Il Corriere ha fatto della Cederna la santa vergine degli anni Settanta
16 Gennaio 2011
A impedirci di amarla basterebbe il fatto che scrisse le peggio cose su Oriana Fallaci, invidiandone probabilmente il successo e i riconoscimenti a livello internazionale. Ma a proposito di Camilla Cederna (1911-1997) ci sono ben altre cose da ricordare, momenti della sua carriera che dovrebbero essere noti a tutti ma non hanno impedito al Corriere della Sera, pochi giorni fa, di celebrarla alla stregua di una Giovanna D’Arco italica, una che non si accontentava della versione dei fatti fornita dallo Stato borghese, bensì preferiva seguire con tenacia altre piste. Poco importa se poi si sono rivelate terribilmente sbagliate e incredibilmente dannose.
Questi i fatti: per Rizzoli sta per uscire – sarà in libreria a giorni – un volumone intitolato “Il mio Novecento”, che raccoglie numerosi articoli della celeberrima firma dell’Espresso dei tempi d’oro. Bene, il 10 gennaio il quotidiano di via Solferino lo ha anticipato con un articolone di Ranieri Polese. Titolo: “L’impegno del lato debole”. E fin qui… Catenaccio sul sito web del Corrierone: “Camilla Cederna, giornalista di costume che denunciò i casi Pinelli e Leone”. Denunciò? Ma che diavolo aveva da denunciare? La Cederna fu tra i principali accusatori del presidente della Repubblica Giovanni Leone, contro il quale scatenò una campagna diffamatoria feroce a partire dal 1975. Oggi, per molto meno, si parla di “macchina del fango”, “metodo Boffo” e via discorrendo. La giornalista pubblicò, nel 1978, il libro “Giovanni Leone. La carriera di un presidente”. Fu un successo, come spesso accade ai testi complottistici con tendenze sinistre; vendette svariate migliaia di copie. Risultato: il povero Leone dovette lasciare l’incarico con disonore. Venne riabilitato soltanto molti anni dopo, quando ormai non serviva più. Dunque che diamine ha denunciato la Cederna? L’unica denuncia fu quella che si prese lei, condannata per diffamazione.
Poi c’è il caso Pinelli. Il pamphlet della Cederna sull’argomento (“Pinelli: una finestra sulla strage”) è stato da poco ripubblicato da Il Saggiatore, si trova in tutte le librerie italiane. Peccato che pure quello sia pieno di falsità, le stesse contenute nella famigerata lettera aperta pubblicata nel ’71 sempre dall’Espresso e sottoscritta da tutti gli intellettuali che all’epoca contavano (quelli filo-comunisti) in cui sostanzialmente si accusava il commissario Luigi Calabresi di aver causato la morte dell’anarchico volato giù da una finestra della Questura. A rimetterci, a causa della lettera e pure del libro successivo, fu il povero Calabresi, che fu barbaramente trucidato da Lotta continua. Non certo la Cederna. La quale continuò a spargere il proprio astio ideologico ancora per parecchi anni, concentrandosi di volta in volta su bersagli appetitosi.
Nel 1990 se la prese appunto con la Fallaci. La descrisse come uno sciacallo, un’arrogante, una specie di pazza isterica che aveva successo solo perché "rompeva i coglioni". Ovviamente i libri della Fallaci e le sue interviste sono stati letti da milioni di persone nel mondo. Quelli della Cederna, fortunatamente no. Eppure il principale quotidiano italiano scrive che la Cederna fu una grande intellettuale impegnata con il coraggio della denuncia. Se uno avesse davvero coraggio, l’unica denuncia da sporgere sarebbe contro chi affianca il nome della Cederna a quello dell’Oriana nel novero delle più importanti giornaliste italiane.