Il dibattito sul Covid/2 – Se vaccina e riapre presto SuperMario avrà vinto

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Il dibattito sul Covid/2 – Se vaccina e riapre presto SuperMario avrà vinto

05 Marzo 2021

Fra il bianco, il nero e le diverse sfumature di grigio, le prime mosse del governo Draghi hanno suscitato un acceso dibattito. Anche dentro la redazione dell’Occidentale, che ha deciso di mettere a confronto le diverse opinioni.

Cominciamo col dirci una prima verità: i due mesi che ancora ci attendono, più che alle cinquanta sfumature di arancione di cui alle nuove vecchie regole anti-Covid, lasciano presagire il colore dell’escremento. E scusate il francesismo. L’8 marzo, per dirla con Checco Zalone, ricorrerà il primo anniversario di “quel giorno buio tetro che il presidente disse almeno un metro…”, e il risultato è che il metro è diventato un metro e mezzo, il conto delle ondate è stato soppiantato da quello delle varianti, l’economia è stremata da dodici mesi di restrizioni e dopo essere stati chiusi nella scorsa primavera per riaprire a Pasqua, essere stati chiusi a Pasqua per riaprire in estate, essere stati un po’ aperti l’estate per sentirci poi dare degli untori, essere stati chiusi in autunno in punizione per riaprire a Natale, essere stati chiusi a Natale per riaprire subito dopo… insomma, eccoci qui chiusi in Quaresima, chiusi a Pasqua e chi vivrà vedrà. Fino al prossimo Dpcm. Due mesi di ulteriore sofferenza, mettiamoci l’anima in pace.

Ce n’è abbastanza per dire che con il cambio della guardia a Palazzo Chigi non è cambiato nulla e che allora tanto valeva tenersi Giuseppi? No. E’ cambiato qualcosa di importante e di sostanziale. Sono cambiati alcuni nomi, ne parleremo poco più giù. Ed è cambiato, soprattutto, che dopo un anno di restrizioni inoperose l’esecutivo sembra avere tutta l’intenzione di impiegare questo tempo per mettere in campo una operazione poderosa che in caso di successo potrebbe lasciar intravedere davvero l’uscita dal tunnel. E scusate se è poco.

Su questo giornale non si è fatto mistero della delusione seguita alla designazione di ministri e sottosegretari: certo, meglio del Conte bis (e francamente ci voleva poco), ma nessun “dream team” e soprattutto troppa continuità. Il premier aveva dato l’iniziale impressione di aver blindato con propri uomini di fiducia le caselle collegate alla riscrittura del Recovery Plan senza metter mano alla prima linea di gestione della pandemia. Con ciò sottovalutando – così era parso – che il buon uso dei 209 miliardi europei è certamente una faccenda di rilievo, ma in assenza di un piano di riapertura all’appuntamento col Recovery si rischia di arrivarci con un Paese già saltato a gambe per aria (e non per diletto).

Poi è arrivato il triplete: la nomina di Fabrizio Curcio a capo della Protezione Civile, la designazione del capo della Polizia uscente Franco Gabrielli come autorità per la sicurezza, il siluramento di Domenico Arcuri per far posto al generale Figliuolo, descritto in ogni dove come una specie di mammasantissima della logistica. E, a far da sfondo, lo svuotamento silenzioso di alcuni dei ministeri più esposti, spogliati di deleghe molto rilevanti trasferite in capo agli uomini di cui sopra. Insomma, un governo nel governo, una riscrittura radicale della catena di comando, un poderoso ritorno in campo dello Stato. Obbiettivo: vaccini, tanti maledetti e subito. “Whatever it takes”.

Eccolo, il tanto atteso bazooka di Mario Draghi. Che certo non basta a rendere le ulteriori restrizioni indolori e tantomeno piacevoli, ma dà l’idea che questo tempo di sacrificio venga impiegato per raggiungere l’agognata immunità di gregge e avvicinare la riapertura del Paese, piuttosto che giocare con le primule e pavoneggiarsi in diretta Facebook.

Sarebbe bene che tutto questo Draghi lo spiegasse al Paese, senza lasciare che a evincerlo sia l’attività ermeneutica degli addetti ai lavori mentre al grosso della popolazione arriva il solo messaggio che per ora si dovrà restare chiusi in casa come prima e più di prima? Certo, prima o poi il premier dovrà evitare che la sovraesposizione del suo predecessore si tramuti nell’eccesso opposto, ma il tema appare francamente secondario. Se arriveranno i fatti, saranno ancor più graditi in assenza di un’eccessiva fanfara preventiva.

Altro e più rilevante interrogativo: si può dare per scontato che la scommessa riuscirà? Purtroppo no, e sarà bene giudicare dai fatti. Ma l’idea che per la prima volta da un anno a questa parte le nuove settimane di dure restrizioni saranno impiegate per provare a uscire dall’incubo, e non solo per ripetere che andrà tutto bene e annunciare fantomatiche potenze di fuoco, è già un bel passo avanti. Se poi nel frattempo le misure contenitive fossero adottate con un surplus di buon senso, ad esempio attribuendo le classi di rischio su base provinciale o comunale e non più su base regionale, sarebbe ancora meglio.

Infine, una questione molto dibattuta: la scuola. Diamo per scontato tutto il male possibile della didattica a distanza, sia per i ragazzi – in termini tanto di apprendimento quanto di socialità – sia per le loro famiglie (soprattutto nel caso dei bambini più piccoli che non possono stare da soli). Ma prendiamo atto anche della stretta correlazione tra curve di contagio (soprattutto da quando hanno preso a circolare le varianti) e frequenza in classe. Con un Paese economicamente stremato, davvero possiamo permettere che intere categorie vengano messe in ginocchio mentre la scuola in presenza vanifica i loro sacrifici e allontana temporalmente una prospettiva di ripresa? Possibile che non ci rendiamo conto che se non si arriva alla riapertura del Paese fra un po’ il “problema” della scuola sarà risolto alla radice dal fatto che lo Stato, senza il gettito fiscale delle attività chiuse, non avrà più soldi per pagare gli stipendi degli insegnanti, oltre che dei medici e degli infermieri?

La faccenda messa così è un po’ brutale. Ma il fatto che si continui a sentir parlare di attività “non necessarie”, come se il problema fosse la rinuncia a un caffè al bar e non l’attività lavorativa del barista, dà l’idea che forse la gravità della situazione socio-economica non è ancora percepita nella sua reale dimensione. E allora mettiamo tutto sul piatto della bilancia, ma percorriamo quest’ultimo miglio sapendo che in caso di fallimento non ci sarà più benzina, né economica né morale, per poterne affrontare un altro.