Il dopo Mubarak è un’occasione da non perdere per l’Occidente
11 Febbraio 2011
La crisi egiziana è talmente complessa e foriera di imprevedibili conseguenze che l’unica cosa seria da fare è estendere l’analisi a non più di 24 ore per volta. Solo per questo oggi, dopo le dimissioni di Hosni Mubarak innescate dalla protesta popolare iniziata lo scorso 25 gennaio, possiamo che guardare con partecipazione e sollievo alla folla festante di piazza Tahrir.
E’ un sentimento irreprimibile a cui siamo culturalmente e oserei dire geneticamente predisposti. Una folla spontanea, non-violenta, instancabile, che ha ottenuto in 18 giorni di mobilitazione la caduta di uno dei regimi più solidi e inespugnabili del Medio Oriente e che ha posto fine al trentennale dominio di un autocrate che sperava di sopravvivere a se stesso, non può non conquistare la nostra innata simpatia.
Se l’Occidente non è capace di festeggiare, almeno per 24 ore, un fatto del genere senza farsi prendere dallo smarrimento e dalla paura, allora tutta la sua predicazione nel mondo in favore democrazia e diritti umani da domani varrà meno di niente.
Le prossime 24 ore invece serviranno a farci capire un po’ meglio cosa è successo davvero e cosa si prepara per l’Egitto, per il Medio Oriente e in definitiva per noi tutti. Nella notte tra giovedì e venerdì Mubarak era sembrato in grado di far pendere dalla sua parte l’ago dei poteri in frenetico sommovimento attorno a lui e al suo regime. Venerdì tutto è cambiato con comunicato letto dal vice presidente Omar Suleiman, in cui si diceva che Mubarak si era dimesso e aveva incaricato il Consiglio Supremo delle Forze armate di “amministrare gli affari del Paese”.
L’interpretazione più plausibile di quel comunicato è che l’esercito, sotto i controllo del ministro della difesa, Generale Tantawi, ha messo in atto un colpo di Stato e spodestato il presidente Mubarak contro la sua volontà. Quello che ora resta da capire, e non è poco, è se l’esercito sarà disposto a cedere parte del suo potere ad un governo civile, guidato eventualmente dallo stesso Suleiman e a procedere verso una strada di riforme e di libere elezioni o se l’Egitto sarà destinato a trasformarsi in una dittatura militare.
Il paradosso di questa incredibile accelerazione della storia è che a pretendere un colpo di Stato militare sia stata proprio la protesta democratica del popolo egiziano nel momento stesso in cui è insorta contro la transizione costituzionale annunciata nel messaggio televisivo di Mubarak di giovedì notte.
E’ in questo passaggio che emergono i limiti della “piazza” egiziana che fino ad ora si è orgogliosamente proclamata “senza leader”. Ora che la tendopoli di Tahrir Square verrà smantellata è giunto invece il momento per la protesta di trovare una leadership, quadri dirigenti riconosciuti, un credibile manifesto d’azione, una voce che continui a risuonare nelle orecchie di coloro che si apprestano a prendere il controllo del paese.
Ed è anche momento per l’Occidente – Europa, Stati Uniti e Israele – di non limitarsi a manifestare la propria preoccupazione per gli esiti peggiori, ancora tutti possibili, della rivoluzione egiziana, ma di trovare parole, mezzi, progetti e idee per far invece prevalere gli esiti migliori. Anche questi ancora tutti possibili.