Il dopo Putin è sempre più un mistero

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Il dopo Putin è sempre più un mistero

Il dopo Putin è sempre più un mistero

26 Settembre 2007

La decisione di Vladimir Putin di nominare alla carica di
primo ministro il pressoché sconosciuto Viktor Zubkov, al posto del
dimissionario Mikhail Fradkov, non solo ha colto di sorpresa tutti gli
osservatori, ma ha anche contraddetto le previsioni formulate dai cremlinologi.
La scelta del presidente russo è caduta sul sessantaseienne capo del servizio
di monitoraggio finanziario del Ministero delle Finanze, Rosfinmonitoring. E ciò a dispetto della presenza di due candidati
semi-ufficiali alla successione, i due vice-premier Dmitry Medvedev e Serghei
Ivanov, che peraltro hanno mantenuto il loro posto con il varo del nuovo
governo avvenuto pochi giorni fa.  

Non è un mistero che tutti scommettevano su quest’ultimo,
soprattutto dopo il recente offuscamento della figura di Medvedev. Era diffusa
la convinzione che la sua promozione al vertice del governo avrebbe costituito
il passaggio obbligato per la sua ascesa alla presidenza della Russia, secondo
un copione che aveva già visto Boris Eltsin designare Putin come suo successore
assegnandogli il medesimo incarico nel gennaio del 2000. D’altronde, Ivanov
aveva tutte le carte in regola per godere dei favori del pronostico: l’amicizia
di lunga data con Putin, una elevata popolarità in patria e, non di meno, la
gestione di situazioni politicamente rilevanti, quali la ristrutturazione
dell’industria della difesa, la conduzione delle trattative sulle difese
antimissili e l’attenzione dedicata allo sviluppo del movimento giovanile
filo-governativo Nashi.

Nella rosa dei candidati alla successione si era aggiunto
ultimamente un altro nome, quello del vice-premier Serghei Naryshkin, a cui
l’attuale inquilino del Cremlino ha affidato il controllo e la supervisione dei
rapporti economici con i Paesi membri della Comunità degli Stati Indipendenti
oltre che con l’Unione Europea e l’Estremo Oriente. Una delle ipotesi più
interessanti che erano circolate era che Naryshkin potesse formalmente
sostituire Putin nella carica di Presidente della Federazione, ma in un
contesto in cui il predecessore avrebbe mantenuto le redini del potere tramite
l’assunzione della leadership del partito di governo Russia Unita, sul quale
avrebbe potuto verosimilmente essere imperniato il nuovo assetto politico.

Questi due personaggi hanno in comune una carriera negli
apparati d’intelligence, esattamente come molti altri che sono entrati a far
parte del team che Putin è riuscito ad assemblare in questi anni, non senza
prima aver disarcionato dai posti più influenti nel governo e nelle grandi
aziende i fedelissimi di Eltsin, anche se questi favorirono la sua scalata alla
presidenza. In generale, i servizi segreti, l’esercito e il complesso
militare-industriale hanno ricevuto nuova linfa con Putin e costituiscono la
base su cui poggia il nuovo sistema autoritario. Dopo il collasso dell’impero
sovietico, d’altronde, in contrasto con quanto accadde nel caso della Stasi in
seguito al crollo della Germania orientale, il KGB, ribattezzato FSB (Servizio
Federale di Sicurezza), aveva preservato il personale, l’infrastruttura
logistica e le cospicue risorse finanziarie, ed era riuscito successivamente,
approfittando del caos che aveva contraddistinto l’epoca eltsiniana, a
rientrare in gioco.

Taluni fra coloro che provengono da questi apparati e che
occupano adesso posizioni chiave nella burocrazia presidenziale, oltre che
negli stessi servizi d’intelligence, risultano essere organici alla fazione più
potente e autorevole fra quelle che compongono il gruppo di potere raccoltosi
intorno a Putin, ossia quella dei siloviki.
Non è però il caso di Ivanov, che se ne è recentemente distanziato, né di
Naryshkin, noto per la sua “neutralità” (una qualità sempre più rara a Mosca),
ma di altri esponenti di spicco come Igor Sechin, vice-capo
dell’amministrazione presidenziale nonché chairman del gigante petrolifero
statale Rosneft, Nikolai Patrushev,
direttore dell’FSB, e Viktor Ivanov, consigliere di Putin e capo della
commissione statale per la lotta alla corruzione.

Beninteso, Sechin, Patrushev e Viktor Ivanov sono solo i core members della fazione. Con
l’appellativo siloviki – che deriva
da silovye struktury, ossia strutture
della forza – si indica infatti una realtà molto più estesa e variegata, che investe
le alte burocrazie governative così come diverse articolazioni strategiche
dell’economia russa. Basti pensare, solo per fare alcuni esempi, al Servizio
Doganale Federale o al colosso Rosoboroneksport
(che ha integrato le innumerevoli industrie operanti nel settore della
difesa, emergendo come un autentico campione nazionale), guidati
rispettivamente da Andrei Belyaninov e Serghei Chemezov, entrambi ex “colleghi”
di Putin in Germania durante gli anni Ottanta.

