Il dopo-Prodi dovrà ripartire da welfare e lavoro
28 Gennaio 2008
Il primo problema che dovrà affrontare un (probabile) governo di centro destra dopo le (altrettanto probabili) elezioni sarà quello del “che fare?” della legislazione del centro sinistra in materia di welfare e lavoro, arricchendola con ulteriori proposte innovative. Su questa strada il nuovo governo troverà un vero e proprio monumento alla cui edificazione hanno concorso tutti i protagonisti del “piccolo mondo antico” della sinistra: il protocollo del 23 luglio e la legge attuativa (l. n. 247/2007), eventi che hanno fortemente caratterizzato – bon gré o mal gré – l’attività della maggioranza estinta e del blocco dei suoi alleati “sociali” (Confindustria e sindacati). Quali conferme possono esservi, quali parti di quel complesso provvedimento devono essere necessariamente modificate e quali nuove misure possono essere aggiunte? Vediamo taluni tra gli aspetti principali.
PENSIONI
1. Età pensionabile: il sistema introdotto dalla legge Damiano (gradini + quote al posto dello “scalone”) è oneroso, ma è venuto il momento di considerare chiusa la lunga fase di transizione riguardante il flagello dei trattamenti di anzianità, anche perché la nuova disciplina, seppur in modo più rallentato e graduale, percorre il medesimo tragitto della legge Maroni del 2004. E’ necessario, invece, connettere l’andata a regime del sistema, nei prossimi anni, con la prospettiva di carattere strutturale e permanente nel modello contributivo, stabilendo, a partire dal 2014, un regime di pensionamento flessibile in un range compreso tra 62 e 67 anni, a cui far corrispondere un’adeguata griglia di coefficienti di trasformazione, da rivedere ogni tre anni e chiamati a svolgere una funzione di incentivazione/disincentivazione.
2. Lavoratori atipici: per le misure previdenziali adottate a carico di questa frastagliata categoria di lavoratori, il governo Prodi dovrebbe essere “processato a Norimberga”. La legislazione vigente prevede un incremento di sei punti di aliquota contributiva nel 2007 e di altri tre (uno all’anno) nel 2008, 2009 e 2010. In sostanza, questi lavoratori, nell’arco temporale di un quadriennio (2007-2010), subiranno un maggior prelievo di ben 9 punti di aliquota contributiva che i committenti preleveranno, alla fine, dai loro modesti redditi. La nuova legge prevede altresì – sia pure in termini programmatici all’articolo 3 comma 1 lett. b) del disegno di legge – di “proporre politiche attive che possano favorire il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60%, con riferimento all’aliquota prevista per i lavoratori dipendenti”. Se si tratta di una promessa essa è palesemente insostenibile; se si tratta solamente di un proposito o di un auspicio non ha alcun senso la sua collocazione in una norma. Inoltre – fermo restando il criterio della ripartizione – nessuno è in grado, adesso, di promettere che i contribuenti di domani potranno effettivamente onorare le promesse accumulate durante la vita lavorativa dai futuri pensionati (gli atipici di adesso). Allora, proprio perché è imposto un sacrificio contributivo di notevole entità, che inciderà profondamente sui redditi di lavoratori appartenenti all’ultimo girone del mercato del lavoro ufficiale, diventa indispensabile diversificare la tutela pensionistica, accedendo ad un secondo pilastro privato a capitalizzazione. I giovani c.d. precari (iscritti in via esclusiva alla Gestione separata) non potranno mai reperire risorse sufficienti per una pensione di scorta se la previdenza pubblica continuerà a drenare ogni loro possibilità. Si tratta allora di stabilire che i tre punti di aliquota previsti per il prossimo triennio siano essere destinati a forme di previdenza complementare a capitalizzazione. Nello stesso tempo, dovrebbe essere consentito l’opting out volontario fino a quattro punti presi dall’aliquota obbligatoria e destinati alla posizione individuale di previdenza privata. I giovani atipici avrebbero così la possibilità di versare nel secondo pilastro un ammontare equipollente al trattamento di fine servizio (tfr).
