Il diritto a protestare di alcuni non può limitare il diritto allo studio di tutti
10 Dicembre 2010
Lo scorso martedì, 7 dicembre, il secondo piano dell’Ateneo di Bari – che ospita la facoltà di lettere – è stato occupato: decisione, così pare, di un’assemblea convocata per esprimere una votazione sulla protesta da adottare nei confronti della riforma Gelmini.
Ogni manifestazione di dissenso, per definizione, ha per obiettivo quello di farsi sentire: creare disagi può essere un mezzo, più o meno intenzionale, per raggiungere il fine. Se questo è un dato di fatto, ciò non toglie il paradosso di certe proteste che finiscono per trasformarsi in atti masochistici.
In questo caso, per esempio, quelli che non potevano accedere alle lezioni e neppure sostenere gli esami erano proprio gli studenti. Tutti ugualmente penalizzati da una decisione dei loro "rappresentanti".
Più che una forte presa di posizione, è sembrato un atto di prepotenza di pochi soprattutto quando, alle obiezioni di chi diceva di non essere a conoscenza della strada intrapresa, veniva risposto che si trattava di una decisione presa in piena democrazia nel corso di un’assemblea. Assemblea, pare, di cui erano a conoscenza solo alcune persone, appartenenti al Colf (Collettivo di lettere e filosofia).
Quando nella giornata di mercoledì si è saputo che l’occupazione sarebbe continuata, un gruppo di una ventina di studenti ha cercato un confronto pacifico tramite facebook con gli occupanti, ricevendone per lo più insulti e nessuna apertura. La motivazione con cui si giustificava l’intransigenza era la decisione “democratica” presa in assemblea, da portare avanti a costo di penalizzare anche la parte produttiva della comunità studentesca.
D’altronde, “il fine giustifica i mezzi”, direbbe qualcuno. Ieri mattina, però, la decisione di occupare il secondo piano è stata sfiduciata. Riuniti in assemblea nel cortile dell’Ateneo i ragazzi hanno messo ai voti le varie forme di protesta, approvate o meno per alzata di mano.
I “no” nei confronti dell’occupazione sono stati schiaccianti, mentre è nato un dialogo sulle possibili altre forme di protesta. La facoltà di lettere ha così potuto riprendere regolarmente le sue attività, preservando il diritto allo studio di tutti, senza per questo togliere a nessuno quello di dissentire.
Le proteste, se sono costruttive, possono essere una possibilità di crescita per tutti. Il ricatto morale non lo è in nessun caso.