Il fallimento delle élite e il nuovo Occidente
03 Febbraio 2017
di Daniela Coli
Ezio Mauro si è accorto che sta scomparendo l’Occidente euroamericano e se la prende con Trump che spezza il sogno del Sessantotto. Dovrebbe leggersi qualche libro e articolo di Niall Ferguson per capire cosa sta accadendo. In tv e nei media italiani si paragona Trump a Hitler, ma a nessuno vengono in mente i poteri del nuovo presidente americano, il Congresso a maggioranza repubblicana e molto altro. Né si tratta del primo Occidente che si dissolve: come ricorda Niall Ferguson, il primo Occidente a dissolversi fu l’Impero romano. Il grande dramma italiano, del resto, perché mai il Paese è stato in queste condizioni, neppure nel 1945, visto che allora aveva ancora uomini e donne col senso dell’interesse nazionale, è proprio il fallimento delle elite politiche e intellettuali.
Basta leggere il libro di Piero Craveri, L’arte del non governo, per capire che, con la sconfitta di De Gasperi nel 1953, nacque la repubblica dei partiti, partiti che avrebbero abbandonato la società a se stessa, mentre con il Sessantotto e i governi di centrosinistra iniziarono quel debito e quel declino che stanno uccidendo il Paese, fino a fare sperare a molti partner UE una uscita italiana dall’eurozona. Certo, molti europeisti, come chi scrive, sperarono negli anni Novanta che il vincolo esterno avrebbe costretto la politica e la società italiana a cambiare. Era un’estrema ratio, insomma, la confessione del fallimento dello Stato italiano, incapace perfino di rendersi conto di non potersi permettere diciannove regioni con altrettanti governatori, come se fosse gli Stati Uniti d’America.
Trump c’entra relativamente con i problemi italiani: l’America è una grande potenza e lo rimarrà, ha cambiato più volte politica estera, secondo il proprio interesse nazionale. Stare dietro alle marce dei democratici disperati che hanno perso tutto e sono rimasti con 17 stati su 50, significa non conoscere la storia dell’America. Almeno Mario Sechi ha capito il senso di Trump, che rimette il busto di Churchill e quello di Andrew Jackson nello Studio Ovale. Reagan nel discorso inaugurale del 1981 non disse cose molto diverse da Trump: “L’inattività delle industrie ha gettato i lavoratori nella disoccupazione, nella miseria umana e nell’indegnità personale. Quelli che lavorano vedono negato il giusto guadagno del loro lavoro da un sistema di tassazione che penalizza il successo e la capacità di restare pienamente produttivi”. Era populista Reagan?, si chiede Sechi.
La dottrina Monroe era populista? L’individualismo americano è populista? La cultura protestante che ha fondato gli Stati Uniti era populista? Il mito del self-made man contro le classi al potere è populista? Nessun nostro americanista aveva previsto la vittoria di Trump, giornalisti e giornaloni tifavano Clinton, ma devono aver dimenticato la storia americana. Roosevelt non esitò ad allearsi con l’Unione Sovietica per sconfiggere la Germania, perché era l’alleato geopolitico necessario, non perché ne condivideva i “valori”, come si ama dire da noi. Almeno Croce ammoniva che i “valori” non sono ‘caciocavallo appeso’.
La cultura e la politica italiana non ha neppure capito che l’Unione Europea è nata per legittimare la Germania e gli stati nazionali europei, come sosteneva il grande Alan Milward all’Istituto Universitario Europeo anni fa. La cultura italiana non ha uomini come Milward, scomparso troppo presto, né come Niall Ferguson o Paul Collier, che affrontano il problema dell’immigrazione realisticamente. Da noi l’accademico e il giornalista mainstraem si è illuso che la Brexit non si sarebbe mai realizzata. Adesso ci si attacca al salvagente per cui senza la Ue saremmo perduti, non potremmo più esportare i nostri prodotti. Ma chi lo dice?
L’Italia vuole restare nell’euro, si dice, ma quando la UE scrive al governo italiano che la finanziaria non va bene, governo e media urlano contro Bruxelles che attenta alla nostra sovranità. Siamo davvero il paese della commedia. Wolfgang Münchau, su Eurointelligence, scrive che i politici italiani parlano di legge elettorale perché non vogliono fare le riforme e che solo un terzo degli italiani ormai è favorevole all’UE. In compenso, il governo aumenta tasse e accise. Non ci sono congiure contro l’Italia, è questa Italia che non ha capito che ogni Stato deve stare in piedi da solo.
E’ penoso tutto questo gridare alla rinascita degli egoismi nazionali e a Trump che spezza il sogno del Sessantotto. Secondo un report di Mediobanca, riportato da Nicola Porro sul Giornale, se l’Italia uscisse subito dall’euro guadagnerebbe otto miliardi, continuando a rimanere nell’euro finiremo per essere sempre più deboli e più indebitati. Negli ultimi quindici anni, l’Italia non è cresciuta di un euro. Finiremo come dice Zingales, come la rana bollita, perché non ha più la forza di saltare fuori e sarà il popolo a pagare, come è sempre accaduto nella storia italiana.