Il Delta del Niger ribolle con l’avvicinarsi del processo alla Shell
08 Aprile 2009
L’ambasciata americana ha lanciato l’allarme: i ribelli del Delta del Niger potrebbero attaccare le missioni diplomatiche statunitensi a Lagos, la capitale del più grande Paese produttore di petrolio dell’Africa. La Nigeria non è mai stata colpita da deflagranti attacchi terroristici ma vive un’endemica guerriglia sul Delta del fiume Niger, una regione ampia 70.000 chilometri quadrati con 40 gruppi etnici e milioni di abitanti. Una guerriglia d’impronta anti-imperialista e criminale, ostile alla presenza delle grandi multinazionali petrolifere occidentali nell’area.
Il 3 aprile il Financial Times ha pubblicato la notizia che il colosso Royal Dutch Shell rischia di finire in tribunale per le presunte complicità nella esecuzione di Ken Saro-Wiwa, lo scrittore e attivista nigeriano impiccato nel 1995 dal governo del suo Paese. Secondo gli avvocati dell’accusa, la multinazionale avrebbe appoggiato indirettamente quella che è stata definita una “campagna di terrore” realizzata dalle forze di sicurezza nigeriane nelle terre degli Ogoni e culminata con la morte di Saro-Wiwa. Quest’ultimo aveva dato voce alle rivendicazioni del popolo Ogoni e alla gente del Delta del Niger sempre più ostile alla politica condotta delle multinazionali petrolifere. Dopo aver organizzato grandi manifestazioni e acceso i riflettori dell’opinione pubblica mondiale sulla Nigeria, Saro-Wiwa viene processato e condannato a morte dal dittatore Sani Abacha.
La Shell promise una strategia più trasparente e coniò lo slogan “Profitti e principi”, per ridare lustro all’immagine della compagnia. Ma uno studio commissionato nel 2001 dall’Economist indicava che degli 81 progetti lanciati da Shell negli anni precedenti per migliorare le condizioni di vita della popolazione del Delta, 20 non esistevano, 36 avevano avuto solo un successo parziale e altri 25 erano in fase di allestimento. .
Da allora la lotta nonviolenta di Saro-Wiwa è degenerata in una guerriglia criminale che buca gli oleodotti e succhia le briciole della ricchezza petrolifera, che poi tanto briciole non sono visto che fruttano circa 1,5 miliardi di dollari all’anno. L’oro nero viene contrabbandato in cambio di armi e denaro che i boss usano per corrompere gli uffici pubblici locali e controllare spezzoni del territorio. I boss sono quelli del MEND (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger), dediti alla lotta armata, ai rapimenti e ai sequestri di personale delle compagnie occidentali, fino ai raid armati contro gli impianti petroliferi con l’obiettivo di prendere il controllo del traffico del greggio nigeriano. “Lasciate le nostre terre o morirete – si legge in un messaggio di posta elettronica inviato a una multinazionale tre anni fa – il nostro scopo è distruggere totalmente la capacità del governo nigeriano di esportare petrolio”.
Secondo l’Economist, il MEND sarebbe una sorta di "organizzazione-ombrello" per una serie di gruppi armati che vengono pagati per lanciare attacchi contro gli impianti delle multinazionali. Non è chiaro però da dove arrivino i fondi per finanziare la guerriglia, se dalle corporation del traffico d’armi o da misteriosi “agenti” che condividano “la causa” dei guerriglieri, per ideale o per interesse.
L’anno scorso le azioni del MEND contro le pipelines della Shell hanno provocato una caduta del 10 per cento della produzione di greggio nigeriano. Il governo cerca di trattare con la guerriglia e qualche giorno fa ha offerto l’amnistia in cambio del disarmo. Ma le sigle più estremiste hanno risposto picche: il MEND è disposto a trattare solo in vista di un accordo di pace più generale e sotto la supervisione e la mediazione della comunità internazionale.
Il governo nigeriano negli ultimi anni ha adottato una politica apparentemente più dinamica. Ha creato il Ministero per il Delta del Niger che dovrà occuparsi dello sviluppo della regione prospettando delle soluzioni di lungo-termine. Si è anche imbarcato in un ambizioso piano miliardario per reinvestire gli utili della bilancia petrolifera in biocarburanti ed etanolo, un’operazione che almeno nelle intenzioni sarebbe in grado di creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Ma tutto questo conterà poco finché i benefici derivati dal petrolio resteranno nelle mani dell’1 per cento della popolazione. La politica condotta dalla Shell e dalla Chevron – girare milioni di dollari provenienti dai profitti della vendita del greggio nelle mani dei governanti di turno – ha fatto sì che la classe politica nigeriana si sia completamente sganciata dalle richieste del Paese, disinteressandosi dei servizi e della qualità della vita della popolazione.
“Un fenomeno – scrive Ariel Cohen in una ricerca per la Heritage Foundation – comune ad altri stati petroliferi, dove i leader politici restano sempre più isolati dall’opinione pubblica” e finiscono per perdere il consenso popolare. Secondo un ufficiale impegnato nelle indagini contro la corruzione in Nigeria, circa 380 miliardi di dollari sono stati rubati o sprecati dal Tesoro nigeriano in un periodo compreso tra il 1960 e il 1990.
Più di due milioni di barili al giorno vengono pompati in Nigeria con un profitto di decine di milioni di dollari spartiti dalle grandi compagnie occidentali e dal governo nigeriano. Il processo alla Shell per il caso di Saro-Wiwa è previsto per la fine di Maggio. Si terrà a New York. Sarà un test per capire se è possibile citare in giudizio le grandi compagnie petrolifere per le loro politiche nel continente africano ma non risolverà il problema dello sviluppo economico e politico dell’Africa.
Il governo americano potrebbe fare maggiori pressioni sui vertici delle grandi compagnie petrolifere perché adottino strategie democratiche quando operano fuori dal territorio americano o da quello dei Paesi occidentali. Dalla Nigeria infatti arriva buona parte delle importazioni petrolifere Usa e il Paese africano ricopre un interesse strategico per la potenza americana. Entro il 2010, il governo nigeriano promette di incrementare la produzione e la ricerca di nuovi giacimenti.
Ma c’è anche un’altra strada. Obama dovrebbe favorire i processi di diversificazione dell’industria petrolifera messi in atto dal governo nigeriano e iniziati sotto l’amministrazione Bush. L’Africa è una enorme fonte potenziale di etanolo che può aiutare gli Usa a ridurre il loro consumo di gas almeno del 20 per cento entro il 2017. La Nigeria offre le condizioni climatiche ideali per la produzione di etanolo. Espandere l’industria dei bio-carburanti significherebbe migliorare le condizioni di vita della popolazione.“Il Paese africano – secondo la Heritage – potrebbe diventare un modello di successo della diversificazione di una economia petrolifera”. Ma prima bisogna convincere la Shell, il governo nigeriano e i miliziani del MEND che questa è la strada giusta da seguire.