora maggioranza parlamentare con uno scarto di soli quattro voti), che “appalta” la materia alle Regioni.

Ministro Fitto, dopo l’accordo con le Regioni il piano casa è stato stravolto rispetto al suo impianto?

No, perché gli obiettivi indicati da Berlusconi sono stati rispettati: l’ampliamento del 20 per cento per immobili di proprietà già esistenti,  oltre alla demolizione e ricostruzione per altri edifici quali ad esempio i capannoni,  che la legislazione regionale può prevedere.  Il Veneto sta pensando anche a  tipologie di intervento diverse da quelle residenziali e mi auguro che pure altre Regioni facciano lo stesso.

Sì, ma alla fine il Governo ha dovuto fare un passo indietro. Dunque quanto del piano casa avete dovuto sacrificare sull’altare della mediazione?

Solo un fatto: anziché applicare un provvedimento che entrava in vigore in tempi rapidissimi, facciamo un percorso condiviso con le Regioni che si esaurisce in 90 giorni, ma se una Regione vuole legiferare prima può farlo e dunque i tempi si accorciano. In sostanza, abbiamo fatto tutti un piccolo passo indietro per farne uno in avanti tutti insieme e procedere in modo organico.

Le pare poco? Non ritiene che le disposizioni del Titolo V della Costituzione oltre a rappresentare un terreno minato nelle attribuzioni delle competenze tra Stato e Regioni aprendo di fatto una conflittualità permanente con continui ricorsi alla Consulta, nel caso specifico possano depotenziare l’efficacia di un provvedimento assunto dal governo in una condizione straordinaria e contingente come quella determinata dalla crisi economica?  

Abbiamo un dato collegato all’articolo 117 della Costituzione in materia concorrente, per questo occorre trovare una soluzione privilegiando la strategia del dialogo e limitare gli elementi di contrasto, compresi i continui ricorsi alla Corte Costituzionale perché non serve a nessuno e non produce risultati nell’interesse dei cittadini.

Sì, ma prima dell’intesa buona parte dei governatori urlava “l’incostituzionalità” del provvedimento paventando le solite barricate contro Roma.

C’è stata una differenziazione politica nel merito della questione, in particolare una diversa visione sui limiti da applicare all’ampliamento delle cubature. C’è stata poi una questione collegata al metodo, cioè lo strumento legislativo. All’inizio si era parlato di un decreto legge e ciò collideva con le competenze attribuite in materia alle Regioni: su questo si è innestata la protesta dei presidenti. Da parte nostra abbiamo privilegiato la strada del confronto e a quel punto è stato trovato un punto di incontro tra gli obiettivi  che il governo si è dato e il rispetto dell’autonomia territoriale. In sostanza si è trattato di uno sforzo che, da un lato consente di dare risposte concrete alle esigenze di rilancio del settore economico, dall’altro fissa un iter con tempi precisi e dà attuazione in modo omogeneo al provvedimento.

Le Regioni hanno novanta giorni di tempo per legiferare. Ma che succede se sforano i tempi o non rispettano la sostanza dell’accordo?

Siccome diamo per scontato che i presidenti di Regione firmatari del documento lo condividano, è chiaro che un’eventuale inadempienza non sarà da attribuire a loro ma all’incapacità dei consigli regionali di approvare le disposizioni normative. A quel punto il governo d’intesa con i presidenti, attua il potere sostitutivo. Avvieremo un monitoraggio con tutte le Regioni. Se dopo l’ottantesimo giorno verifichiamo che in alcuni casi non ci sono le condizioni per legiferare secondo i contenuti dell’intesa, in Conferenza Stato-Regioni chiederemo una prima iniziativa di sollecito alla quale seguirà  l’avvio del potere sostitutivo.

Non c’è il rischio che il piano casa venga applicato a “macchia di leopardo” ad esempio per i limiti sull’ampliamento delle cubature?

Ogni Regione può stabilire autonomamente un limite diverso da quello previsto nell’accordo o prevedere anche altre tipologie di intervento, ma questo rientrava già nelle competenze di carattere locale e lo considero un aspetto positivo.

Berlusconi ha già annunciato la “fase due” del piano con l’obiettivo di dare una casa a chi ancora non ce l’ha. Teme nuovi scontri coni governatori?

Lo escludo categoricamente, perché anche in questo caso seguiremo la strada del confronto attivando un tavolo con gli enti locali. Penso in particolare allo schema seguito per la questione degli ammortizzatori sociali, il regolamento della scuola e su questo settore ricordo lo stanziamento di un miliardo di euro per l’edilizia scolastica, lo sblocco dei 550 milioni di euro proprio per dare attuazione al piano casa in tutte le sue fasi.  Il governo è ben consapevole che c’è una fascia della popolazione, fortunatamente non altissima, che non ha una casa e si è posto l’obiettivo di dare una serie di risposte.

Parliamo del Pdl. Le amministrative sono il primo banco di prova per il partito appena nato, mentre le europee rappresentano il primo test del governo. Lei come valuta questo doppio test elettorale?

Il Pdl è nato il 2 dicembre 2006 a piazza San Giovanni, nel dicembre 2007 a Milano in piazza San Babila, è nato dagli elettori alle politiche di un anno fa. Noi stiamo traducendo un’intuizione di Berlusconi e un messaggio chiaro venuto dagli elettori. Sono rimasto impressionato positivamente dal congresso che ha confermato alcuni dati oggettivi: il partito c’è, ha una leadership forte, una strategia per il futuro, personalità di spicco che hanno un carisma e una visione del Paese molto condivisa – penso all’ottimo intervento di Fini -,  una classe dirigente qualificata. Presupposti indispensabili per la seconda fase, cioè strutturare il Pdl e radicarlo sul territorio per affrontare la tornata delle amministrative per le quali è necessario mettere in campo una classe dirigente all’altezza del compito. Quanto alle europee, si tratta certamente di un passaggio politico importante e sono convinto che riusciremo a superare tranquillamente la soglia del 40 per cento per poi puntare all’obiettivo fissato da Berlusconi: il 51 per cento dei consensi degli italiani.

Ministro, correrà alle europee?

Lo decideremo con il presidente Berlusconi. Ho dato la mia disponibilità e se lui lo riterrà opportuno sono pronto alla sfida.