Ad ogni modo, le connessioni con gli ambienti dei servizi di
sicurezza non sembrano costituire una discriminante per l’appartenenza ai siloviki. A cementare il gruppo non è tanto il background culturale o
professionale di chi vi si riconosce, quanto la visione politica e gli
interessi che questo veicola e con i quali esercita una profonda influenza
sull’élite moscovita. In particolare, come sottolineano Bremmer e Charap, fra
gli obiettivi condivisi rientra il consolidamento e l’accentramento delle leve
del potere politico ed economico nell’ambito di uno Stato fortemente
centralizzato e dotato di un robusto dispositivo militare e di sicurezza; un
penetrante intervento pubblico nell’economia nazionale che poggia sull’assunto
secondo cui i settori strategici dovrebbero essere messi al riparo dagli appetiti
dei privati (e nel quale si riflette un’ostilità per la “classe” degli
oligarchi); un nazionalismo economico che attribuisce allo Stato una titolarità
pressoché esclusiva nel campo dello sfruttamento delle immense risorse naturali
(evidentemente, limitando anche il flusso di investimenti esteri); il recupero
da parte della Russia di un ruolo di primo piano sul proscenio internazionale,
sia contrastando i presunti tentativi messi in atto dagli Stati Uniti e
dall’Alleanza Atlantica di mettere a repentaglio la sua sovranità, sia dando
impulso ad un processo di reintegrazione con alcuni Stati sorti sulle ceneri
dell’Unione Sovietica; e infine, il sostegno per una presenza più attiva nella
vita pubblica della Chiesa Ortodossa, in seno alla quale le istanze
nazionaliste e xenofobe, di cui si fanno interpreti i suoi elementi più
conservatori, trovano accoglienza fra le fila dei siloviki.

La fazione è l’unica, fra quelle ammesse a gestire il potere
politico nell’era Putin, che può rivendicare una coesione sufficiente al suo
interno per far pesare le proprie scelte fra le mura del Cremlino e, attraverso
l’appoggio delle forze armate, per esercitare un certo controllo sulla
popolazione. Ciò non significa però che non vi siano state relazioni
conflittuali fra i suoi membri più eminenti, come è il caso di Viktor Ivanov e
Igor Sechin, anche se pare che sia in corso un riavvicinamento fra i due. Il
neopremier Zubkov avrebbe stretti legami soprattutto con il primo e con
Patrushev. Secondo Lauren Goodrich di Stratfor, il suo ingresso nelle stanze
dei bottoni è visto come una vittoria per il clan di Ivanov, mentre l’appoggio
che potrebbe assicurargli Sechin sarebbe di certo un valore aggiunto per il
progetto coltivato da Putin di rafforzare il governo e di far riacquisire alla
Russia lo status di grande potenza.

Non deve sorprendere la vicinanza di un outsider come Zubkov
all’inner circle dei siloviki.  Pur non vantando un passato nei servizi
segreti, egli viene da San Pietroburgo, dove ha lavorato nell’amministrazione locale
durante gli anni novanta insieme con Sechin, Viktor Ivanov, e lo stesso Putin. Dopo
essere stato chiamato a Mosca, è stato peraltro lo strumento fondamentale di
cui Putin si è servito per avviare la campagna di “liquidazione” degli
oligarchi. E’ probabile dunque che il capo del Cremlino abbia voluto evitare
scelte azzardate conferendo la guida del governo ad un uomo di sicura lealtà. E
sulla sua nomina è facile che si sia realizzata la convergenza dei siloviki i quali, facendo da tempo pressioni
sul presidente affinché accetti di restare in sella per altri quattro anni (non
è un caso che ci si riferisca ad essi come il “partito del terzo mandato”),
devono aver visto di buon occhio il fatto che Zubkov ha un’età che non gli
consente di iniziare una carriera politica, non nutre ambizioni in tal senso, e
non dispone di una propria base di potere.

Resta però da vedere se il nuovo primo ministro saprà essere
una figura di compromesso gradita anche alle altre fazioni del Cremlino, se
soddisferà solo le esigenze dei siloviki, oppure se avrà un mero ruolo
di transizione in attesa che Putin sveli l’identità di chi sarà chiamato a
succedergli. Quel che è certo è che il dopo Putin rimane avvolto nel mistero.
Il presidente russo sta dando prova di grande abilità nel mischiare le carte in
tavola senza svelare il suo gioco. Per questo dovremo aspettarci altre
sorprese.