Il cuore dell’America batte per Trump: sei più onesto di Hillary!
03 Novembre 2016
A una manciata di giorni dalle elezioni Usa, tanti si esercitano sul voto dei cosiddetti “grandi elettori”. Il presidente degli Stati Uniti non viene scelto con una elezione diretta, con una maggioranza semplice espressione del voto popolare. I candidati devono conquistare la maggioranza dei “grandi elettori”, appunto, per entrare alla Casa Bianca, raggiungendo il fatidico numero dei 270 collegi elettorali (con un paio di eccezioni proporzionali) assegnati a ognuno degli Stati della Unione. Chi vince il voto popolare, si prende anche i grandi elettori dello Stato, secondo il meccanismo “winner-takes-all”. Ma alcuni Stati hanno un piccolo numero di grandi elettori, altri un numero molto alto – sulla base della loro composizione demografica; e questo complica la partita. Chi si cimenta con il pallottoliere cerca allora di immaginare cosa accadrà nei cosiddetti “swing states”, gli stati ballerini, che oscillano tra Repubblicani e Democratici e saranno decisivi anche l’8 di novembre.
Si dice che Hillary abbia nelle sue mani 251 voti elettorali contro i 180 di Trump. Dunque per vincere a Trump non resterebbero che due soluzioni, magari interconnesse: conquistare i 107 voti elettorali divisi tra Ohio, Florida, North Carolina, Arizona, Nevada, Iowa, Colorado e Virginia; non perdere l’appuntamento nel religiosissimo Utah, dove i Mormoni non sembrano particolarmente entusiasti del Don; oppure sfondare in Stati che la Clinton pensa di avere già in tasca, come nel Midwest, nel Wisconsin che Trump in queste ore ha battuto in campagna elettorale. In Stati come questo le radicali trasformazioni demografiche degli ultimi anni, come ha scritto il Wall Street Journal, e il peso sempre più forte della immigrazione messicana, potrebbero risvegliare l’elettorato bianco, meno istruito e che non va a votare o ha votato democratico, spingendolo verso Trump.
Certo Trump non può perdere in Ohio, As Ohio goes, so goes the nation, dicono gli americani, dove va l’Ohio, va la nazione. E’ la terra simbolo degli “stati ballerini”. Nessun candidato repubblicano è mai diventato presidente degli Stati Uniti senza averlo conquistato. Secondo Real Clear Politics, che fa una media dei sondaggi e delle rilevazioni in circolazione, Trump in Ohio avrebbe 2,5 punti di vantaggio su Clinton. Altro stato chiave che Trump non può assolutamente permettersi di perdere, come ha ammesso anche il manager della sua campagna elettorale, è la Florida, determinante nelle ultime elezioni americane. Per Real Clear Politics, Trump qui avrebbe un punto percentuale di vantaggio sulla rivale. In North Carolina Trump è in vantaggio di 0,7 punti. Ma il colpaccio lo farebbe prendendosi anche Stati come il Colorado, vinto da Obama nelle ultime due elezioni presidenziali, dove la Clinton è in vantaggio di 2,4 punti. O ancora altri Stati minori come Nevada, Iowa e New Hampshire.
Messa giù così, prestando ascolto unicamente a chi manovra i pallottolieri, la sfida per Trump è in salita (da quando non lo è?); quella per Clinton in discesa, sempre che Lady Hillary non precipiti rovinosamente. Perché è vero che sondaggi recenti come quello del Washington Post-ABC News, che ha sancito il “sorpasso” di Trump sulla Clinton, vanno calcolati in media con tutti gli altri, che continuano a dare in testa Hillary nel voto popolare, ma quello stesso sondaggio dice anche un’altra cosa. La maggioranza degli americani a meno di una settimana dal voto considera Trump più onesto e affidabile della Clinton. Nonostante gli scandali e l’odio che la campagna democratica gli ha rovesciato addosso, Trump guida la speciale classifica dell’onestà con 8 punti percentuali (46% contro il 38% di Clinton).
Il sondaggio è stato realizzato dopo la “sorpresa di ottobre”, il ritrovamento da parte dell’Fbi delle email sulla inchiesta – archiviata a luglio e riaperta a pochi giorni dal voto – sull’uso di server e un indirizzo di posta elettronica privati da parte della Clinton quando era segretario di Stato di Obama. Ma non si tratta solo di questo: il fatto è che la credibilità della Clinton, dalla impresa di Libia (Bengasi) agli scandali emersi in campagna elettorale, la rende sempre meno appetibile come inquilino della Casa Bianca, destinata, magari, a finire sotto impeachment se vincesse le elezioni. Non avendo la sfera di cristallo non sappiamo ancora come andrà a finire la sfida negli Usa e restiamo in attesa di nuove sorprese come quella dell’FBI o di nuove fughe di notizie via Wikileaks, che ormai hanno abbondantemente preso il posto delle scappatelle sessuali di Trump.
Fatto sta che per uno come il Don, dato per spacciato come candidato ancora prima di iniziare le primarie (primarie che poi ha vinto regolarmente contro il suo partito), ritrovarsi spalla a spalla con Hillary, e pensare di insidiarla anche negli Stati tradizionalmente feudo dei Democratici, non solo è una bella soddisfazione, ma rischia anche di trasformarsi nella più inebriante delle vittorie. Le elezioni Usa non saranno come Brexit, è vero. Sono mesi che sentiamo ripetere dagli esperti o presunti tali che vincerà la Clinton, e forse i giochi sono già stati fatti. Ma pare che gli “early voters”, i primi ad andare a votare tra gli elettori afroamericani, stiano deludendo le attese in casa Democratica, e anche Obama sembra preoccupato, nervoso. Gli elettori votano con il cuore, e ancora non sappiamo quanti cuori batteranno per Trump l’8 di novembre.