Il doppio volto della Lega su Cosentino è la pietra tombale dell’alleanza col Pdl
11 Gennaio 2012
È francamente ributtante l’idea che un parlamentare possa finire in galera (per meglio dire: in carcerazione preventiva!) soltanto ed esclusivamente per considerazioni di carattere politico. Che cos’altro motiva la Lega Nord nel determinare l’atteggiamento assunto nei confronti della richiesta di arresto dell’onorevole Cosentino rispetto ad un anno fa quando la negò, se non un disegno politico, appunto, dal momento che è venuta meno l’alleanza con il Pdl?
Al di là del merito della vicenda giudiziaria, i cui elementi sembrano non convincere del tutto gli stessi commissari leghisti nella Giunta per le autorizzazioni a procedere, c’è da restare allibiti dal giustizialismo accanito di un Maroni, il quale, per guadagnare punti alla lotteria del dopo-Bossi, veste disinvoltamente i panni del Torquemada padano e riesce a trascinare il gruppo dirigente del suo partito su posizioni illiberali, facendogli fare un passo indietro di quasi vent’anni. È lo stesso Maroni, notiamo, che per anni ha difeso tutti coloro sui quali si è abbattuta la mannaia della magistratura. Qual è quello vero?
Eccoli i frutti di un’alleanza acritica, subalterna e sconsiderata da parte del Pdl con un partito che esso stesso ha alimentato favorendo lo sviluppo nel Paese di un eccentrico dibattito sul federalismo (del quale giustamente non si parla più a dimostrazione che nessuno ne sente il bisogno), mettendo nelle mani del Carroccio la golden share sul governo, assecondando pulsioni neo-darwiniste, consegnando a Bossi ed ai suoi sodali consistenti porzioni di potere spropositate in rapporto alla stessa consistenza elettorale della Lega. Il Pdl, per come immaginavamo che potesse e dovesse evolvere, non doveva inseguire i "padani" sul loro terreno fino ad assimilarne lessico ed idiosincrasie, ma inglobarli in una ragionevole logica di condivisione delle riforme possibili supportate da una politica di modernizzazione istituzionale, economica e sociale. Al contrario si è fatto fagocitare. E quando il momento delle scelte è arrivato, alla Lega non è parso vero tutelare se stessa staccandosi dal Pdl, reinventandosi come opposizione dura e pura e prendendo il largo tanto per guadagnarsi i consensi a cui tiene nelle valli settentrionali del Paese per farne che cosa, poi, è tutto da decifrare.
Viene buono in una strategia di smarcamento del genere perfino gettare in galera un uomo con il quale si è governato per anni e che fino a qualche mese fa non veniva ritenuto il mostro che oggi si vuole accreditare, capace cioè di delinquere con la peggiore feccia criminale della Campania.
È questo l’ultimo atto di un rapporto che, a dire la verità, si stava consumando già da tempo. Di più: è la pietra tombale su un’alleanza che non è mai stata organica e politicamente giustificata, al di là dei rapporti personali tra i leader, tante erano e restano le difficoltà di procedere in un cammino comune tra un partito nazionale ed un movimento che programmaticamente intende affossare l’idea stessa di nazione.
Come se non bastasse, le diffidenze reciproche, i patti interessati, le strumentalizzazioni vicendevoli a cui Lega e Pdl in questi anni hanno dato vita dimostrano adesso che l’alleanza è davvero finita e come fosse impossibile costruire un’alternativa politica capace di superare l’occasionalismo elettorale.
Gli alibi sono dunque tutti consumati. Ognuno per la sua strada. A cominciare da subito se e dove è possibile, dalla prossima primavera quando si voterà in molti centri per il rinnovo delle amministrazioni locali. Accada quel che deve accadere.
È anche guardando a questo scenario che il Pdl è obbligato a prendere finalmente in considerazione un percorso possibile, ponendosi dei traguardi a breve scadenza. Deve, insomma, diventare adulto. Anche programmaticamente. Non ha più bisogno di mediare con la Lega, non deve rendere conto a nessuno. Ha soltanto un disperato bisogno di guardare dentro e stesso e tentare la sintesi culturale e politica delle anime che lo compongono. Ha finalmente l’occasione di diventare un partito-coalizione e, come tale, guardare al Paese superando gli schematismi che lo hanno condizionato fin qui.
Ne sarà capace? A giudicare da quel che accade, appena giustificato dai mutamenti ultimamente avvenuti, lo scetticismo è più che autorizzato. Eppure è doveroso non abbandonare la speranza. Anche nella prospettiva di un radicale cambiamento che non tarderà a manifestarsi nella complessiva sfera politica italiana in connessione con le convulsioni europee. Ho l’impressione che la politica sarà un’altra cosa nel volgere di pochi mesi. La crisi provocherà sommovimenti tali che ci vorranno anni per comprenderli ed assorbirli.