Il Discorso pronunciato nel 2005 da Marcello Pera all’Onu per la liberazione di Auschwitz

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Il Discorso pronunciato nel 2005 da Marcello Pera all’Onu per la liberazione di Auschwitz

27 Gennaio 2011

Pubblichiamo il discorso pronunciato all’Onu, nella sede di New York, il 24 Gennaio 2005 dall’allora presidente del Senato, Marcello Pera, in occasione della sessione speciale per il 60° anniversario della liberazione di Auschwitz.

Abbiamo un dovere…

Questa sessione speciale dell’Assemblea Generale ci mette di fronte a una serie di doveri. La lista è lunga e il peso che ci impone è notevole.

Abbiamo il dovere di dire la verità. L’Olocausto non è stato un prodotto dell’immaginazione, della propaganda, della retorica. E’ stato un tragico, e unico, fatto storico. Coloro che lo negano, o lo sottovalutano, o tentano di rivederne gli effetti, stanno semplicemente commettendo un altro delitto.

Abbiamo il dovere di commemorare e di rispettare la memoria di quei milioni di esseri umani che furono gasati, torturati, affamati, costretti a morire nei modi più umilianti.

Abbiamo il dovere di capire. Com’è possibile che l’Europa, al culmine della sua civiltà, abbia commesso un simile atto di sterminio? Come si spiega che la Germania nazista, l’Italia fascista, la Francia collaborazionista, e molte altre nazioni, si resero responsabili – in modi e gradi diversi, ma pur sempre responsabili – di un massacro cosí immenso? Non possiamo semplicemente scaricare queste responsabilità su un’improvvisa follia collettiva. Quando nazioni intere impazziscono, vuol dire che i loro popoli sono inculcati o dominati da ideologie violente, falsi miti e concezioni illiberali. L’Olocausto non nacque dal nulla. La cultura ne preparò il terreno con idee perverse come "volontà di potenza", "Superuomo", "cospirazione", "superiorità razziale". La politica provvide alla loro legittimazione. Il regime nazista fece il resto: un piano meticolosamente predisposto per privare un popolo intero della sua stessa identità e esistenza.

Abbiamo il dovere di impegnarci a quel valore fondamentale che è la dignità della persona – di ogni persona – che l’Europa aveva appreso dalle sue radici giudaico-cristiane, conquistato con le guerre di religione, e perso quando rimase vittima dell’idea che gli individui non contano nulla e che la loro autonomia deve essere soggetta al "destino" delle masse o degli Stati, considerati soggetti morali a sè stanti.

Abbiamo il dovere di insegnare, diffondere, difendere, promuovere i princípi di libertà, tolleranza, rispetto, solidarietà, che sono il miglior antidoto contro ogni sorta di discriminazione fra i diritti delle persone e delle genti.

Abbiamo il dovere di combattere per e contro. Per quelle regole e ideali di libertà e di democrazia sui quali si poggiano l’Assemblea e la Carta delle Nazioni Unite. E contro coloro che vi si oppongono.

Infine, abbiamo il dovere di ammettere che l’antisemitismo è ancora fra noi. Esso si manifesta sotto nuove forme sottili e insidiose, quali la distinzione fra Israele e lo Stato ebraico, fra Israele e i suoi governi, fra Sionismo e Semitismo. Oppure rispunta quando la lotta di Israele per la sua esistenza è considerata "terrorismo di Stato".

Tutto ciò ci porta a una domanda scomoda. L’Olocausto può presentarsi ancora? Razionalmente, dovremmo dire che no, non può. I totalitarismi europei hanno lasciato il passo alla democrazia; le nostre società e i nostri cittadini godono di livelli di libertà senza precedenti; i diritti civili sono garantiti dalle nostre Costituzioni e Convenzioni. Eppure, parlando realisticamente, dobbiamo stare in guardia contro i nuovi rischi.

Da italiano, metto l’accento sull’Europa e sull’Occidente. Se è vero che la nostra civiltà prospera in termini economici e di giustizia sociale, è anche vero che essa mostra ritardi e debolezze di fronte alle minacce costituite dalla ripresa dei conflitti religiosi e dall’offensiva del terrorismo internazionale fondato sul fanatismo e sul fondamentalismo.

L’Europa di oggi patisce una debolezza morale e soffre di una crisi d’identità. à affetta da relativismo, nichilismo, multiculturalismo, pacifismo, anti-globalismo. Non sorprende quindi se, in un recente sondaggio, il 60 percento degli interrogati ha posto Israele – insieme agli Stati Uniti – tra le Nazioni che rappresentano la minaccia maggiore alla pace mondiale. Oppure, se non siamo stati in grado di inserire un riferimento alle nostre radici giudaico-cristiane nel nostro Trattato costituzionale.

Ritengo che ciò sia deplorevole e anche rischioso. Se perdiamo la fiducia nelle nostre origini e distorciamo la nostra identità; se pensiamo che i nostri valori non siano migliori di altri; se iniziamo a credere che il costo per difenderli sia troppo alto; se cediamo al ricatto e alla paura, allora non avremo maggiori strumenti per combattere il razzismo anti-ebraico che continua ad avvelenarci di quanti ne abbiamo per contrastare quel razzismo fondamentalista e terrorista che mette a rischio la coesistenza pacifica. Al contrario, se siamo d’accordo sui diritti umani fondamentali cosí come sono affermati nelle Convenzioni mondiali; se li usiamo come uno standard che ogni cultura e ogni civiltà deve rispettare; se continuiamo a batterci per la loro affermazione; se non ci arrendiamo ai tiranni e gli rendiamo la vita difficile, allora non dovremo vivere di nuovo le atrocità passate e affrontarne di simili in futuro.

Molto è stato fatto. In Italia, abbiamo approvato leggi e mozioni in Parlamento contro l’antisemitismo, celebriamo il giorno della Shoah ogni anno nelle nostre istituzioni e scuole, abbiamo al momento la presidenza della Task Force internazionale per il ricordo dell’Olocausto. Ma dobbiamo tutti fare di più, perchè la sfida è seria e la posta in gioco è alta.

Sessant’anni fa, quando Auschwitz e gli altri campi di sterminio furono liberati, l’Europa e il mondo civilizzato scoprirono che avevano voltato le spalle all’orrore e si sentirono colpevoli per non essere stati abbastanza lungimiranti, per non aver avuto coraggio al momento giusto, per non aver agito nel modo migliore. Oggi è necessario fare esattamente il contrario. Dipende da noi: se vogliamo, possiamo.