Il disastro dei disastri. Non dimentichiamoci del Pakistan

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Il disastro dei disastri. Non dimentichiamoci del Pakistan

01 Ottobre 2010

Più di venti milioni le persone direttamente colpite in 78 distretti, 1.9 milioni di case distrutte, 9.970 scuole danneggiate e inagibili. Questi i numeri di una catastrofe, quella delle alluvioni che hanno flagellato il Pakistan, definita dai vertici dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per dimensioni e numero di vittime, “come Haiti, più lo tsunami, più l’uragano Katrina insieme”. Tre immagini impresse nella nostra mente ma che a fatica riusciamo a sommare e sovrapporre. Il 15 agosto scorso il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha lanciato un appello in favore delle popolazioni colpite dal disastro naturale. “L’Onu è con voi”, ha detto, paragonando la catastrofe al terremoto di Haiti o allo tsunami del 2004. Ma l’impressione è che la tragedia pakistana, nonostante la sua enorme portata, abbia subito un declassamento sui media internazionali rispetto a quelle che l’hanno preceduta.

Le settimane passano, da quando nel Paese le piogge monsoniche hanno iniziato a seminare in modo inarrestabile morte e distruzione, ma la situazione, ad oggi, resta disperata. Mentre nella zona settentrionale il flusso di persone che tornano alle proprie abitazioni è in aumento, in alcuni distretti  – in particolare a Dadu e Jamshoro, nel Sindh – le operazioni di soccorso procedono con estrema lentezza a causa dall’allagamento di vaste zone e dell’avanzamento progressivo dell’acqua verso nuove terre.

In KPK, Punjab, Sindh e Balochistan oltre 10 milioni di persone necessitano di assistenza alimentare ma la mancanza di accesso a numerose aree, e le discriminazioni etniche e di genere, rendono difficoltosa la distribuzione dei beni di prima necessità. Intanto, focolai di malattie infettive come Dengue, Sars, epatite A e altre forme di infezioni virali stanno colpendo migliaia di persone. A fronte di uno scempio simile, il governo ha dimezzato le prospettive di crescita e ha chiesto che il prestito concesso dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel 2008 venga rinegoziato. Ci vorranno anni per ricostruire il Paese – il premier pakistano Gilani ha dichiarato che i danni ammontano a più di 40 miliardi di dollari –, soprattutto in quelle zone in cui il terreno rimarrà per mesi impregnato d’acqua. Contemporaneamente, l’avvicinarsi della stagione invernale rende più urgente garantire alla popolazione ripari, coperte e vestiti caldi.

Nella cornice di un’emergenza umanitaria che ha spazzato via 60 anni di sviluppo del Paese, hanno trovato posto una valanga di polemiche sulla quantità e la qualità degli aiuti internazionali, ritenuti insufficienti rispetto alle effettive necessità. Le continue notizie di casi di corruzione, false ONG e discriminazioni nella distribuzione di aiuti umanitari hanno scoraggiato le campagne di raccolta fondi nei Paesi occidentali. Allo stato attuale, gli Stati Uniti – che avevano in precedenza versato 500 milioni di dollari – hanno mandato un supplemento di aiuti al Pakistan sotto forma di potabilizzatori che si aggiungono alle squadre di medici e alle strutture di emergenza per ospitare gli sfollati. Anche la Francia ha deciso di recente di aumentare i suoi sforzi umanitari per sostenere la ricostruzione nel Paese asiatico. L’Italia, da parte sua, ha inviato 80 milioni di aiuti e il ministro DEGLI Esteri, Franco Frattini, si recherà in ottobre ad Islamabad.

I Talebani, dal canto loro, hanno colto l’occasione per cavalcare l’onda delle alluvioni facendo credere alla popolazione di essere gli unici in grado di assicurare gli aiuti necessari, sfruttandone rabbia e disperazione. Lo hanno fatto spacciando l’inondazione per “una punizione divina” dovuta al fatto che il Paese ha accettato un leader distante dagli insegnamenti religiosi e sollecitando le persone a non accettare aiuti stranieri. Quindi hanno dato inizio alla gara d’invio degli aiuti nelle zone maggiormente disastrate.

Il governo pakistano non è riuscito a sottrarsi alle critiche, per quanto abbia cercato di reagire al meglio per far fronte all’emergenza che ha investito il Paese, cercando soprattutto di facilitare l’ingresso dei soccorsi internazionali. Ad esempio, se di norma per avere un visto occorrono tre settimane, in questa circostanza è stato possibile agli operatori umanitari partire e ottenerlo direttamente una volta atterrati in aeroporto. Lo stesso Shahhbaz Sharif, primo ministro della provincia del Punjab, ha recentemente elencato i vari sforzi compiuti in questi mesi da governo ed esercito e ha affermato che le autorità locali e nazionali hanno elargito, per la ricostruzione, circa 200 dollari per ciascuna famiglia alluvionata. Denaro che però non potrà mai bastare al sostentamento delle decine di migliaia di famiglie ridotte alla mera sussistenza.

Si tratta però di una situazione difficilmente fronteggiabile per un paese economicamente in crisi, con mezzi limitati e altamente instabile dal punto di vista politico e della sicurezza. Va inoltre ricordato che l’area oggi interessata è enormemente più vasta di quella colpita dal terremoto del 2005 che colpì la zona settentrionale, ed è oltretutto composta da territori separati tra loro e mal collegati. Lo stesso sistema di strade è stato sostanzialmente compromesso da alluvioni e frane. Pratiche di disboscamento selvaggio praticate per decenni, unite allo sfruttamento di qualsiasi striscia di terreno coltivabile, anche a ridosso di argini e in altre aree marginali ed instabili, hanno poi contribuito a rendere potenzialmente disastrosa una qualsiasi variazione del regime pluviale. Da considerare è anche il fatto che le regioni messe in ginocchio dalle inondazioni sono quelle immediatamente adiacenti alle zone in cui l’esercito pakistano combatte contro i Talebani ed altre formazioni islamiste, e nelle quali, specialmente nell’ultimo anno e mezzo, si sono susseguiti feroci attentati di matrice fondamentalista, con molte centinaia di vittime tra la popolazione civile.

Risollevare il Pakistan dal baratro richiederà dunque molto tempo e fino a quel momento sarà difficile scacciare via dai nostri occhi l’immagine – resa famosa dallo scatto di Mohammad Sajjad, fotoreporter dell’Associated Press – di quei quattro bambini stesi su una coperta sudicia, tormentati dalle mosche e incolpevoli di un disastro che peserà per sempre sulla loro esistenza.