Il consenso del Pdl in Abruzzo è costruito sulla buona politica e le idee
07 Dicembre 2010
Nell’arco di sette giorni in zone diverse e distanti dell’Abruzzo si sono svolti tre assemblee pubbliche su temi politici (e culturali) promossi, in tutto o in parte, dagli esponenti regionali del PdL. Il dato che ha più colpito, e stupito alcuni, è stata la straordinaria e attenta partecipazione di tantissime persone.
E non parliamo solo delle presenze del ‘ceto politico’, ma letteralmente delle singole persone in carne ed ossa che militano nel PdL, votano per esso o perlomeno guardano con simpatia al centrodestra e a Berlusconi. Senza trarre deduzioni apodittiche, il caso si presta ad alcune considerazioni. Intanto serve a dimostrare che il PdL è nato davvero, e si è consolidato, quale movimento popolare sentito, “riconosciuto” da gran parte degli italiani prima ancora che esso si strutturasse quale partito politico. E poi, che in realtà la politica nel suo senso più ampio – a differenza di quanto si voglia troppo spesso far ritenere dagli aristocratici collocati a sinistra – non sia così distante o avversata dal comune sentimento dei cittadini, a testimonianza che la buona politica, quella delle idee, del confronto,della coerenza, dei fatti, non sia tutta e necessariamente avvolta dal discredito.
Certo, alla buona riuscita degli eventi abruzzesi in questione ha contribuito innegabilmente il prestigio degli ospiti chiamati a relazionare in qualità di autorevoli personaggi del PdL ma è altrettanto vero che l’ampia, attenta, costante partecipazione del pubblico è scaturita molto probabilmente anche per altri concomitanti fattori. Uno di questi è il credito di cui dispone il Popolo della Libertà e la sua classe dirigente e di governo nel Paese e in Abruzzo. Ma un altro motivo, vale la pena sottolinearlo, è il consenso politico, e non solo, di cui gode il Presidente Berlusconi oltre (e nonostante) gli angusti perimetri dei palazzi del potere.
Un consenso diffuso, socialmente stratificato, una fiducia e un carisma che nessuna delle campagne sin qui orchestrate ha potuto scalfire seriamente, come peraltro ogni sondaggio non può che continuare a confermare. Ai voglia a dire che il Commendatore è stanco, che la sua capacità di attrazione è esaurita, che si, insomma, ha esagerato e che forse…; quando si parla di “Silvio” e del PdL, come in questi giorni è avvenuto dalle parti dell’Abruzzo forte e cocciuto, vi è la prova empirica che il “dopo” (inteso come fine di un momento storico-politico) per Berlusconi e il PdL è lungi dall’essere cominciato. Anzi, nel caso di Silvio Berlusconi e del centrodestra, sembra mostrarsi sempre più chiaramente – in linea con le migliori tradizioni democratiche occidentali – quanto un progetto politico, per affermarsi e radicarsi, non può solo enunciare generiche aspirazioni di cambiamento, ma deve necessariamente basarsi su azioni reali di riforma e su un leader oggettivamente capace di portarle a compimento.
Il tutto, come è indispensabile ricordare, cementato da una condizione basilare: il consenso elettorale. Non bastano quindi vagheggiate ipotesi di comitati di liberazione, di terzi poli, di futuristiche libertà, per aspirare alla guida dell’Italia. Tutto ciò, agli occhi delle persone appare solo astrusa e vecchia politica; ha ragione su questo il senatore Gaetano Quagliariello quando, proprio in questi giorni in Abruzzo ragionando tra l’altro sulla nascita di Futuro e Libertà, ha sostenuto che la scissione “può rappresentare un’opportunità: credo che questa abbia dato al PdL più compattezza ideale perché ha riguardato solo la classe politica e non gli elettori, come capiremo meglio nei prossimi mesi”.
Chissà se intanto e finché si è in tempo, lo comprenderanno tutti coloro, che – proclamandosi alfieri del nuovo centrodestra – hanno nel frattempo fatto proprio il morettiano slogan di sinistra “continuamo così, continuiamo a farci del male”.