Il day after siciliano è già nazionale

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Il day after siciliano è già nazionale

15 Maggio 2007

E adesso salvate il soldato Leoluca da se stesso. Qualcuno gli spieghi che non ha perso le elezioni per ventiquattromila voti su sessanta milioni di abitanti, ma ha caracollato sotto il peso di trentamila consensi di distacco in una città che di elettori ne conta meno di seicentomila. Qualche anima pia gli ricordi che il teorema del sospetto come anticamera della verità ha fatto una brutta fine, e che a furia di spargere veleni su presunti brogli e campagne intimidatorie in stile Spectre finirà soltanto col rendere ridicola e un po’ patetica una sconfitta netta e inequivocabile, ma che paragonata al 23% ottenuto cinque anni fa a Palermo dal candidato del centrosinistra gli avrebbe comunque assicurato l’onore delle armi.

Voleva attendere i risultati definitivi, Leoluca Orlando Cascio. Ma non ce l’ha fatta, e in pieno scrutinio ha convocato telecamere e taccuini per denunciare “fatti di enorme gravità”, con tanto di telefonata al ministro Amato e richiesta di annullamento del voto. Nella sua coalizione non ha trovato sponda, il centrodestra festante l’ha seppellito con una risata. Su tutti Gianfranco Miccichè: “Se Orlando vuole rivotare, rivotiamo. Ma la prossima volta che dice?”. Niente da fare. L’ex sindaco insiste, Massimo D’Alema lo gela sibilando: “Non so che fine faranno alcune sue osservazioni su come si sono svolte le elezioni…”. La questione appare definitivamente chiusa quando il Tg1, fedele interprete dell’ortodossia ulivista, nell’edizione di mezza sera, e nonostante l’annuncio del conduttore, in ben due servizi sulle amministrative siciliane non dedica neanche una parola all’accorata denuncia dell’ex condottiero della primavera di Palermo.

Il boccone per l’Unione è amaro: oltre otto punti di distacco a Palermo, più di quaranta a Trapani, una maggioranza schiacciante in provincia di Ragusa, un ballottaggio da super-favoriti anche ad Agrigento. Romano Prodi prova a liquidare la debacle come l’esito di un “test locale”, in linea con la strategia della sinistra che nelle scorse settimane, fiutando il pericolo, aveva provato a disinnescare la bomba svuotando di significati questa tornata amministrativa, di pari passo con la crescente politicizzazione che Silvio Berlusconi è andato imprimendo alla campagna elettorale. Una strategia vincente, che dopo le prime proiezioni ha consentito al leader di Forza Italia, cui il sindaco Diego Cammarata ha voluto dedicare la vittoria, di lanciare l’affondo leggendo il voto siciliano come “un messaggio di intimazione per la fine del governo Prodi”.

A gongolare, però, non è soltanto il centrodestra, che ora spera in un “contagio” nel resto d’Italia dove alle urne si andrà il 27 e il 28 maggio. Il capitombolo elettorale ha fornito ai partiti della sinistra radicale un assist nel duro braccio di ferro sulle pensioni. Ecco dunque che lungi dal ridimensionare la portata del voto, il capogruppo rifondatore a Montecitorio, Gennaro Migliore, ha puntato dritto al bersaglio: “E’ Padoa-Schioppa il problema, lui non rappresenta il governo quando dice certe cose. Le sue parole hanno pesato sulla sconfitta del centrosinistra”. Stessi toni da Manuela Palermi, presidente dei senatori Pdci: “Sono fuori dalla grazia di Dio le esternazioni di Padoa-Schioppa sulle pensioni a pochi giorni dal voto in Sicilia. Non le avrei condivise neanche dopo il voto, però…”.

Il day after del tornado siciliano si giocherà ora su due diversi tavoli. Uno esterno, come carta da spendere per il centrodestra nelle consultazioni che fra due settimane porteranno alle urne altri dieci milioni di elettori. E uno interno alle rispettive coalizioni. L’Unione dovrà fare i conti con le sue crescenti difficoltà, e con un’ala radicale che sembra avere tutta l’intenzione di sfruttare a suo favore la disfatta. La Cdl, invece, dovrà imparare la lezione di un territorio in cui la squadra è particolarmente unita, e prepararsi agli scatti d’orgoglio dell’Udc, che potrebbe cercare di leggere la sua affermazione in Sicilia come l’effetto della sua strategia (nazionale, non siciliana) di “differenziazione”, invece di interpretarla per quel che è: effetto Totò Cuffaro. Ma questa è un’altra storia.