Il diritto internazionale è dalla parte dei kosovari

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Il diritto internazionale è dalla parte dei kosovari

25 Febbraio 2008

Il ministro Ferrero ha votato contro il riconoscimento
italiano del Kosovo. “Uno stato etnico”, secondo il collega Pecoraro Scanio.
“Le piccole patrie non sono il futuro dei Balcani” ha concluso il presidente
della Camera Bertinotti in un’intervista al Tg2. La sinistra arcobaleno fa
quadrato intorno alla Serbia che intanto parla di “secessione” del Kosovo e
giudica l’esecutivo di Thaci un “governo fantoccio”.

Chi si oppone alla nascita del nuovo stato balcanico si
appella sempre al diritto internazionale, eppure quella del Kosovo non è stata
una vera e propria secessione. L’indipendenza del Kosovo è solo l’ultimo
capitolo dello smembramento della ex
Federazione Jugoslava, uno stato che estinguendosi ha prodotto la creazione di
nuovi stati, nessuno dei quali conserva l’organizzazione di governo precedente.
I kosovari albanesi hanno dichiarato l’indipendenza in modo unilaterale così
come avevano fatto la Croazia, la Slovenia, la Bosnia-Erzegovina e la Macedonia.
“In fondo, dal punto di vista sostanziale, il Kosovo non apparteneva più alla
Serbia da otto anni” ha ricordato il ministro degli Esteri D’Alema nei giorni
del riconoscimento italiano.

Nel senso dello smembramento della Federazione Jugoslava si
era espressa la Commissione Badinter tra il 1991 e il 1993, emettendo una serie
di pareri non vincolanti che riguardavano anche il principio di
autodeterminazione dei popoli. A questa prassi si sono adattate la Cassazione
francese e quella italiana con le sentenze comprese tra il 1996 e il 1999. Nel
2001, a Vienna, la Repubblica Jugoslava (Serbia-Montenegro) ha firmato l’Accordo sulle questioni di successione della
ex Jugoslavia
, abbandonando la tesi della continuità e accettando quella
dello smembramento.      

Nella formazione degli stati post-jugoslavi ci sono sempre
stati due momenti strettamente legati fra loro: la definizione di una comunità e il suo radicarsi in uno Stato
inteso come organizzazione. Il Kosovo
è ancora sospeso tra comunità e governo ed è nel processo di nation-building che si gioca la sfida
dei prossimi anni, il ruolo dell’Europa, degli Stati Uniti e delle Nazioni
Unite. Tra quattro mesi inizierà la missione Eulex che prevede l’invio di duemila esperti internazionali in
Kosovo (giudici, giuristi e poliziotti), un mandato di 28 mesi e un bilancio di
circa duecento milioni di euro nei primi 16 mesi. Sarà la più grande missione
civile della storia dell’Unione Europea.

Il ‘governatore’ Pieter Feith avrà ampi poteri compreso
quello di licenziare i politici locali e abrogare le leggi che non dovessero
rispettare gli standard dell’Unione Europea. Feith ha una lunga esperienza nei
Balcani e ha dichiarato di voler operare in stretto contatto con le autorità
locali. Parla di ownership per
sostenere le istituzioni locali nel loro sforzo di creare uno stato di diritto
e una società democratica. La missione si occuperà di polizia, giustizia,
dogane, ma anche di lotta alla criminalità, investigazione finanziaria,
controllo delle frontiere e dei diritti umani.

Il governo di Pristina dovrà esercitare effettivamente il proprio potere sulla sua comunità territoriale, non
soltanto a livello centrale e di potere esecutivo ma anche nelle
amministrazioni locali, che sono una componente essenziale della organizzazione
dello Stato come soggetto di diritto internazionale. Nella provincia kosovara, fuori
dalla occidentalizzata Pristina, si decide il destino del Kosovo, l’integrazione
etnica e il rispetto dei diritti umani.

Il primo passo del Kosovo è dotarsi di una Costituzione che
ne legittimi l’indipendenza e l’effettività, un ordinamento giuridico e
legislativo che non dipenda più da quello serbo e che al tempo stesso indichi
la strada per liberarsi dalla tutela delle Nazioni Unite. Insieme a una
democrazia multietnica, la Costituzione è una delle clausole fondamentali del
Piano Ahtisaari. Il rispetto dello stato di diritto, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali, saranno i principi alla base della nuova costituzione. La
carta sarà approvata dall’Assemblea kosovara con la consulenza dell’UE, entrerà
in vigore alla fine del periodo di transizione e a quel punto dovrebbe concludersi
anche il mandato dell’UNMIK. Le autorità kosovare assumeranno i pieni poteri
legislativi ed esecutivi e a distanza di qualche mese verranno indette nuove
elezioni generali e municipali.      

Thaci ha davanti a sé un’economia fallita, un prodotto
interno lordo in discesa, più del 50% di disoccupazione. Ci sono pesanti
restrizioni imposte ai visti dei cittadini kosovari che vogliono emigrare
all’estero. La strada è tutta in salita ma il Kosovo non è uno stato fantoccio
come quelli creati dai nazisti durante la Seconda Guerra mondiale. Dipingerlo
così è un refrain della vecchia politica serba. Pristina non costituisce una
minaccia per la pace e la sicurezza delle nazioni, sembra godere del consenso
del popolo, ha già avuto elezioni libere, non sta violando i diritti umani. La
NATO non si comporta come le forze occupanti turche nella parte nord di Cipro. La
risoluzione 1244 dell’ONU garantisce una base legale per la missione UE e per
continuare a fornire aiuti al Kosovo dopo l’indipendenza.

Il problema del riconoscimento è legato alla sfera della
politica più che al diritto internazionale. Scrive Benedetto Conforti: “Il
riconoscimento è un atto meramente lecito, e meramente lecito è il non
riconoscimento: entrambi non producono conseguenze giuridiche”. L’indipendenza
kosovara non legittima direttamente le altre minoranze che si battono nel resto
del mondo perché queste sono battaglie politiche ancora in corso e non è il
riconoscimento a costituire una soggettività internazionale.

L’esperienza kosovara dimostra che i diritti dei popoli
hanno assunto una grande importanza nella evoluzione del diritto internazionale.
Oggi il principio di autodeterminazione è diventato una regola di diritto positivo
che ha acquistato un valore consuetudinario grazie alla Carta dell’ONU, alla Dichiarazione sull’indipendenza dei popoli
coloniali
del 1960 e alla Dichiarazione di Varsavia Verso una comunità delle democrazie del 2000. Chi si ostina a
interpretare l’autodeterminazione in modo negativo considera il riconoscimento
italiano del Kosovo un’ingerenza negli affari interni della Serbia. La verità è
che nei Balcani si sta completando la decolonizzazione dell’ex blocco
sovietico.