Il Darfur deve battersi per l’indipendenza (con l’aiuto degli Usa)

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Il Darfur deve battersi per l’indipendenza (con l’aiuto degli Usa)

29 Dicembre 2008

Talha Gibriel è uno dei maggiori oppositori del governo sudanese. Giornalista, politico e scrittore, è il capo-redattore di Asharq Al-Awsat, un grande quotidiano del mondo arabo. Gibriel, nato nel Nord del Sudan, cioè nella parte araba del Paese, è autore di numerosi libri sul pluralismo politico. Da trent’anni, infatti, si occupa di promuovere la democrazia in Sudan, opponendosi all’imperialismo arabo sulle popolazioni africane. Gli abbiamo chiesto cosa sta accadendo nel Paese e qual è la situazione in Darfur, la martoriata regione che vive da anni un brutale genocidio. Potrebbe esserci un intervento diretto degli Stati Uniti?

Qual è la causa degli interminabili conflitti che insanguinano il Sudan fin dalla sua indipendenza?

Il motivo principale è la mancanza di democrazia. Il Sudan è un paese con numerose etnie ognuna con la sua storia e cultura. Il governo centrale nel Nord del Sudan si è sempre opposto al pluralismo politico e religioso, pertanto l’assenza di libertà e la marginalizzazione delle popolazioni sono le cause scatenanti dei conflitti che hanno gettato il paese nel caos. Ci sono state guerre nella parte orientale del paese, dove vive la tribù autoctona dei Bija; nel meridione, dove a farne le spese sono state le popolazioni africane e cristiane; nel Darfur, dove vivono sia africani che arabi, entrambi di fede musulmana.

Qual è la situazione in Darfur?

Siamo davanti a una delle peggiori crisi umanitarie di questo secolo, e a soffrire sono sia la popolazione africana che la popolazione araba. La regione è stata marginalizzata dal governo centrale che vuole mantenere il controllo senza rispondere alle sue richieste di autonomia e togliendo le risorse alla popolazione. Dall’altro lato, i ribelli africani del Darfur sono più preoccupati dei propri interessi politici, che della crisi nella regione.

Per quale motivo accusa anche i ribelli del Darfur?

Esistono due gruppi principali, uno è il Justice and Equality Movement (JEM) e l’altro è il Sudan Liberation Movement (SLM). La guerra in Darfur è iniziata nel 2003, quando questi movimenti hanno attaccato il governo centrale di Khartoum, proprio mentre il paese stava mettendo fine alla ventennale guerra civile con il Sud del Sudan. Il JEM è guidato da Khalil Ibrahim, leader della tribù Zaghawa, il cui territorio si estende fino al Ciad. Khalil, prima di diventare un ribelle, era un membro del regime sudanese e un fedele dell’islamista Hassan Turabi, la mente del colpo di Stato del 1989 che ha visto la salita la potere dell’attuale presidente Omar Bashir. Khalil, pertanto, era stato nominato ministro nel Sud del Sudan, dove portò avanti ogni genere di massacri contro la popolazione. Quando Turabi abbandonò Bashir, Khalil decise di lasciare il governo, ma voleva conservare una posizione di rilievo. Tornato in Darfur divenne il capo del JEM. In una intervista rilasciata ad Asharq Al Awsat qualche anno fa, Khalil affermava di volere costruire un impero islamico che includesse vari paesi della regione. E’ chiaro che il suo obiettivo principale non è preoccuparsi di difendere i diritti umani della popolazione. A spingerlo è unicamente la propria ambizione personale.

E il movimento SLM?

Il gruppo inizialmente era formato da Minni Minawi, membro della tribù Zaghawa, e da Abdulhawid Mohammed Nur, membro della tribù Fur, dal quale prende nome il Darfur ("Terra dei Fur"). Nel 2006 i due leader si separano. Minawi accetta di firmare un accordo di pace con il governo, e diventa il consigliere del presidente Bashir, nonostate le responsabilitá di quest’ultimo negli eccidi che hanno sconvolto la regione. Nur, invece, decide di non firmare il trattato ma di andare a vivere comodamente a Parigi, mentre il suo popolo viene massacrato dal governo centrale, che finanzia di Janjaweed, i feroci miliziani arabi del Darfur.

Il segretario di stato americano Hillary Clinton ha dichiarato che sul Darfur dovrebbe essere imposta una no-fly zone. Susan Rice, la nuova ambasciatrice degli Usa alle Nazioni Unite, ha parlato di un intervento diretto in Sudan. Che ne pensa?

Il Sudan è un paese complesso, e spesso l’Occidente parla di Darfur senza nemmeno sapere dove sia o che cosa stia accadendo. Il Darfur è un’area grande quanto la Francia. Com’è possibile dichiarare una regione così vasta una “no-fly zone”? Un’azione militare diretta, poi, porterebbe l’esercito statunitense in una situazione difficile, lasciando Washington isolata dal punto di vista internazionale. Nel 2011 ci sarà un referendum per la autodeterminazione nel Sud del Sudan, in base agli accordi internazionali firmati nel 2005 con il governo di Khartoum (Comphensive Peace Agreement, CPA). Pertanto il Sud del Sudan, che poteva essere l’alleato degli Stati Uniti, diventerà probabilmente indipendente e i suoi leader non hanno intenzione di essere coinvolti in una lotta per il Darfur. Molti miliziani che hanno compiuto massacri nel Sud del paese erano anche africani del Darfur. Il problema del Darfur è in ogni caso il governo centrale di Khartoum. E’ necessario cambiare regime. Nel 2009 ci saranno le elezioni come indicato dal CPA. La comunità internazionale devo impegnarsi per assicurare che questa tornata elettorale abbia effettivamente luogo. Il procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale, Luis Ocampo, ha richiesto un mandato di arresto internazionale per il presidente Bashir. Purtroppo quest’ultimo userà il mandato come pretesto per rinviare il voto.

C’è una soluzione per il Darfur?

L’unica è l’autodeterminazione. Alcuni intellettuali sudanesi sostengono che nel Paese dovrebbe essere applicato il federalismo. Personalmente ritengo che la pace potrà esserci soltanto quando alla popolazione africana del Darfur sarà riconosciuta l’indipendenza. Solo in questo modo metteremo un freno alla ferocia del governo di Khartoum.