Il Def dimostra quanto l’Italia sia incapace di fare riforme liberali
20 Aprile 2012
Il nuovo Documento di Economia e Finanza (DEF), approvato nella giornata di mercoledì dal Consiglio dei Ministri, non contiene buone notizie per l’economia italiana e certifica in maniera inequivocabile gli effetti drammatici che la crisi dei debiti sovrani ha provocato sui nostri conti pubblici.
Il pareggio di bilancio, in termini strutturali, stando a quanto si legge, dovrebbe essere assicurato a partire dal 2013. Tuttavia, il Fondo Monetario Internazionale ha già fatto sapere che, secondo le sue stime, questa previsione è troppo ottimistica, date le attuali condizioni macroeconomiche, caratterizzate da bassa crescita e elevata spesa per interessi sul debito.
Per quanto riguarda la crescita, la situazione peggiora, in quanto il tasso di crescita del Pil è stato rivisto al ribasso, per la terza volta consecutiva (era già avvenuto nella Nota d’aggiornamento al DEF 2011 e nella Relazione al Parlamento dello scorso dicembre). Nel 2012, la crescita in termini reali è stata prevista a -1,2%, per poi registrare un miglioramento a partire dal 2013 (+0,5%). Negativi i valori su tutte le componenti del Pil, a partire dai consumi (-1,7%), dalla spesa della pubblica amministrazione (-0,8%) e dagli investimenti (-3,5%). Il tasso di disoccupazione è previsto in aumento al 9,3%, contro l’8,4% del 2011. Preoccupa anche la revisione al rialzo della stima sul rapporto debito/Pil (123,4%) in aumento rispetto al 2011 (119,4%). Proprio quest’ultimo dato, certamente influenzato dalla cattiva performance del denominatore, fa riflettere sull’inconcludenza delle politiche di risanamento poste in essere negli ultimi due decenni, tutte incentrate sul lato della domanda. Se l’introduzione del Patto di Stabilità europeo aveva, tra gli altri obiettivi, quello di far convergere il rapporto debito/Pil verso il valore soglia del 60% possiamo tranquillamente affermare che, dopo anni di manovre draconiane lacrime e sangue, l’obiettivo è stato completamente fallito.
Sconcertante è anche vedere l’inesattezza delle previsioni, non tanto per l’assoluta incapacità di avvicinarsi ai valori effettivi (gli errori di previsione arrivano, in alcuni casi, alla tripla cifra percentuale), ma per il sistematico ottimismo mostrato nel prevedere gli andamenti delle principali variabili macroeconomiche. Da questo punto di vista, si spera che il fiscal council, di prossima istituzione, possa portare un maggior rigore e una maggiore attendibilità delle cifre.
La seconda componente che riflette la drammaticità dello stato dei conti è quella in conto interessi sul debito, in continuo aumento, tanto che nel 2015 potrebbe sfondare la fatidica cifra di 100 miliardi di euro, contribuendo in maniera decisiva al peggioramento dei saldi di bilancio e, di conseguenza, al mancato conseguimento dell’obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio. A questo riguardo, la variabile risente dell’elevato rendimento richiesto dai mercati finanziari per l’acquisto dei titoli di stato italiani, dal momento che gli spread sembrano aver trovato il loro equilibrio nella soglia di oscillazione compresa tra i 300 e i 400 basis points, un valore che nemmeno nei peggiori incubi Monti si sognava di dover affrontare. I mercati stanno punendo amaramente la mancanza di polso mostrata dal governo nei confronti delle parti sociali, relativamente alla riforma del lavoro e delle liberalizzazioni. Hanno mandato un segnale molto preciso: se quelle riforme non verranno fatte, potete tranquillamente scordarvi per lungo tempo una discesa dei rendimenti, che verranno tutti messi nel conto degli interessi.
In questo scenario drammatico è bene comprendere come l’ipotesi di una ristrutturazione del debito italiano, già paventata dai mercati, non sia affatto da escludere, né per l’Italia, né per la Spagna. Non c’è, ad oggi, un solo indicatore economico che possa far pensare che la situazione possa cambiare nel breve periodo. Peggio, nel caso il nuovo trattato fiscale (fiscal compact) dovesse entrare in vigore, l’Italia dovrebbe assoggettarsi ad un nuovo piano di austerità dei conti, che potrebbe far peggiorare ulteriormente la situazione produttiva e competitiva. In un Europa dove esiste uno stato, la Germania, che detta le sue leggi fiscali, forte della sua strapotenza economica, l’incapacità di effettuare le giuste riforme in senso liberale esacerba al massimo le debolezze strutturali dell’economia italiana. O si fanno le riforme o si muore, per parafrasare un celebre adagio. Decisamente, la situazione non è affatto buona e il tempo rimasto a Monti per fare quello che deve è davvero poco.