Il dirigismo di Prodi colpisce al cuore la strategia di Montezemolo

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Il dirigismo di Prodi colpisce al cuore la strategia di Montezemolo

30 Aprile 2007

Tra la Confindustria  damatiana e l’ondata che portò al governo Silvio Berlusconi per la seconda volta, c’era una evidente sintonia che, fino a un certo punto, funzionò anche nella definizione dell’agenda dell’esecutivo. La cultura rivendicativa,  però, della squadra damatiana aveva radici autonome, poggiava su un rapporto con la base imprenditoriale fatto di sentimenti e obiettivi condivisi. La Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo, anche per le sue caratteristiche restaurativa, è stata invece fondata sul rapporto con il potere politico molto più che con le posizioni della base.

Il consenso, prima e dopo l’elezione, è stato costruito grazie alla presunzione di un accordo con la politica (sostanzialmente di centrosinistra) che avrebbe aperto condizioni molto migliori per l’impresa.

La forza del montezemolismo si è tutta concentrata sulla poltica: prima nel tentativo di condizionare Berlusconi attraverso la fronda centrista (e anche di un’area di An), poi nel proporre un esplicito scambio politico, grazie anche all’influenza sul e del Corriere della Sera, per cui gli imprenditori diventavano categoria privilegiata nel programma del centrosinistra e in cambio provvedevano a mobilitare quella fettina di consenso moderato (alla fine Prodi è prevalso per 25 mila voti) che dava la vittoria al centrosinistra.

Questa posizione ha dato molta visibilità mediatica a Montezemolo a lungo vezzeggiato da Piero Fassino, da un Francesco Rutelli che si considerava quasi della sua squadra. Prodi ha compiuto in campagna elettorale il capolavoro di essere  protagonista sia delle assisi confindustriali sia di quelle cigielline. Certo, un durissimo colpo alle ambizioni del presidente della Fiat, della Ferrari e della Frau, è venuto dalla rivolta della base a Vicenza. Ma nonostante questo colpo, la sua strategia dell’accordo politico come base dell’azione confindustriale è proseguita anche dopo le elezioni. Il promesso taglio del cuneo fiscale di cinque punti si è ridotto a due e mezzo da attuarsi in due anni. Ma, comunque, Montezemolo ha potuto sventolare qualcosa di fronte alla sua base.

Però, man mano che sono passati i mesi, Prodi ha spolverato una strategia dirigistico-bancocentrica assai ostile alla crescita della libertà di movimento delle imprese. E intanto quello che dove essere il terzo socio del “fare squadra” montezemoliano, Guglielmo Epifani, si è rivelato molto più vicino a Rifondazione (qualcuno comincia a dire che ne finirà leader) che a Viale Astronomia. Insomma la strategia montezemoliana di premiare l’impresa grazie a un compromesso con la sinistra è finita in un vicolo cieco.

E’ un caso che nei congressi di quest’ultima tornata, gli inni all’impresa (contro il declino prodotto dal berlusconismo) si siano dissolti? Neanche Pierluigi Bersani, al congresso Ds, in fregola di possibile leadership, si è speso troppo per l’impresa. E così nel congresso della Margherita dove sono sembrati molto più attenti alla Cisl (non va scordato tra l’altro che come oratore per il Family day, i vescovi hanno scelto proprio l’ex segretario cislino, Savino Pezzotta) che a Confindustria. Nel giornalino di Rutelli, Europa, poi, non hanno mancato addirittura di attaccare direttamente Montezemolo, sbertucciato perché sui problemi della carenza di acqua si è improvvisamente scoperto ecologista. Persino nel congresso dell’Udc alla fine c’è stata più attenzione per il concreto Raffaele Bonanni che per il creativo Montezemolo.

E’ assolutamente rilevante riflettere su questo fallimento montezemoliano perché imporrà a tutti i concorrenti alla presidenza di tenere conto della grave sconfitta strategica (e vediamo se arriverà almeno il taglio di 2,5 punti di cuneo fiscale) subita da Confindustria. In questo senso, Alberto Bombassei, appoggiato da Sergio Marchionne, sta valorizzando di giorno in giorno il suo profilo assolutamente da sindacalista d’imprese, autonomo dalla politica. Emma Marcegaglia cerca di presentarsi come vero rappresentante dei piccoli, sganciata dai partiti. Giancarlo Cerutti punta molto sulla sua immagine di uomo della parte di establishment non attirata dalal politica, la Mediobanca più maranghiana, non quella guidorossista.

Tutti i protagonisti del “faresquadrismo” montezemoliano sono stati bruciati: a partire da Andrea Pininfarina. L’unico disposta a giocarsi qualche carta è Andrea Moltrasio, perché ha assai poco da perdere. Candidature a sopresa, se ve ne saranno, saranno ancora più in rottura con la filosofia montezemoliana (centrata sul ruolo, di mediazione con la politica), di quelle già scese in campo.