3. Lavori usuranti: la materia è affidata ad una legge delega che occorre lasciar decadere, perché prevede una normativa economicamente insostenibile, sostanzialmente elusiva dell’innalzamento dell’età pensionabile. La materia deve essere riportata alla regolazione previgente (la legge n.247/2007), assolutamente congrua e così riassumibile:
– nel sistema retributivo la relativa tutela prevista (ampiamente rivisitata dalla legge n.335/1995) è applicata tanto ai dipendenti, privati e pubblici, quanto agli autonomi e consiste nell’anticipo dell’età pensionabile in ragione di un anno ogni dieci di occupazione in attività usuranti fino ad un massimo di 24 mesi;
– nel metodo contributivo il lavoratore può scegliere l’applicazione del coefficiente di trasformazione corrispondente all’età anagrafica all’atto del pensionamento, aumentato di un anno ogni sei di lavoro usurante; oppure può utilizzare tale periodo per l’anticipazione dell’età pensionabile fino al massimo di un anno rispetto al normale accesso. Nel caso di lavori particolarmente usuranti (già individuati dal dlgs n. 374/1993 nel lavoro notturno continuativo, alle linee di montaggio, con ritmi vincolati, in cave, galleria, serra, spazi ristretti, ecc.) sono ridotti fino ad un anno anche i requisiti di età anagrafica della pensione di anzianità.
4. Razionalizzazione degli enti previdenziali: accantonata l’ipotesi velleitaria del superInps, occorre tornare sulle proposte che sono state al centro del dibattito (e dell’iniziativa legislativa rimasta sulla carta) in tutti questi anni. Tre “poli”: due costituiti in pratica da Inps ed Inpdap in cui far confluire gli enti minori rispettivamente privati e pubblici; il terzo – il più innovativo – come “polo della sicurezza”, imperniato sull’Inail (in cui incorporare gli enti preposti) al quale affidare – sottraendoli al Servizio sanitario nazionale e alle ASL – anche i compiti di prevenzione e di controllo per quanto riguarda la sicurezza del lavoro.
5. Integrazione al minimo: si conferma l’istituto dell’integrazione al minimo anche nel sistema contributivo allo scopo di realizzare una più adeguata tutela solidaristica.
6. Previdenza complementare: bisogna rafforzare la mobilità e la portabilità nell’ambito delle diverse forme di previdenza privata, raccogliendo prioritariamente l’indicazione della Commissione Ue. L’Unione europea insiste per la mobilità dei lavoratori e per il loro diritto a trasferire con sè, nel nuovo posto di lavoro, i diritti di pensioni complementari maturati nelle aziende, anche quando ci si sposta in un altro paese Ue. Occorre inoltre continuare a riconoscere la corresponsione del contributo del datore anche quando il lavoratore sceglie di fuoriuscire dal fondo negoziale.
MERCATO DEL LAVORO
1. Ripristino dei rapporti di lavoro abrogati (lavoro a chiamata e somministrazione di lavoro).
2. Estensione del contratto di apprendistato ai rapporti di praticantato presso gli studi libero-professionali.
3. Attuazione delle deleghe previste dalla legge n.247/2007 in materia di armonizzatori sociali e di regolazione dei servizi e del mercato del lavoro.
4. Detassazione del salario variabile negoziato a livello decentrato.
5. A partire dal 1° gennaio 2009, i nuovi assunti a tempo indeterminato, i lavoratori autonomi ed atipici che iniziano la loro attività verseranno un’aliquota del 24% che salirà di un punto all’anno nei due anni successivi. Questa norma avrà carattere sperimentale per cinque anni allo scopo di verificarne gli effetti sull’andamento dell’occupazione e sui flussi di entrate degli enti previdenziali.
DISCIPLINA DEL RECESSO
Il problema della disciplina del licenziamento è all’ordine del giorno in tutta Europa (Libro verde della Ue sulla modernizzazione del diritto del lavoro) allo scopo di liberalizzare il più possibile il mercato del lavoro e di favorire, grazie ai minori vincoli, lo sviluppo dell’occupazione, sia pure in una logica di flexecurity. A questo proposito vanno considerati due strumenti innovativi che possono anche interagire tra di loro:
a) il contratto a tutela progressiva (lungo un percorso che nel tempo assume il periodo di prova, il risarcimento economico, la tutela reale) finalizzato all’inclusione dei nuovi occupati nel mercato del lavoro;
b) la risoluzione consensuale del rapporto quale “terza via” tra dimissioni e licenziamento, come proposto dell’accordo recente intervenuto tra il governo francese e le parti sociali.