Il costo delle rivolte arabe? La modica cifra di 55 miliardi di dollari

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Il costo delle rivolte arabe? La modica cifra di 55 miliardi di dollari

29 Ottobre 2011

Cinquantacinque miliardi di dollari, secondo il report pubblicato da Geopolicity, una società di consulenza strategica con base negli Usa e negli Emirati Arabi Uniti. Tanto sta costando il TFR dei vecchi raìs agli Stati travolti più intensamente dall’ondata delle rivolte arabe. Gli autori del report, sviluppato utilizzando i dati del Fondo Monetario Internazionale, oltre a quantificare i costi delle rivolte arabe, hanno voluto tracciare una roadmap indirizzata ai Paesi di G20, Onu, Lega Araba e Consiglio di cooperazione dei paesi del Golfo, affinché “si possa valutare la dimensione dell’aiuto economico da fornire alle nazioni arabe che si sono avviate sulla strada della transizione democratica” si legge nell’introduzione al rapporto.

Nonostante la situazione sia in continua evoluzione le economie più colpite sono quelle di Libia, Siria, Egitto, Tunisia, Bahrain e Yemen. I costi della finanza pubblica ammonterebbero a 35,28 miliardi di dollari mentre quelli del prodotto interno lordo sono di circa 20 miliardi ma -va sottolineato- nelle statistiche non è stata valutata la perdita di vite umane né calcolati i danni alle infrastrutture e la caduta vertiginosa degli investimenti esteri. Ma, se si quantificano le somme delle perdite di pil e costi per finanze pubbliche scopriamo che la Siria ha perso intorno ai 27,3 miliardi, l’Egitto 9,79 miliardi di dollari mentre il Bahrein 1,09 miliardi, all’incirca quanto lo Yemen, pressappoco un miliardo, anche se Sana’a ha scapitato il 77 % delle entrate dello Stato.

La Tunisia, fresca di elezioni, ha perso circa 2,52 miliardi tra pil e finanze pubbliche e secondo l’Ente Nazionale del Turismo tunisino durante i primi 9 mesi del 2011 il settore turismo ha subito un’inflazione del 38,5% rispetto allo stesso periodo del 2010. In Libia, invece, le entrate pubbliche sono precipitate dell’84 per cento, mettendo a rischio servizi essenziali per i cittadini che almeno in 740 000 hanno lasciato il Paese dall’inizio del conflitto. Senza scordare ‘il’ problema dei problemi: la produzione di petrolio.

Prima dell’inizio delle ostilità, come riportavamo ieri su L’Occidentale, la produzione libica era di 1,7 milioni di barili al giorno mentre ora si stima la produzione a 400 mila barili al giorno. A sostituire la Libia nell’esportazione del greggio ci ha pensato l’Arabia Saudita, nonostante l’oro nero di Riyadh sia di qualità inferiore rispetto a quello di Tripoli. Non a caso, stando sempre allo studio del gruppo Geopolicity, il regno della famiglia Saud insieme a Bahrein ed Emirati Arabi Uniti sono gli unici dell’Area ad aver goduto di vantaggi economici dalle rivolte arabe: nella Penisola arabica, infatti, sarebbe stato registrato un incremento del 25% delle entrate erariali.

L’amministratore delegato di Geopoliticy, Peter Middlebrook, si augura che una parte di questi introiti venga reinvestita in aiuti per le nazioni colpite dalle rivolte arabe. Mentre dall’Occidente, ammoniscono gli autori del report, ancora si aspettano i finanziamenti promessi in Normandia lo scorso maggio, quando il padrone di casa e presidente di turno di quel G8 d’allora, Nicolas Sarkozy, delineò un piano per sostenere "il successo delle rivoluzioni arabe e mobilitare aiuti economici considerevoli". Eppure – ça va sans rire – le dichiarazioni e le promesse di Sarkozy ancora devono essere onorate.