Il doppio gioco della sinistra ruota sempre attorno alle tasse
01 Ottobre 2008
La guerra di Tremonti alla speculazione è encomiabile, ancor prima che necessaria. Nel corso della quarantottesima assemblea dell’ABI, tuttavia, sia l’ABI, sia il Governatore della Banca d’Italia Draghi, hanno stigmatizzato la Robin Tax, affermando che il relativo onere potrebbe ricadere sulle condizioni offerte ai clienti delle banche. Apriti cielo. Da sinistra si sono subito scatenati tuoni e fulmini contro una misura che pagheranno solo i poveri correntisti. Giustamente il Ministro Tremonti ha allora replicato che tante volte, in passato, ci sono stati aumenti di base imponibile o di aliquota sulle società e mai però, a memoria d’uomo, si è parlato di traslazione di imposta.
Forse però, in effetti, era il caso di parlarne. In particolare quando tale traslazione non solo c’era, ma era anche “certificata” dal centrosinistra con apposita normativa.
L’art. 15 del D.P.R. n. 601/1973 disciplina infatti un’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine (per tali intendendosi quelle la cui durata contrattuale sia superiore a diciotto mesi), in luogo dell’imposta ordinaria di registro, di bollo, ipotecaria e catastale e delle tasse sulle concessioni governative. Gli enti che effettuano tali operazioni di finanziamento sono tenuti a corrispondere un’imposta sostitutiva, con aliquota dello 0,25 per cento sull’ammontare del finanziamento erogato.
E’ facile comprendere che, visti gli importi che, su scala nazionale, sono erogati a titolo di finanziamento dagli istituti di credito, si sta parlando di un risparmio di miliardi di euro. Gli istituti di credito italiani, però, per prassi, effettuano una traslazione economica (in realtà una vera e propria rivalsa) sul mutuatario. L’onere in esame viene dunque traslato da parte dei soggetti finanziatori sui soggetti finanziati. In merito alla legittimità di tale traslazione economica, un primo tentativo di fare chiarezza fu fatto già nel 1985 quando la Cassazione ebbe modo di affermare che è vietato e nullo qualunque patto con il quale l’onere di un’imposta venga traslato, ancorché senza effetti nei confronti dell’Erario, su soggetti diversi da colui che per legge è tenuto a sopportarlo. Detta nullità sarebbe peraltro collegata ai principi generali del nostro ordinamento costituzionale, secondo cui, tranne i casi di rivalsa obbligatoria, chi è per legge obbligato a concorrere alle spese pubbliche non può trasferire su altri tale peso.
Perché dunque chi oggi paventa anche solo il rischio che le banche si liberino del “fastidio” della Robin tax scaricandola sui poveri correntisti, di tali effettive traslazioni non ne ha mai parlato e anzi le ha in qualche modo “sanate”?
La Corte di Cassazione, infatti, nel 2005, era stata molto chiara in merito, affermando che l’agevolazione fiscale, concessa dall’art. 15 del D.P.R. n. 601 del 1973 per le operazioni di finanziamento a medio e a lungo termine non era applicabile a quelle convenzioni che, pur prevedendo una durata del finanziamento non inferiore a diciotto mesi, contenessero una clausola che consente al soggetto finanziato di risolvere anticipatamente il rapporto.
In questi casi dunque il debitore di imposta (cioè la banca) decadeva dall’agevolazione e doveva versare all’Erario quanto dovuto, con recupero pertanto delle varie imposte sostituite (registro, ipotecaria, bollo ecc.). Tale impostazione era stata poi confermata anche dall’Agenzia del Territorio e dall’Avvocatura di Stato, a cui era stato richiesto un apposito parere.
Nel 2007 però, d’improvviso, tutto cambia. Contrariamente a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione e revocando una sua precedente Circolare l’Agenzia del Territorio, d’intesa con l’Agenzia delle Entrate, ha cambiato completamente linea, precisando che l’estinzione anticipata del debito relativo a finanziamenti a medio-lungo termine non preclude la possibilità di godere del regime fiscale agevolato. Le Agenzie citate del resto, nel motivare tale conclusione, si sono richiamate al decreto Bersani-bis (quello, per capirsi, in tema di estinzione anticipata dei mutui), sottolineando come l’intento del legislatore fosse quello di tutelare il contraente debole (debitore), semplificandone gli adempimenti ed eliminando gli oneri a suo carico, anche di natura fiscale.
Per questo motivo le Agenzie hanno concluso che un tale revirement era coerente con l’ottica orientata ad assicurare ampia tutela al soggetto debitore (mutuatario) “in quanto contraente "debole" potenzialmente esposto a disequilibri ed asimmetrie contrattuali” e che non erano invece legittime “soluzioni interpretative orientate ad ipotizzare conseguenze negative sul piano fiscale (in termini di perdita di benefici fiscali), correlate alla previsione espressa nel contratto della facoltà di adempimento anticipato da parte del debitore o all’esercizio in concreto di detta facoltà”. Una tale conclusione, pur condivisibile nello scopo di agevolazione (di fatto) del mutuatario inciso, non è però coerente con la specifica normativa. Infatti, l’imposta sostitutiva, come detto, non è dovuta dai soggetti mutuatari, ma dalle banche finanziatrici, le quali, solo di fatto, usano addebitare al mutuatario una somma corrispondente all’imposta dovuta.
Del resto la stessa Agenzia delle Entrate, nel 2006, con una propria Risoluzione, aveva ribadito che i soggetti passivi dell’imposta sostitutiva in esame sono esclusivamente gli Enti che erogano il finanziamento, "ai quali la norma non attribuisce alcun diritto od obbligo di rivalsa nei confronti del mutuatario”.
In realtà, quindi, nessuna conseguenza negativa, ex lege, poteva in ogni caso ricadere sui mutuatari.
Una tale revisione interpretativa (che comporta per l’Erario e quindi per tutti i cittadini una perdita di centinaia di milioni, se non miliardi, di euro) risulta dunque motivata in relazione ad un favor debitoris, che però si riferisce, a ben vedere, ad un soggetto (il cliente) che in realtà debitore non è.
Certo, come visto, di fatto, i clienti risultavano i reali soggetti di imposta e allora ben venga una loro tutela (almeno) fiscale. Ma non sarebbe stato più coerente assicurare loro una tutela civilistica e conseguentemente anche fiscale, dato che una prassi civilistica illecita non può avere conseguenze fiscali legittime? E soprattutto, anche ipotizzando che, visto il diritto dei clienti ad estinguere anticipatamente il finanziamento, non si potesse far pagare alla Banca il prezzo di una scelta (e diritto) altrui, allora perché sanare anche le violazioni relative ai periodi di imposta in cui tale diritto non era stato ancora sancito?