Il doppio golpe insaguina e getta nel caos Thailandia e Kirghizistan

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Il doppio golpe insaguina e getta nel caos Thailandia e Kirghizistan

08 Aprile 2010

Sangue e disordini in Kirghizistan e Thailandia. Le ultime 24 ore sono state caratterizzate da un dilagare di proteste antigovernative che hanno gettato nel caos e insanguinato le due regioni asiatiche.

All’indomani dei violenti scontri che hanno devastato le strade della capitale Bishkek causando, secondo i dati ufficiali, 68 vittime e oltre 520 feriti, la leader dell’opposizione kirghisa e ex ministro degli Esteri, Rosa Otunbayzeva, ha dichiarato sciolto il parlamento e ha annunciato in conferenza stampa che guiderà un governo provvisorio della durata di sei mesi. Otunbayeva – che ha reso noto che le forze anti-regime controllano quattro regioni su sette del Paese centroasiatico – ha chiarito che il nuovo governo assumerà anche la funzione legislativa, abrogando le leggi elettorali e sui partiti che avevano permesso al presidente Kurmankbek Bakiyev di assicurarsi la maggioranza in Parlamento. Inoltre, verranno avviati dei negoziati con Bakiyev, che ha lasciato la capitale Bishkek e avrebbe trovato rifugio nella regione centrale di Jalalabad.

L’opposizione ha preso il controllo della sede del governo, ieri teatro di scontri sanguinosi. Questa mattina il ministro della Difesa del governo a interim, Ismail Isakov, ha assicurato che l’esercito e le guardie di frontiera sono tutte sotto il suo controllo. "La forza militare non sarà mai più impiegata per risolvere problemi interni", ha aggiunto.  "Tutte le regioni sono sotto il nostro controllo, ma stiamo ancora lavorando su Osh e Jalalabad". Isakov ha, però, assicurato che la base militare statunitense di Manas – che ha un ruolo strategico per Washington, soprattutto per le operazioni in Afghanistan – resterà aperta. Quanto al presidente fuggitivo Bakiev, la leader dell’opposizione si è detta pronta a "negoziare le sue dimissioni" e ha sottolineato che "i suoi affari qui sono finiti". Poi un accenno alle persone morte negli scontri: "Sono vittime del suo regime".

Preoccupazione e inviti alla moderazione giungono dal Cremlino che ha lanciato un appello "per un dialogo pacifico" fra le parti in lotta nello stato indipendente dell’Asia centrale e ha sollecitato il governo ad interim kirghizo, a prendere le misure necessarie alla protezione delle rappresentanze straniere e diplomatiche dicendosi pronto a fornire tutti gli appoggi umanitari necessari. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha annunciato da Vienna l’invio in Kirghizistan di un suo inviato speciale nella persona del diplomatico slovacco Jan Kubis. Intanto Uzbekistan e Kazakhstan, tra ieri e oggi, hanno rafforzato le misure di sicurezza e ristretto il transito al confine con il Kirghizistan. Il tema della rivolta farà irruzione anche nel vertice di Praga sul disarmo nucleare, iniziato stamane, che ha come protagonisti il presidente degli Stati Uniti Obama e quello russo Medvedev.

Ieri, gli scontri sono cominciati davanti alla sede dell’opposizione, alle porte della città: circa 200 dimostranti hanno bloccato il tentativo della polizia di disperdere l’assembramento, appiccando il fuoco ad auto degli agenti, e poi hanno marciato verso il centro della capitale. La folla, armata con spranghe di ferro, si è via via ingrossata e diretta verso la sede della presidenza. E proprio lì, ad un certo punto, sono stati avvertiti gli spari. I disordini si sono trasformati, così, in un vero e proprio golpe. La situazione democratica, già critica da tempo, per gli osservatori è drammaticamente peggiorata negli ultimi anni. I manifestanti chiedono le dimissioni di Bakiyev, arrivato al potere cinque anni fa sull’onda popolare della "Rivoluzione dei tulipani" – battezzata in questo modo sulla falsariga di altri rivolgimenti in area ex sovietica, come quelli in Ucraina ("arancione") e in Georgia ("delle rose") – che depose l’allora presidente-dittatore post-sovietico Askar Akayev, al potere dall’indipendenza del 1991, e protestano anche contro l’aumento del prezzo del carburante, addebitato alla corruzione del governo.

Altro stato, la Thailandia, nuovi disordini. Se qualche mese fa erano state le camicie gialle a impedire i lavori del Parlamento e del governo, questa volta è toccato alle camicie rosse Lo spettacolo si ripete a parti invertite. È stato dichiarato ieri lo stato di emergenza a Bangkok dove la protesta dei sostenitori dell’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra, è sfociata in gravi episodi di violenza, con l’irruzione dei manifestanti nel complesso che ospita il Parlamento, utilizzando un camion per sfondare i cancelli di ingresso. Dopo settimane di assedio per le ripetute manifestazioni nella capitale, il governo thailandese ha annunciato la linea dura. Il premier Abhisit Vejjajiva ha annunciato lo stato d’emergenza vietando l’assembramento in pubblico di più di 5 persone e conferendo più poteri alle forze di polizia e dell’esercito. Nell’irruzione di ieri sarebbero riuscito a fuggire a bordo di un elicottero il vicepremier Suthep Thaugsuban insieme ad altri membri e deputati del governo.

”Il governo disperderà i manifestanti nei quartieri commerciali della città e arresterà i leader delle proteste cercandoli anche nelle loro case”, ha detto Satit Wonghnongtaey, ministro delegato presso l’ufficio del Premier. In realtà decine di migliaia di persone si sono rifiutate di lasciare il distretto della capitale in cui si trova la maggior parte dei negozi e degli alberghi, dove si sono assembrate fin da sabato scorso. Le forze di sicurezza hanno fin qui evitato l’uso della forza per disperdere i manifestanti, la maggior parte dei quali proviene dalle zone rurali del paese ed è affascinata dal populismo dell’ex leader, rovesciato da un colpo di Stato nel 2006. Le ”camicie rosse”, che il mese scorso avevano dato vita ad una bizzarra forma di protesta versando il proprio sangue raccolto in delle bottiglie davanti alla sede dell’esecutivo, chiedono lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni immediate, giudicando illegittimo il governo di Abhisit.

Il governo del premier thailandese Abhisit Vejjajiva ha chiuso questa mattina l’emittente tv People Channel, e diversi siti che sostengono le camicie rosse. Immediata la reazione dei leader della protesta: "Quegli schermi vuoti saranno la fine del governo", ha minacciato uno dei leader dell’Udd (Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura) Jatuporn Pronpan. Il partito ha anche in programma per venerdì a Bangkok una protesta di massa contro la proclamazione dello stato di emergenza nella capitale e nelle province vicine. Il premier Abhisit Vejjajiva ha intanto cancellato il viaggio che aveva in programma di effettuare in Vietnam per prendere parte a vertice dell’Asean in programma a Hanoi oggi e domani.

In attesa che la diplomazia internazionale faccia i suoi tentativi per sanare, se possibile, le difficili situazioni interne, il contrastato paradiso thailandese e quello che viene definito dagli Usa il "piccolo Paese centro di grandi interessi" restano in un totale stato di caos.