
Il Dalai Lama mette in difficoltà politica e imprese

27 Novembre 2007
La
situazione, in apparenza, è farsesca. Ai primi di dicembre il Dalai Lama –
al secolo Tenzin Gyatso – atterrerà in Italia, una delle tante tappe toccate
dal leader buddista nel corso dei suoi viaggi senza fine. Tra il 7 e il 9
dicembre, Tenzin Gyatso sarà a Milano e al PalaSharp terrà alcune lezioni
seguite da una conferenza pubblica prevista per domenica 9, ore 15
(l’iniziativa è patrocinata dalla Provincia di Milano); il 16 dicembre, invece,
sarà a Torino: seguiranno poi Udine e Roma. Ma come è accaduto per paesi che lo
hanno precedentemente ospitato, anche sull’Italia si è abbattuta l’ira della
Cina: l’ambasciatore del dragone ha fatto sapere di non gradire assolutamente
la visita del leader tibetano, ed è pronta a mettere in moto tutti i mezzi per
guastare la festa alle imprese italiane in Cina – così come a deviare l’Expo
2015 da Milano a Smirne. Anziché accogliere a braccia aperte il prestigioso
premio Nobel per la Pace tibetano, ecco allora che le istituzioni italiane
iniziano a tentennare: che fare con l’ospite che scotta? All’improvviso le
agende si riempiono d’impegni per non doverlo incontrare, in una corsa allo
scaricabarile tipicamente italian-style. Anche il Vaticano, intanto, ha
smentito un precedente annuncio secondo il quale Benedetto XVI avrebbe
incontrato il Dalai Lama a dicembre – suscitando le ire della Cina –: secondo
Padre Federico Lombardi, portavoce della Senta Sede, “non c’è in agenda alcun
incontro” tra il Santo Padre e il leader tibetano.
Un
passo indietro. Perché la Cina odia il Dalai Lama? E perché lo reputa così
pericoloso da intromettersi – con la palese arma del ricatto – nelle libere
scelte degli altri Stati? Il Dalai Lama (72 anni, residente in India da
esiliato dal 1959), rappresenta la più alta autorità tibetana e il capo
spirituale della scuola buddista di Gelug. Lo scontro con la Cina è del tutto
politico: il gigante asiatico considera il Tibet roba sua, mentre il Dalai Lama
lotta per l’indipendenza della regione. Dopo essere stato cacciato in India nel
1959, Tenzin Gyatso ha fondato un governo tibetano in esilio (Central Tibet
Administration) subito bollato come illegale dal partito comunista cinese. Nel
1960 il governo tibetano provvisorio si è instaurato definitivamente nella
città indiana di Dharamsala: il suo ruolo, sul piano pratico, è quello di
accogliere e amministrare gli esuli tibetani in attesa della definitiva
indipendenza della regione. Per quanto riguarda la Cina, il Dalai Lama altro
non è che un pericoloso separatista dissidente: unico effetto dei suoi viaggi
intorno al mondo sarebbe quello di mettere in cattiva luce il governo cinese.
Ma a dare pieno riconoscimento alla resistenza pacifica del leader buddista è
stata l’Accademia di Svezia, che nel 1989 lo ha insignito del premio Nobel per
la Pace.
Il
discorso della Cina è chiaro: il Dalai Lama è un nemico, e incontrarlo con
tutti gli onori significa mettersi contro di noi. Gli Stati mondiali devono
scegliere: o con la Cina, o con il Tibet. Recentemente, davanti a questo bivio
si sono trovati tanto la Germania di Angela Merkel quanto gli Stati Uniti di
George W. Bush: entrambi non hanno avuto il minimo dubbio, accogliendo il Dalai
Lama con tutti gli onori. La Merkel ha ricevuto l’ospite il 23 settembre in
Cancelleria a Berlino, rispondendo picche alle minacce cinesi: “Decido io
chi ricevere e dove” ha detto la cancelliera. Bush è andato addirittura
oltre, insignendolo ad ottobre della Medaglia d’Oro del Congresso statunitense,
la più alta onorificenza americana.
