Il corpo umano ha perso la sua sacralità. L’uomo è sempre più cyborg
10 Agosto 2008
La vicenda
Oscar Pistorius è ormai conosciuto come "la cosa più veloce che corre senza gambe". Nato nel 1986 a Pretoria, in Sudafrica, a undici mesi, per una grave malformazione congenita, dovette subire l’amputazione di entrambe le gambe sotto il ginocchio. La sua passione per lo sport lo portò a praticare rugby e pallanuoto, poi si dedicò all’atletica leggera ottenendo subito risultati di grande rilievo grazie a due protesi laminari di fibra di carbonio, da cui il soprannome Blade Runner.
Nel 2004, alle Paralimpiadi di Atene vinse il bronzo sui 100 metri e l’oro sui 200, battendo anche atleti amputati di una sola gamba. Da allora i suoi primati si sono moltiplicati, incoraggiandolo a partecipare, nel 2007 alla sua prima gara con atleti normali (o, come si usa dire con un termine orribile, normodotati), ottenendo un ottimo risultato nei 400 piani, tanto che subito dopo la IAAF (Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica) modificò il regolamento delle gare, vietando l’uso di "qualunque dispositivo tecnico contenente molle, rotelle o altri elementi che avvantaggino l’atleta rispetto agli altri concorrenti". Era evidentemente un provvedimento ad personam contro Pistorius.
Gli esperti erano infatti arrivati alla conclusione che le protesi conferivano all’atleta sudafricano un notevole vantaggio sui "normodotati". Di conseguenza il 14 gennaio 2008 la richiesta di Pistorius di partecipare alla gara dei 400 metri piani alle Olimpiadi di Pechino fu respinta dalla IAAF. Ma la decisione fu rovesciata nel maggio di quest’anno dal Tribunale dello Sport, che non riconobbe i vantaggi che deriverebbero dalle protesi. La nuova sentenza consentiva all’atleta di partecipare alle Olimpiadi, ma Pistorius non potrà gareggiare comunque perché ha ottenuto un tempo di 46,25 secondi, superiore al tempo massimo di qualificazione di 45,55, e non è neppure rientrato nella staffetta sudafricana dei 4 x 400.
Le protesi
Secondo alcuni esperti, le gambe artificiali di Pistorius, che sono lamine di fibra di carbonio a forma di J chiamate cheetah, come la scimmia Cita di Tarzan, sono più lunghe del necessario, il che gli consente di coprire ad ogni passo una distanza superiore a quella media di un atleta normale. Inoltre ad ogni contatto col terreno le cheetah restituirebbero più energia delle gambe umane e non si stancherebbero perché non produrrebbero l’acido lattico che rallenta gli atleti normali. Pistorius e il suo allenatore respingono le accuse, sottolineando invece gli svantaggi delle protesi: la pioggia impedisce una buona aderenza, il vento le devia e, soprattutto, l’atleta deve produrre più sforzo alla partenza.
Le indagini condotte in varie occasioni dai periti hanno fornito esiti contrastanti: così, dopo la decisione della IAAF di bandire Pistorius dalle Olimpiadi, è giunto il verdetto contrario del Tribunale dello Sport. I vantaggi e svantaggi delle cheetah saranno certo soggetti a ulteriori valutazioni in futuro.
L’uomo artificiale
La vicenda di Pistorius, al di là degli aspetti sportivi e dei risvolti umani, offre molti spunti di riflessione sul rapporto naturale-artificiale e sull’ibridazione tra uomo e macchina e più in generale tra uomo e "altro". Da sempre gli umani vivono in simbiosi con altre entità: ciascuno di noi è una colonia. Nelle nostre viscere si annidano miliardi di batteri che ci consentono di esplicare attività vitali come la digestione. Il cibo stesso è una agente di meticciamento. Dopo l’alimentazione, il caso più antico ed evidente di ibridazione ci è offerto dalla medicina. Da tempi immemorabili l’uomo assume farmaci: prima, a lungo, naturali, poi, via via, sintetici. L’assunzione di droghe eccitanti, che ha effetti ancipiti, buoni e cattivi, è pratica antichissima: Si pensi agli alimenti nervini (caffè, tè), al tabacco, all’alcol. Oggi il termine droga si riferisce a composti naturali e, sempre più, di sintesi che provocano stati di benessere momentaneo e di euforia quasi sempre accompagnati da una dipendenza spesso irreversibile e da effetti devastanti.
Con la chirurgia il corpo viene manipolato in modo più o meno fine, non più solo chimico, ma meccanico, a scopo curativo ma anche migliorativo (si pensi alla chirurgia estetica). Queste pratiche si scontrano con il concetto di un’identità stabile legata al corpo biologico, tema su cui torneremo. Si pensi ai trapianti di organi, che sono sempre più intimi e invasivi, e alle manipolazioni corporee, che riguardano apparati sempre più nascosti e vitali, fino a toccare gli il patrimonio genetico.
Con i trapianti classici siamo nel campo del meticciamento organico-organico, ma la medicina moderna ci presenta anche ibridazioni tra organico e non organico. Protesi e apparecchi sempre più raffinati, sempre più estranei alla storia biologica: braccia, gambe, peni e cuori artificiali che s’innestano su un tronco organico, prefigurando gli organismi ciborganici o cyborg. La bioingegneria ci propone ibridazioni di organico "naturale" con organico "artificiale" (si pensi alla pelle artificiale). Allo stesso tempo l’umanità appare sempre più proiettata verso una sessualità di nuovo tipo, anzi verso una scomparsa della sessualità come strada regia della riproduzione. Disaccoppiando sessualità e riproduzione andiamo verso la produzione di noi stessi e rendiamo sempre più problematica l’identificazione dei generi, che ad alcuni appaiono ormai come un inutile relitto del passato.
Quanto sono lontani i tempi in cui i trapianti di organi ci parevano miracoli un tantino diabolici per quel residuo di sacralità intangibile che ancora aleggiava intorno al corpo! Nel frattempo questi interventi (i trapianti di cuore, fegato, reni, arti, le applicazioni di pelle sintetica, la dialisi, l’autotrasfusione, le pratiche di cosmesi e di chirurgia plastica…) sono diventati comuni, e sono stati affiancati da pratiche molto più audaci, come le terapie invasive basate sulle cellule staminali, che introducono nel corpo una sorta di colonia infestante, in grado di rigenerare qualunque tessuto e di rinnovare il soggetto, tramutandolo in altro, uguale a prima ma diverso da prima, capace di prestazioni nuove, di vita ulteriore, di sentimenti inauditi.
La distinzione tra naturale e artificiale diventa sempre più problematica, tanto da autorizzare una definizione dell’uomo come essere "naturalmente artificiale".