Il Csm parla di spie ma pensa  alla riforma Castelli

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Il Csm parla di spie ma pensa alla riforma Castelli

05 Luglio 2007

Con la beata ingenuità che contraddistingue spesso la Cdl nei momenti cruciali dello scontro politico sulla giustizia, ieri i consiglieri di opposizione del Csm hanno lasciato approvare all’unanimità un documento che equivale alla messa in stato d’accusa di un corpo dello stato, il Sismi, e di una stagione politica, quella del secondo governo Berlusconi. Il pretesto è una serie di dossier raccolti, in un modo o nell’altro, da uno di quei personaggi che animano la scena dei servizi segreti italiani interpretando la consueta commedia del “servizio servizievole”. Ecco infatti uno che vanta imperitura fedeltà al padrone (del momento) e la fa risalire sino ai tempi dell’infanzia.  Nei suoi dossier, ampiamente pubblicati dall’organo dell’organo, la Repubblica, non c’è nulla di rilevante, e nulla che non si ritrovi su internet o sui giornali, tranne un po’ di fraseologia – “disarticolare” – mutuata dalle cattive letture professionali. Niente di minaccioso. Non un bombarolo, al massimo un pomparolo.

Ma il Csm prende tutto sul serio e, nonostante un processo sugli stessi fatti sia in corso, pronuncia una sentenza politica inappellabile: fu spionaggio, e non si trattò di “attività deviata” ma istituzionale. Insomma un golpe bianco, secondo il Csm.

Il quale Csm s’impaluda del titolo di “organo di autogoverno della magistratura”, ed è presieduto dal Capo dello Stato, vale la pena di ricordarlo. Le sue delibere hanno dunque un’incidenza non minimizzabile, a meno di essere ormai rassegnati a vivere in un paese senza bussola istituzionale. Come probabilmente è. Quindi infischiamocene e tiriamo a campare. Non sentiamo scatti di manette e nemmeno rumore di sciabole.

Soltanto acre profumo di lobby. Perché l’atto di accusa del Csm non è che un movimento – allegro con brio- dell’operetta che si recita da tempo in Parlamento, e che sta ormai per uscire dal cartellone, la Riforma dell’Ordinamento Giudiziario. A fine luglio o il Parlamento avrà approvato la legge Mastella che restituisce alla lobby dei magistrati tutto ciò (nemmeno tanto) che la legge Castelli gli aveva tolto nella scorsa legislatura, oppure la Castelli verrà scongelata con grande scorno dell’Associazione Nazionale Magistrati (ala sindacale) e del Csm (ala costituzionale).

I magistrati dalla Mastella hanno riavuto quasi tutto quello che volevano, tranne qualche brioche, ma non vogliono rinunciare neppure a quella. Pensate infatti se Maria Antonietta, che fa la Pm e ha appena avuto un bambinello, vuole diventare giudice (terzo): la Mastella le imporrebbe di cambiare città. E il bambinello? Costretto a faticosi traslochi, ad abbandonare le primissime amicizie dell’asilo nido. Per carità! Hanno trovato un rimedio, giusto ieri. La tenera mammina potrà fare il giudice a casa sua, nel Civile, per un po’. Basta? Macché. Eppure alla lobby viene assicurata la possibilità che ogni suo associato cambi mestiere per ben quattro volte, saltabeccando senza problemi dalla funzione requirente a quella giudicante, giusto per mantenere fluida l’”articolazione” e arrotare periodicamente la lama d’acciaio dell’unità d’azione politica fra Pm e Giudici.  Ma non è sufficiente. Il perché l’ha spiegato a suo modo uno dei pezzi da novanta della magistratura milanese, il dottor Armando Spataro, impegnato nell’inchiesta sul Sismi per il rapimento di Abu Omar, ieri al Corriere della Sera: “L’impegno di scardinare la legge Castelli era nel programma di governo, abbiamo il dovere di pretendere che quell’impegno si mantenuto”.

A parte lo scardinare, che è un po’ come il disarticolare di quell’altro, sembrano le parole della triplice di Rifondazione Comunista, Giordano Migliore Ferrero, sullo scalone. Solo che Bertinotti quel programma l’aveva firmato, l’Anm no. O almeno non ce l’avevano detto. Né peraltro i servizi avevano indagato. Anche se, a prendere alla lettera le parole di Spataro, ce ne sarebbero state tutte le ragioni.