
Il dopo-Pd è già cominciato: in Abruzzo

12 Novembre 2008
A metà strada tra i trionfi dell’Ohio e la riconferma trentina, è sulle pendici d’Abruzzo che rischia seriamente di schiantarsi la speranza dell’Obama de’ noantri di risalire la china. Non solo perché nella patria di Publio Ovidio Nasone e Gabriele D’annunzio, di Franco Marini e Costantini Carlo da Pescara, per scongiurare la sua personale Caporetto Walter Veltroni ha già dovuto tributare la resa incondizionata ad Antonio Di Pietro. Ma anche, e soprattutto, perché i fuochi della guerra-lampo che si concluderà il 30 novembre con l’apertura dei seggi elettorali mostrano ogni giorno di più quale fragile e contraddittoria compagine si sia riunita attorno all’uomo di punta dell’Idv per tentare la missione impossibile: dopo il collasso della giunta di centrosinistra, in spregio alla logica e alla cronologia conquistare l’Abruzzo nel nome del "rinnovamento"!
Osservando le prime battute di questa campagna elettorale sembrava di stare in Senato nei due anni del governo Prodi. Archiviata in zona Cesarini la trattativa tra Veltroni e Di Pietro – a favore del secondo, naturalmente -, il primo assaggio di quel che sarebbe l’Abruzzo nelle mani di Costantini e compagni lo si è avuto in occasione della presentazione delle liste. Mentre infatti il Partito dei Comunisti italiani al grido di "rinnovamento! rinnovamento!" schierava in campo l’ultranovantenne medico di Togliatti Mario Spallone, Di Pietro si precipitava all’Aquila per sciacallare sull’eccesso di zelo della Commissione elettorale della Corte d’Appello, che al PdL e al suo candidato Gianni Chiodi ha regalato un fine settimana da brivido, e all’ex pm l’ebbrezza di uno show in stile amarcord fra le mura di un Palazzo di Giustizia (l’unico luogo dove Di Pietro pare trovarsi a suo agio).
Nelle stesse ore Franco Marini, il "lupo marsicano" con ben altro senso delle istituzioni, si rallegrava per il felice esito della vicenda, nel tentativo di arginare le intemperanze degli scomodi compagni d’avventura. Tentativo vano, manco a dirlo: ancora qualche ora e Luciano D’Alfonso, sindaco di Pescara, segretario regionale del Pd nonché acerrimo nemico di Costantini, pur non essendo candidato alle regionali si presentava a una conferenza stampa del suo partito brandendo un suo "santino" elettorale: "Tanto dopo le elezioni un qualunque cittadino farà ricorso e tra un anno si torna a votare…" (da qui l’annuncio di un esposto per turbativa elettorale da parte del coordinatore del PdL abruzzese, il senatore Filippo Piccone).
Ma è sul controverso rapporto con l’amministrazione uscente, con lo scandalo della sanità e con i guai giudiziari di Ottaviano del Turco che questa sorta di Unione prodiana riveduta e (s)corretta sta dando il meglio di sé. Da una parte, infatti, sfidando il ridicolo, il Pd continua a fingere che la gestione disastrosa che ha messo in ginocchio l’Abruzzo non sia affar suo. Dall’altra, l’Italia dei Valori riserva parole di fuoco nei confronti dell’ormai ex maggioranza regionale, salvo accettare di buon grado il sostegno dei partiti che fino a poco tempo fa ne facevano parte. Di più: mentre dalle colonne del Riformista Carlo Costantini emetteva nei confronti di Del Turco una sentenza inappellabile di colpevolezza, Rutelli arringava le folle a Teramo esprimendo la sincera convinzione che l’ex governatore non potesse aver preso tangenti. "Su un punto – chiosa il "supervisor" forzista per le elezioni abruzzesi, Gaetano Quagliariello – Costantini e Rutelli sono d’accordo: in Abruzzo c’è bisogno di cambiare aria. Gianni Chiodi sarà ben lieto di accontentarli". E per farlo, aggiungiamo noi, Chiodi non avrebbe neanche bisogno di fare campagna elettorale: gli basterebbe lasciare la scena agli avversari e alle loro evidenti contraddizioni.
C’è poco da stupirsi, quindi, se in un recente sondaggio effettuato dalla Digis e diffuso da Sky il candidato del Popolo della Libertà stacca il dipietrista di ben otto punti percentuali, e addirittura nei pronostici di voto si aggiudica il 66,2%, a dimostrazione che nella vittoria di Costantini neppure i suoi elettori sarebbero disposti a scommettere. Più sorprendente, e assai significativo, è il fatto che il 69,1% degli intervistati non siano stati in grado di indicare il nome del candidato del centrosinistra, e un altro 2,8% l’abbiano sbagliato. "E’ la dimostrazione – commenta Riccardo Chiavaroli, responsabile comunicazione di Forza Italia e ‘regista’ mediatico della campagna del PdL – che demagogia e sciacallaggio non pagano. Anzi, come tutte le cattive azioni, prima o poi si ritorcono contro chi le mette in pratica…".