Ma in
Italia, soprattutto a Milano, sembra mancare questo coraggio. Il primo a
sollevare il problema è stato Roberto Formigoni, presidente della Lombardia,
chiedendo lumi a Roma sul comportamento da tenere in occasione della visita:
“In questo campo, dove si gioca un settore importante della politica
estera dell’Italia, è il Governo che deve prendere l’iniziativa e accogliere la
nostra disponibilità a sederci intorno allo stesso tavolo per decidere insieme
cosa fare”. Insomma, accoglierlo o non accoglierlo? A Milano regna
l’incertezza: Formigoni annuncia un incontro, ma fuori dai palazzi
istituzionali; Letizia Moratti, sindaco meneghino, per quei giorni ha già
l’agenda fitta d’impegni: visita di Napolitano e Prima Scaligera di
Sant’Ambrogio; nessun incontro ufficiale col sindaco di Milano, dunque, che ha
però fatto sapere di poterlo accogliere nell’ambito di una serie di incontri
con i premi Nobel (tra cui Shimon Peres e Al Gore). Il più agguerrito sembra
Vittorio Sgarbi, assessore alla Cultura: “Riceverò io il Dalai Lama.
C’erano effettivamente stati alcuni imbarazzi in giunta quando si era trattato
di decidere se dare o meno il patrocinio all’iniziativa del PalaSharp. Alla
fine, dietro mia insistenza, il patrocinio è stato concesso, quindi non vedo il
problema”. Il critico d’arte ha inoltre espresso il desiderio di portare
l’ospite ad Arcore, per farlo incontrare con Silvio Berlusconi: del resto, dice
Sgarbi, “lo ha fatto con gli ispettori dell’Expo, perché non dovrebbe
farlo col Dalai Lama?”.
Il
problema di Milano è semplice e duplice: imprese e Expo 2015. Sul piano
imprenditoriale, sono molti i milanesi che hanno forti interessi in Cina: una
presa di posizione del governo cinese contro l’Italia certo non favorirebbe
coloro che hanno investito in Asia. Ma l’incubo peggiore resta l’Expo 2015:
come ripicca, la Cina potrebbe votare contro la candidatura milanese favorendo
la città turca di Smirne. Un’eventualità che la giunta non vuole neppure
prendere in considerazione. La Cina, del resto, è stata chiarissima: accogliere
il Dalai Lama è una “provocazione” e si tratta di “interferenza
negli affari interni” cinesi. Ma su questo punto Marilena Adamo,
capogruppo dell’Ulivo al consiglio comunale, è chiarissima: il problema di
Milano è “che si fanno calcoli di opportunità in vista del voto della Cina
per l’assegnazione dell’Expo, si stanno perdendo di vista le regole della buona
educazione e dei doveri istituzionali”.
Più
coraggiosa di Milano, in effetti, si è dimostrata Torino – anche se non ha
candidature pendenti sulla testa. Il 16 dicembre il Dalai Lama parlerà di
fronte alle assemblee piemontesi, in seguito ad una decisione assolutamente
bipartisan. Il presidente del consiglio regionale piemontese, Davide Gariglio,
ha dichiarato che gli appuntamenti torinesi “non sono iniziative ostili
nei confronti della Cina, ma rivendichiamo il diritto di incontrare il leader
spirituale indiscusso di un popolo con una storia millenaria”. Ma un po’
di preoccupazione non manca, anche sotto alla Mole: “Speriamo che non ci
siano ritorsioni, anche se potrebbero esserci delle conseguenze
economiche”.
Ma
una brigata di coraggiosi è presente anche a Roma, in Parlamento. Guidati dal
forzista Benedetto della Vedova (ex Radicale), già 156 deputati hanno firmato
una petizione per richiedere che il Dalai Lama possa essere accolto alla Camera
dei Deputati, “cuore della democrazia”. L’obiettivo di Della Vedova è
raggiungere le 315 firme, corrispondenti alla metà del Parlamento. Tra i
seguaci del deputato di Forza Italia presenziano anche esponenti di An (guidati
dalla vicepresidente della Camera Giorgia Meloni), dell’Udc (tra cui Luca
Volntè) ed esponenti della maggioranza di governo: Pd (Roberto Giachetti e
Pietro Marcenaro), Prc (Pietro Folena), Verdi (Grazia Francescano) e l’intera
Rosa nel Pugno. Ma per ora Fausto Bertinotti non ci sente: “Nell’emiciclo
si svolgono solo lavori parlamentari, non celebrazioni” hanno spiegato i
suoi collaboratori. L’alternativa è un incontro nella Sala Gialla, ma l’effetto
simbolico non sarebbe lo stesso.
La
raccolta firme, intanto, continua: c’è ancora tempo per convincere le
istituzioni italiane ad avere lo stesso coraggio di Stati Uniti e Germania,
senza farsi intimorire dal Partito Comunista cinese. I cittadini italiani,
intanto, sembrano avere le idee chiare: secondo un sondaggio on-line di Corriere.it, per nove
italiani su dieci “è giusto sfidare la Cina e affrontare la minaccia di
ritorsioni economiche incontrando il Dalai Lama in visita in Italia”.